In un
futuro prossimo, o in una distopia abbastanza coerente ai nostri giorni, gli
alieni ci hanno invaso e hanno vinto. Gli omini verdi sono i nuovi padroni del
mondo e ci hanno accettato come sudditi a patto di uno strettissimo sistema di
sorveglianza da gps ficcatoci in corpo (stile il mitico L'implacabile di Glaser), telecamere ovunque (stile Ready Player One di Spielberg) e
una polizia militare stile Germania dell'Est (e qui la mente torna al grande Le vite degli altri di Von Donnersmarck). Una resistenza comunque
ha cercato di formarsi, e punta tutto su azioni disperate e suicide. Chi nella
polizia "lavora per gli alieni", come il personaggio di John Goodman,
William, si sente sempre un po' un traditore ma al contempo la leva giusta per
mantenere lo stato delle cose. Gabriel (Ashton Sanders) è un ragazzo sveglio ma
un po' problematico che vuole percorrere la strada "rivoluzionaria"
intrapresa dal fratello Rafe (Jonathan Majors, spesso ritratto sui palazzi con
un appeal da Che Guevara). Gabriel è però anche un protetto di William, che
cercherà in ogni modo di tenerlo lontano dai guai.
Si
respira un'aria di tensione costante, in Captive State, con momenti di
interessante malinconia da detective story e un pizzico di Casablanca, tutti
aggraziatamente sottolineati dalla presenza del misterioso personaggio della
sempre bellissima Vera Farmiga. Gli alieni sono misteriosi, sempre per lo più
nascosti allo spettatore. Sembra perseguano obiettivi e abbiano costumi non
codificabili per l'uomo, a parte la "conquista di potere e risorse".
Vivono nel sottosuolo, dove l'aria per gli umani è così rarefatta da
necessitare di respiratori specifici. Hanno robot e mezzi da guerra che
presidiano la superficie, ma in pochi li hanno davvero visti, sembra che si
muovano rotolandosi, dalle storie che si raccontano e per alcune testimonianze
dirette, probabilmente si accoppiano e nutrono in modi disgustosi, spesso alla
presenza dei sudditi umani.
Sono
"diversi", criptici, predatorii, ma al contempo la perfetta metafora
di uno stato forte ed oppressore, contro il quale si può agire solo con
"la guerriglia e le armi dei poveri", se non accettando la
sottomissione. Un messaggio importante, di fantascienza "sociale"
(come lo era d fatto la saga del Pianeta delle Scimmie), che fa mettere lo
spettatore, americano in primis, nei "panni" di chi, per lo più
inerme, combatte per sopravvivere a un paese fortemente capitalista e
tecnologicamente evoluto come il loro. Una riflessione che si espande alla
filosofia dell'arte della guerra, coinvolgendo nel discorso semantico (la parte
più gustosa del film) anche i poemi omerici. Ci sono un paio di ottimi colpi di
scena, compreso un finale che se forse non del tutto inaspettato è da standing
ovation per "coolness". L'atmosfera è quella giusta, le scene
d'azione sono ben gestire, la tensione è palpabile e gli attori, Farmiga e
Goodman su tutti, giganteggiano ogni volta che possono, "mangiandosi"
letteralmente tutte le loro scene, elevandole a piccoli capolavori di stile e
recitazione.
Manca
però qualcosa all'insieme, qualcosa che si può sospettare sia stato
tatticamente lasciato da parte per sviluppare il film come una saga, farne un
brand prima del tempo. La natura low budget del progetto non aiuta molto poi in
termini di spettacolarità, e questo per alcuni fan degli effetti speciali può
essere un problema, così come la scelta di alcuni personaggi un po' sotto le
righe (quello di Ashton Sanders su tutti) rende alcune parti della
pellicola meno appassionati. Captive State sarebbe uno straordinario episodio
pilota di una serie TV di lusso. Vorremmo vederne di più, anche con la
consapevolezza che molto del fascino del film risiede nella nostra personale
interpretazione dei misteri legati alla trama.
Talk0
P.S: vi consiglio comunque di recuperare anche
Moonlight, per vedere un Sanders davvero in forma.
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