Londra,
metà 1800. Lo scrittore Charles Dickens (Dan Stevens, molto bravo) tornava da
una trionfale tournée negli Stati Uniti dopo aver raggiunto il massimo del
successo con il suo Oliver Twist. Era un rivoluzionario che riusciva nei suoi
scritti a dare la voce alla parte della società più povera e maltrattata.
Qualcuno lo definiva già il nuovo Shakespeare. Charles ci aveva messo tutto se
stesso in quell'opera, il suo passato e la crudeltà della società, aveva
"dato tutto". Passavano tre anni e il nostro eroe, un po' di fiaschi editoriali pesantissimi dopo, era a terra. Di colpo non era più sulla
cresta, nessuno parlava di lui e gli americani erano pure mezzi incazzati per
come il nostro, improvvisandosi un Beppe Severgnini ante litteram, li ritraeva
nella guida di viaggio "American Notes for general Circulation".
L'entusiasmo ormai era lontano. Lo scrittore arrivava allora al punto di fare
economia sulle candele... quegli oggetti ricavati dal lavoro di piccoli insetti
a righe che nell'antichità servivano (le candele, non gli insetti) per
l'illuminazione dell'abitazione... accadeva prima dell'avvento degli smart
phone. Intanto la famiglia dickensiana, insensibile, richiedeva sempre più
dispendi economici per quella serie di inezie quotidiane che racchiudevano il
"vivere". La moglie (Morfydd Clark) voleva più attenzioni coniugali
ma soprattutto un piastrellista di grido per rinnovare la casa, il padre
(Jonathan Pryce) era tornato in zona, in cerca probabilmente più di soldi che
di abbracci, visto che cercava di continuo di rivendere gli autografi del
figlio al banco dei pugni locale. E poi appena si girava trovava un critico
rompiscatole (Ian McNeice), che orgasmava nell'inseguirlo ogni volta che
usciva di casa cercando di sputtanarlo in pubblico nel modo più spettacolare
possibile. Fortuna che c'èra Foster (Justin Edwards), l'amico e consigliere di
sempre, grosso come un orso ma tenero di cuore, la spalla su cui piangere,
l'uomo delle decisioni pratiche. Fortuna che in casa era arrivata la giovane e
orfana bambinaia Tara (Anna Murphy), che raccontava ai figli magnifiche
storie della tradizione scozzese che intrecciavano fantasmi e feste. E
proprio dall'ascolto di quei racconti scattò qualcosa nella testa
dell'autore, la voglia di creare una storia... sui fantasmi e sul
Natale. Qualcosa all'inizio senza una vera forma definita, forse un horror come
quelli che erano tanto di moda o forse una favola. Doveva intitolarsi
"Sciocchezze!" o "Ballata di Natale" o "una roba di
Natale", doveva contenere della satira come cercare di risalire ai
motivi più profondi per cui quella ricorrenza, "nell'oggi
vittoriano", appariva solo frivola e per bambini. Si era perso il senso
vero del Natale a Londra, ma stringi stringi Dickens ambiva
all'equivalente del "disco di Natale" di Mario Biondi. Tra i
problemi della vita quotidiana e la ricerca dell'ispirazione, tra editori che
subito gli bocciavano il progetto e illustratori con poca immaginazione, finalmente compariva davanti all'autore, evocato attraverso un nome accattivante, il protagonista della sua nuova opera, Ebenezer Scrooge (Christopher Plummer).
Un uomo avido e iracondo, burbero e insensibile, vecchio e ricurvo, con un
brutto cilindro in testa e occhietti cattivi piccoli piccoli. L'uomo che
idealmente era la somma di tutto quanto si trovava di sbagliato nella
variegata umanità che Dickens riusciva a scovare tra le vie di Londra di metà '800. Un essere sentimentalmente sterile e socialmente orribile, lo
specchio della più brutta borghesia arricchita. Un mostro, ma che più passava
il tempo assomigliava al suo autore. Dickens non vedeva più allo specchio
il piccolo Oliver Twist, ma il vecchio e corrotto Scrooge. I 3
celebri fantasmi sarebbero riusciti a salvare l'animo di Ebenezer e di Charles?
- Una
delle storie più famose al mondo. Il canto di Natale non ha bisogno
di nessuna presentazione credo. Ne hanno fatto milioni di adattamenti e
declinazioni. A me piace in particolar modo S.O.S fantasmi con
Bill Murray e quando ero bambino pensavo che la storia originale fosse Il canto di Natale di Topolino. Trovo invece magnifico, ma terrorizzante
più di tutte le pellicole Blum House, l'adattamento di Robert Zemekis. È roba
da incubi anche a distanza di anni e non lo vedo proprio adatto ai più piccoli
e sensibili. Questa pellicola diretta da Bharat Nalluri di produzione
ultra-british-deluxe si basa invece sull'omonimo libro del 2008, che parla in
modo meta-testuale della realizzazione di quel racconto. È leggero, è
ultra-natalizio, riesce in più punti a commuovere, ma come tutti i racconti di
fantasmi fa anche paura.
Perché
ci sono le ghirlande, i canti per le strade, la neve e un registro narrativo
pieno di ironia e buoni sentimenti, ma sotto la cornice sgargiante c'è molto di
più e spesso il magnifico presepe vivente vittoriano nasconde contorni oscuri.
Sotto il vischio, la Londra rappresentata in cartongesso è un cancrenoso
agglomerato urbano alla Sweeney Todd, dove tra i fumi delle
fabbriche e le carrozze veloci si assiepa un'umanità avvizzita, aguzzina
contro i deboli e perennemente armata e crudele contro la peste della povertà.
Una malattia che, espandendosi quasi invisibile, dalle zone in ombra delle
strade percorre ogni vicolo, dalla periferia fino al centro. I poveri sono
troppi. È storicamente l'epoca degli ingloriosi editti contro i poveri,
l'epoca delle ingloriose case-lavoro, degli "orfani" per debiti dei
genitori. È l'epoca della fuliggine nera, delle catene di montaggio, dei furti
per qualcosa da mangiare, dei bambini tenuti in catene. Ma diviene anche, a
contrasto, il periodo delle più grandi rivoluzioni sociali, dei social worker e
di una importante rinascita morale. Movimenti che trovano il cuore e la forza
di agire anche in Charles Dickens. Con il suo libro Oliver Twist aveva puntato
il faro sugli ultimi, sui bambini dello "stato", delle strade e delle
fabbriche e su chi non troppo amorevolmente si curava di loro. Ha fatto
vedere i poveri come persone e non come "zombie" o come malattie.
C'è tutto questo nel film, ombre e luci, speranze e paure, ipocrisie e forze di
un secolo, di un secolo oscuro ma anche di rinnovamento, infiocchettato da una
gradevole patina natalizia "marcia", merito di un ottimo mix di
fotografia, scenografia e costumi. In una felice intuizione registico/letterario/narrativa
Dickens vede tra i volti delle persone di questa Londra i "suoi"
personaggi, gli attori dei suoi racconti più noti e per il lettore attento
riconoscibili. Questi personaggi vicino e agiscono assumendo quasi l'aspetto di
personali fantasmi/personalità multiple dell'autore, con cui egli ha
un dialogo esclusivo e pazzerello. Fantasmi emotivi, coro greco della sua
morale e vere e proprie ossessioni visive e auditive, questi personaggi che gli parlano "dalla testa". Lo specchio delle forze emotive da
imbrigliare e ordinare per riuscire a dare corpo al racconto. Gli appaiono di
notte, al buio vicino al letto, mentre è al bagno, in strada, nei sogni.
Gli appaiono di giorno, intrufolandosi dei discorsi che gli fanno le persone
reali. Lo terrorizzano, lo confondono, lo ispirano. E questi personaggi sono pure autonomi, hanno le loro "libere uscite". Al punto che si
ritrovano tra loro anche in assenza dell'autore stesso attorno al tavolo dove
Dickens compone la sua opera. A volte lavorano di "brain storming", a volte sembrano persone scocciate a una riunione di condominio, a volte
pazienti di uno psicologo assente che si lamentano in sala d'attesa di come
questi non li ascolti abbastanza. In questo aspetto "metaforico -
fantasmatico" il film, rileggendo Il canto di Natale in modo genuino
quanto innovativo, diventa una delle più lucide e geniali rappresentazioni di
come la mente di uno scrittore agisca e crei dal nulla un romanzo. E in tutta
la follia della messa in scena questa riflessione sull'ispirazione appare così
chiara e precisa che la pellicola andrebbe fatta vedere nelle scuole.
Naturalmente e funzionalmente alla messa in scena l'ossessione più forte è
Scrooge, interpretato da un faustiano, perfetto Christopher Plummer. Slanciato
ma ricurvo, sdrucido e infermo nei passi, dalla voce catramosa. Un'autentica
corazza umana, solcata in viso da rughe profonde e nette come intagliate da una
quercia. Scrooge è terribile, è austero, è senza speranza, è sarcastico, è
irrisolto. È autentico, vivo. Combatte costantemente con la solarità
"dimessa" del Dickens di Stevens, un uomo complesso che sopravvive
quasi solo grazie al suo sense of humour. Scrooge affronta la forza morale
dell'autore e spesso la vince, confonde le carte, crea emotivamente riflessione
autentica.
Se
pensate dal trailer che questo film sia solo una strenna natalizia dai temi per
noi troppo "British" e troppo distanti qui in verità c'è molto di
più. Ci sono tre spiriti. Una commedia leggera e agrodolce che è specchio del
presente, un dramma tragico e spaventoso che racconta il passato attraverso dei
flashback plumbei, una storia di fantasmi e speranze che nascono nell'intimo e
aspirano a creare dalla riflessione un futuro. Tre livelli di lettura e tre
anime per un film "strenna natalizia"
- Il senso
del Natale: Natale è Coca Cola (Miracolo nella 34sima strada), Natale sono le
vacanze ai tropici (Fuga dal Natale) o sulla neve (Vacanze di Natale) o a
casa da soli (Mamma ho perso l'aereo). Natale sono i bilanci di fine anno (Una poltrona per due), Natale sono i parenti che ti invadono (Ogni maledetto
Natale), Natale è per qualcuno un giorno brutto (Gremlins), se non
davvero un incubo (Krampus). Natale è una fiaba (Nightmare before Christmas).
Natale è la corsa ai regali per mantenere una promessa (Una promessa è
una promessa), è "provare a fare i buoni" (Santa Clause) Natale è
fare l'albero e gli addobbi più belli (Elf), Natale è stare con qualcuno di
cui ci si è colpevolmente dimenticati e con chi è meno fortunato, come in
S.O.S. Fantasmi e, ovviamente, per proprietà transitiva qui. Natale incarna un
forte "dover ricevere" nel momento dell'anno più freddo e difficile,
ma sua vera potenza (dicono i saggi e le frasi nei cioccolatini) sta nel
"dare" agli altri e a se stessi, un po' di amore, una seconda
possibilità. Pace ai cuori anche di chi per vivere deve avere, per citare
Dickens, "sangue di ferro e cuore di ghiaccio" e riesce a vedere la
bellezza di un "prato ancora florido all'interno di un cimitero".
Dickens è questo. Dickens rende evidenti bisogni umani inestinguibili che la
Storia ha spesso dato per scontati e che lui rivela scavando a fondo dentro se
stesso. Basta analizzare le due "parole chiave" che mette nella
pellicola in bocca a Scrooge , cercando significato più profondo. Il denaro è
"sicurezza", ma perché ti allontana dal tornare a vivere per strada.
"Il giorno di Natale è uno spreco di tempo", perché il padrone il
giorno dopo terrà conto del ritardo dei lavori accumulata in quella mezza
giornata di ferie imposta per legge. In un mondo di poveri chi è
"solo" avido può essere per questo cattivo? Non è solo un ragazzino
un tempo povero che ha paura di tornare povero e ha paura di aprirsi agli altri
temendo di deluderli? Ma poi il Natale irrompe in quel periodo dell'anno, preceduto
dal Black Friday. Con i canti per le strade, l'invasione di parenti, le
raccolte di beneficenza, l'esigenza normativa di "stare insieme".
Costringe a mettere tutto in pausa, cose "serie"comprese, mette
davanti alla fatica di relazionarsi con chi eravamo prima per gli alti, con chi
siamo oggi per gli altri, con chi saremo in futuro per gli altri. Anche nella
paura e nella miseria nessun uomo è un'isola e il Natale è una terapia d'urto
potente (come nel classico La vita è meravigliosa). Ci fa scoprire
che non siamo mai davvero soli, anche se apparentemente non abbiamo legami.
Certo serve uno sforzo a volte indicibile per scavare dentro se stessi, ma
opere come A Christmas Carol possono aiutare a comprendere la bellezza di
questo evento e apprezzarlo... anche se la Nintendo Switch costa ancora troppo
per le tasche e il mutuo da pagare di babbo natale.
-Conclusione:
Dickens l'uomo che inventò il Natale non è davvero niente male, ha più chiavi
di lettura e può piacere anche ai più piccoli, a patto che conoscano un po' il
racconto (ma abbiate cuore per loro, non infliggergli il catone animato horror
di Zemekis). Ci si diverte, ci si commuove, si riflette e non si ha mai l'idea
di assistere ad uno spettacolo a troppo tasso glicemico. Natale è sempre Coca
Cola, ma questa volta in versione light.
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