lunedì 12 giugno 2017

The dinner - la nostra recensione


 - Breve sinossi: "La storia è finita. Tutto accade in questo momento: la storia non può competere con i social." Questa è l'amara riflessione di Paul (Steve Coogan), un tempo forse amabile professore di storia di quelli divertenti, dotato di un umorismo pungente alla Woody Allen, oggi un uomo sulla rotta della insanità mentale, nell'eterna paura di essere internato "per amore" dalla sua famiglia. Paul questa sera è a cena con Stan (Richard Gere), fratello perfetto, sorridente e brizzolato, in odore di grandi traguardi politici, a poche ore dalla massima consacrazione elettorale. Perché Stan vuole perdere tempo con lui proprio in quel momento? Paul ci pensa, si lambicca, non trova risposte per nell'ennesima riproposizione di una cena forzata di famiglia, mai stata tanto poco amalgamata, gestita e allestita nel solito ristorante extra lusso ed extra stronzo che ama il fratello, quello con tavolo prenotato, cameriere lecchino e vini che per quanto costano a bottiglia farebbero vivere un mese il Congo. Una cena per palesare di nuovo fama e successo di Stan? Una cena per empatizzare con la decorativa seconda moglie di Stan (Rebecca Hall)? O forse, dolorosamente, una cena per ragionare amabilmente del più e del meno per poi, a visi mesti, far rinchiudere Paul, il sempre più pazzo Paul, in un istituto di cura permanente? Fortuna che la famiglia, nel senso dei "veri problemi di famiglia" ha cose  più importanti a cui pensare di questi dettagli. I figli. Siano benedetti i figli e i loro piccoli problemi. Ieri era un due a scuola o un problema di integrazione per il ragazzo adottato da Paul. Niente di insuperabile. Solo che questa volta i pargoli, per divertirsi, perché sono stronzi o hanno pessimi maestri, ci sono andati pesanti. Con una senzatetto accampata in un bancomat, proprio davanti allo sportello per prelevare i loro soldini. Hanno iniziato a riprenderla col cellulare, urlarle contro, tirarle cose e hanno continuato fino a che hanno visto che gli piaceva, senza mai smettere. Poi le hanno dato fuoco e hanno continuato a ridere e riprendere il video. Non il figlio adottato da Stan però, lui è andato via prima e ora denuncerà tutti alla polizia. A meno che non lo paghino per tacere, per sempre, in caso di necessità... che bravi ragazzi, che bella famiglia unita. Dalla cena dovrà uscire una soluzione a questo problema, ai problemi elettorali di Paul, alle turbe di Stan e ai cocci di un gruppo di persone unite da vincoli di sangue non più che sconosciutiti infettati da una malattia venerea...



- Anche i ricchi piangono: il libro da cui è tratto il film , "La cena" di Herman Koch, è molto bello ed esplora anche aspetti differenti della vicenda. Nel 2015 è stato adattato anche un film tutto italiano, I nostri figli, pure lui molto buono, e oggi abbiamo in sala, agli inizi di giugno, questo nuovo The dinner di Oren Moverman, un regista che ha tirato un po' su di recente la carriera del sempre più compassato ma convincente Richard Gere. Ma qui la vera sorpresa è Coogan, che crea un personaggio sfaccettato e istrionico al punto da mangiarsi da solo tutto il film. Gli spettatori, soprattutto quelli che non hanno letto il libro di Koch, non sapranno se non dopo un'oretta abbondante se si trovano in una commedia, in un noir, in un thriller, e questo è tutto merito del geniale Paul di Coogan e della brillante idea di Moverman di mettere la telecamera fissa su di lui, il Crazy Diamond del piccolo gruppo di commensali. Poi quando i nodi  della trama vengono al pettine si avverte quasi a livello tattile come della famiglia oggetto della messa in scena non esista che un simulacro, si palesa la tragedia di legami che sono solo fittizi ma che devono "reggere" nella prospettiva di una parvenza perlomeno umana, buona per ingannare giusto il presente. Ma il futuro è un altro discorso, il futuro è social. E' veloce e in grado di spezzare gli equilibri in un lampo, non c'è tempo di nascondere sotto il tappeto i piccoli peccatucci familiari. Il futuro non si controlla perché non si controllano più i figli, perché non si è costruito qualcosa con loro prima, nel "ieri". E i figli diventano cattivi non sapendo nemmeno loro perché. E qui il film diventa cattivo, un vero pugno allo stomaco  se non fosse sempre per Paul, che fa virare il tutto verso la commedia nera. E' lui il problema? O può essere lui la soluzione? In una delle scene più interessanti della pellicola Paul, in un flashback, insegna storia ad una aula vuota, dopo aver insultato degli studenti maleducati e distratti nell'ora precedente. Di colpo da pseudo Woody Allen / professore buffo passa quasi al Jack Torrence di Shining e tutti rimaniamo increduli, ammirati e spiazzati da questa folle trasformazione, che si incastra male in una ricerca di se stesso che finisce male. È un bel twist. La tragedia diventa quasi black commedy. E anche Gere funziona e diverte, "cresce" e diventa più inquietante mano a mano che la pellicola di snoda, in una satirica è contorta rappresentazione del politico americano, uomo pubblico in dubbio esistenziale perenne, schiavo di come la forbice delle elezioni si muove: essere un vincente ma disonesto o un perdente onesto al punto da diventare martire (in funzione di avere il premio simpatia nell'elezione successiva)? Questo di Moverman è un film strano, scombinato, imperfetto. Lontano, per mancanza di ordine, dalla fonte originale ma per questo più vivo, caotico e pulsante. Un film da rete quattro delle tre del pomeriggio, con pure il treno attuale di mostrarci infiniti piatti da portata come in un programma culinario di Real Time, che si trasforma in un thrillerino niente male. La messa in scena rimane ancorata, di stampo statico/teatrale, ma le parole sono pura azione, pensanti come palle di cannone. Un film da scoprire o recuperare, forse troppo affossato in sale cinematografiche che soffrono quanto mai l'over Booking. 
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