domenica 18 giugno 2017

Cornice Kennedy - la nostra recensione dello scintillante film di Dominique Cabrera, finalmente anche nelle nostre sale.



Marsiglia, principio di estate, a un paio di giorni dagli esami di maturità. Suzanne (Lola Creton) è una bella biondina francese che frequenta l'istituto d'arte ed è un po' sotto stress. Non ne vuole sapere di preparasi sull'Edipo Re o Madame Bouvary, si sente persa, si sente spaventata, non sa perché dovrebbe farlo. Suzanne in qualche modo vede che la sua adolescenza sta finendo senza che lei se la sia goduta più di tanto, troppo studio e troppo stress. Vuole un po' di tempi supplementari per divertirsi. Il tempo di volare con la fantasia però è finito e lei si sente imbrigliata dalla concretezza, dall'inevitabilità della vita adulta. Ma ecco che fa un incontro inaspettato. Dei ragazzi di origine straniera fanno parte di una crew che ogni giorno, per almeno quaranta volte, di testa, si tuffa dalle scogliere della cornice Kennedy. Una specie di roulette russa. Un atto di coraggio, stupidità e incoscienza perché il salto è alto e l'acqua è bassa, forse un metro. C'è gente che si sfracella, ci sono volontari di Marsiglia che ti vengono a uccidere di prediche se tenti di farlo e comunque basta vederli tuffare per capire che prima o poi si spiaccicheranno. Ma la crew lo fa, la crew è "libera" dalla forza di gravità e dai terreni problemi del mondo. Sono come scintillanti stupidi lemmings, vivi di quell'attimo tra la vita e la morte, quando la terra è ancora lontana, quando il battito del cuore si ferma, tutto è rallentato e tutto è sfolgorante. Loro sorridono e si tuffano. Loro sembrano felici. Suzanne si avvicina a loro, li fotografa, li filma, cerca di carpirne il mistero, se esiste. Alla fine va sulla loro spiaggia, nel loro esclusivo territorio, inizia a scontrarsi e poi a parlarci, fino a che i due "capobranco", Marco (Kamel Kadri) e Mehdi (Alain Demaria), non si accorgono di lei e della sua voglia di tuffarsi come loro, di unirsi alla crew. Marco è segaligno, moro, riflessivo e dallo sguardo profondo. È poco più che un bambino ma si atteggia da bullo, forse perché ne ha viste tante. Mehdi è cicciottelo, biondo, spavaldo e compagnone. Ha subito una cotta malcelata per Suzanne, non può fare a meno di avvicinarla con lo sguardo o con le mani appena può. Marco nasconde un brutto lavoro per un brutto boss locale ed è scritto che finirà male. Mehdi ha il fratello in carcere e vive per la madre, probabilmente malata. È minorenne ma davvero incontenibile e autodistruttivo. Pure lui forse finirà male. Li accomunano una vita sempre vissuta spalla a spalla, in una grande famiglia allargata nei sobborghi, oltre che l'amore per i tuffi. Suzanne forse sarà un elemento importate, in modi diversi, per entrambi, ma prima di tutto ci sono i tuffi. Se la vita fa schifo sopravvivere per quaranta volte al giorno a quella specie di suicidio li fa sentire più forti, li fa sentire vivi. Anche per il resto della crew è così. Il mondo è brutto ma su quella spiaggia si sentono come i bambini perduti di Peter Pan. 
Ma torniamo alla scogliera, a quel primo incontro con Suzanne. In un attimo tutti si scambiano uno sguardo complice, tutti la guardano e parte quello che sembra un rito iniziatico. Si scalano rocce e si arriva allo scoglio più alto, quello che affianca la strada cittadina. Tutti si tuffano ridendo di quanto sia semplice, di quanto sia bello, carichi di quel brivido che solo le cose pericolose sanno dare. La coscienza dell'incoscienza. Tutti sono in acqua e tutti incolumi, dopo aver sfiorato un sottile lembo tra vuoto, acqua e rocce. Marco le lancia solo uno sguardo e si tuffa. Sullo scoglio rimangono Suzanne e Mehdi. Tocca a lei, il gruppo la reclama dai flutti. La ragazza dice "Ho le vertigini". Mehdi le risponde: "Le ho anch'io, qualche volta, proviamo qui che è più basso". Si spostano di poco, il salto appare più dolce, si tengono per mano. E poi si tuffano. Mehdi si infrange con l'azzurro, si perde rincorrendo sott'acqua un polpo, poi cerca Suzanne. Non la trova, si preoccupa. La cerca sul fondale e poi la rivede che si avvicina a nuoto alla spiaggia, vicino alla crew. Ha temuto per lei più di quanto abbia modo tenuto per se stesso e lei alla fine ha scelto già Marco. Dopo il salto nel vuoto, dopo l'incontro con l'acqua, con Mehdi e con Marco, in Suzanne qualcosa cambia. Forse per sempre. A lato della strada qualcuno il osserva. È la polizia. Non sono lì perché temono che i ragazzi si facciano male, sono lì per Marco e per trovare un modo per incastrare il suo boss.


Volare nel blu di Marsiglia: Bodhi  lo scopriva in Point Break, diventandone un guru, Xander Cage se ne nutriva in ogni istante di in XXX: l'adrenalina fa male, ma fa anche un sacco di bene. È una droga. Non temere la morte, come capita invece alla maggior parte degli altri miseri mortali, dona la consapevolezza incosciente di essere superiori, di non temere più nulla. Non ci sono sfide che non si possono superare, battaglie che non si possano vincere. Tutto il resto della vita deve fare i conti con questo. Che sia la scuola, che sia il cosiddetto "buon senso". Questi tuffi un po' gioiosi e un po' terrificanti sono in fondo la perfetta metafora che Cabrera trova per raccontarci dei giovani d'oggi. Sempre più stranieri in terra straniera, sempre più confusi e privi delle certezze che i genitori pur volenterosamente cercano di programmare, i giovani di Cornice Kennedy trovano forza in questa sorta di rito iniziatico reiterato. Ed è una forza sconvolgente e dirompente che gli permette di vivere in una prospettiva nuova, pericolosamente seducente ma contagiosa. Il messaggio è "vivete senza paura, sempre" e meno si ha paura più le cose funzioneranno nella vita. Certo confondere forza con incoscienza è un niente ed è questo l'affascinante e pericoloso crinale su cui gioca la pellicola, che va vista con occhi consapevoli e non pronti all'emulazione. Ma il film rimane per questo imperdibile e pericoloso, con ogni salto nel blu (e ce ne sono tantissimi) che può finire male, che può catarticamente farci salire l'adrenalina. La trama è semplice ma profonda, i giovani attori sono davvero bravi e in grado di creare personaggi sfaccettati e non banali. Le scenografie marsigliesi sono bellissime e riportano in pieno il caldo e il sudore della pelle tipico dell'estate. C'è tempo pure per parlare di sociale, dei problemi di un'integrazione sempre difficile anche se fortemente cercata con le minoranze etniche. Lo si fa con il garbo e il rispetto giusto che questi temi meritano. Davvero una buona prova e forse l'adattamento più strano e più giusto di Peter Pan che potreste recentemente incontrare in sala. 
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