Sinossi:
Futuro, anno 2029. Forse era meglio un paio di decadi dopo, per permettere
qualche altro film intermedio, ma, vabbeh, 2029. Seguendo in pieno l'adagio che
ormai non dobbiamo mai aspettarci troppo dal futuro in termini di fantascienza,
la terra non ha un aspetto molto diverso da quella che conosciamo. Tuttavia i
mutanti sembrano essere del tutto scomparsi, spazzati via dal mondo. Di loro
rimangono solo montagne di fumetti disperse su tutto il globo, la testimonianza
pop (ed è una riflessione interessante, fumetti al posto di libri di storia)
di quanto fossero stati impressi e protagonisti nell'immaginario collettivo.
Solo che i fumetti raccontano solo un quarto di quelli che è accaduto in
realtà, e in genere i mutanti non sono mai andati in giro nel mondo reale
vestiti con tutine gialle. Forse. Logan (Hugh Jackman), il mutante un tempo
conosciuto come Wolverine, fa oggi, nel 2029, l'autista di limousine dalle
parti di Las Vegas. Addii al nubilato, balli del liceo, tutto a prezzi modici,
sedili in pelle e cerchioni in lega. Con questo lavoretto cerca di trovare i
soldi per comprare le medicine per l'amico Charles Xavier (Patrick
Stewart). Il telepata più potente del mondo è a un passo dalla pazzia e se non
tenuto sotto controllo potrebbe accadere qualcosa di davvero brutto. I due eroi
sembrano una coppia ai ferri corti, sul punto del divorzio. Il mutante Calibano
(Stephen Merchant) con tutta l'ironia e gli occhi da pesce di cui dispone,
cerca di mediare tra i due, tiene pulito il loro rifugio, cucina, stira e
provvede alla sicurezza, ma gli animi dell'ex professore e
dell'artigliato sembrano destinati a fare continue scintille. Logan arriva
sempre più tardi la sera, Xavier gli tira parolacce tutto il giorno.
Probabilmente i due arriveranno ad ammazzarsi a vicenda, anche perché non hanno
nulla da fare salvo che "sopravvivere". Tutto è perduto, finito.
Basta X-men, basta Magneto, Cerebro, Fenici Nere, Sentinelle e uomini multipli.
Basta divinità egizie blu, angeli con ali d'acciaio, demoni e fate teleporti,
uomini di ghiaccio contro uomini di fuoco. Il mondo è in mano a una oscura
corporation che possiede tutto, controlla tutti e si serve di cyborg come
braccio armato. Non è più tempo di colossi e fenomeni, ciclopi e mutaforma. In
un'America rurale non troppo diversa da come era nel 1700, se non per
l'autostrada. Oggi i campi di mais sono mietuti da enormi macchine-mostro che provvedono automaticamente alla raccolta e distillazione di una
strana bevanda energetica. Oggi i camion corrono sulle strade senza controllo
umano cercando magari (comandati a distanza) di uccidere le persone più
scomode, il cielo è pieno di quadricotteri spia. Ma rimangono i razzisti, i
delinquenti, i fanatici militari. Fortuna che almeno la campagna rigogliosa ci
fa respirare per un istante un po' di far west. Fortuna che in TV dai maxi
schermi ultra piatti trasmettono ancora i western. Se i pochi mutanti rimasti
aspettano solo il momento migliore per estinguersi, sperano di poterlo fare
alla grande, su una barca di lusso in mezzo al mare. Ma a volte anche questi
piccoli sogni sembrano irrealizzabili. Perché nonostante tutto e contro ogni
logica, hanno ancora quella fissa di voler fare gli eroi, anche se non è
nessuno a chiederglielo. Così decidono di prestare ascolto a un'ultima,
dolorosa chiamata di aiuto. Un'occasione in più per fare la loro parte. La
causa è buona, salvare la vita di una giovane mutante, Laura (Dafne
Keen). Lo stormo "dei nemici cattivi", capitanati dal crudele Pierce
(Boyd Holbrook) e dal dr Rice (Richard E. Grant) è praticamente infinito e
inesorabilmente forte. Logan è malridotto, ferito nel corpo e nell'anima da una
mutazione misteriosa che compromette il suo fattore di rigenerazione. Gira con
in tasca un proiettile di adamantio per porre fine quanto prima alla sua vita e
non perde occasione per sfogare in piena libertà la sua proverbiale rabbia con
chiunque gli capiti a tiro. Ma Laura in qualche modo riesce a fargli
riassaporare un po' dell'umanità che il vecchio artigliato pensava di aver
perso.
Più duro
di un pugno allo stomaco: Si esce storditi e depressi dai 140 minuti di
Logan:The Wolverine, terzo episodio della serie spin-off nata da una costola
degli X-Men, secondo film di Logan diretto da James Mangold e ultima
performance, la decima, di Hugh Jackman nei panni di Wolverine. Come
spettatori, dicevo, a fine visione si ha quasi l'impressione di aver
subito almeno la metà dei pugni, calci, pallottole, arpionate e schegge di
granata che i protagonisti e gran parte del cast si sono dati vicendevolmente.
Non si ride mai, ci si spaventa di frequente, si piange parecchio, si
arriva a mettere le mani davanti agli occhi per l'efferata brutalità sfoggiata
da Logan e soprattutto da quel piccolo demone di Laura. E questo accade
anche se si ha lo stomaco forte, motivo per il quale quel V.m.14 risulta più
che giustificato. Se si riesce a trovare un varco tra tanta emoglobina e
frattaglie esposte con compiacimento, il film sa rivelare il suo cuore più
struggente e malinconico, dimostrando di aver capito (forse anche di più che i
fumetto stessi) le potenzialità drammatiche dei personaggi di Logan, di Xavier
e di X-23, spingendoli oltre il limite di quasi tutte le loro rappresentazioni
cartacee presenti e passati. Non si tratta quindi solo di "budella e pazzia",
poiché in questo campo la saga cartacea "Wolverine the best there is"
di Charlie Huson e Ryp, o l'arco narrativo "cervello fuso" di
Wolverine: Weapon X per me rimangono, giusto per citare "solo"
le produzioni recenti, ancora picchi belli alti di "perversione",
quasi impossibili da raggiungere. Parliamo invece di drammaturgia, e il dramma è
da sempre il "pane" della serie cinematografia degli X-Men. Una serie
che ha saputo radicarsi nel tessuto della Storia umana. Che da anni
veicola messaggi importanti come l'integrazione dei "diversi" nella
società, la fiducia nel prossimo, nell'istruzione e nel ruolo della
famiglia allargata. La saga ha per questo creato grandiosi personaggi
tragici, facendo uso di attori teatrali per dargli una voce e un corpo potente ed
evocativo. Ma la tragedia per sua natura vuole "il sangue", la
sofferenza. E se negli anni abbiamo assistito a capitoli molto drammatici (ho
ancora negli occhi il brutale sterminio di molti eroi ad opera delle sentinelle
in "Giorni di un futuro passato") per me questo è a tutti gli
effetti il capitolo finale della serie X-Men cinematografica, il punto di non
ritorno più adulto e definitivo. La "vera" apocalisse, in raffronto a
quella "mancata" da Singer nell'ultimo film. Il capitolo nichilista
che racconta come i mutanti siano alla fine stati tutti sterminati. Ed è un
capitolo grandioso, forte, potente e disperato, che Mangold trasforma in
un western crepuscolare stile Gli spietati (e nei fumetti sparsi
nel film riecheggiano in questo i racconti sui pistoleri, il riferimento pop
per raccontare la storia che Eastwood usò proprio ne Gli Spietati),
prosciugando di ogni "battutina di alleggerimento" e scavando nella
sostanza più magnetica e magmatica di questi characters. Viene alla luce la
ragion d'essere ammaccata di un uomo che conosce solo la violenza e il
rimpianto come Logan. Diventano incubi i sogni infranti di un insegnante che
voleva trasformare dei giovani mostri in eroi amati dal mondo. Si chiude nel
silenzio più autistico una bambina che vorrebbe saper amare ma che è
sempre stata usata solo come un esperimento militare. Per concentrarsi su
questi rapporti, mettendo in primo piano i personaggi, Mangold svuota
ogni paesaggio e preferisce alla grande città sterpaglie e deserto, carica
l'ambiente della giusta tensione emotiva.
Scelto il "non luogo" per
eccellenza, la highway con le sue miglia infinite intervallate dai distributori
di benzina, fa muovere i suoi personaggi, fisicamente ed emotivamente feriti e
malfermi. Ci fa osservare il mondo dai loro occhi, in modo confuso e fuori
fuoco. Privi di tutine attillate e jet ipertecnologici, anche i mutanti più
forti sono nudi, esposti al mondo. E Wolverine l'immortale, Wolverine la
macchina di morte con gli artigli d'adamantio nonché il leader carismatico dei
mutanti tutti, è qui come non lo avete mai visto. Spesso per terra, sommerso da
calci e pugni, mentre cerca con le mani di proteggersi la testa. Spesso intento
a contemplare allo specchio e subire i dolori di un fisico che sembra
marcire, che necessita di continui bendaggi e liquore per scacciare i pensieri.
Un Wolverine che spesso ritroviamo inerme e addormentato in luoghi di cui
non ha memoria. L'eroe è nudo, è debole e indifeso e negli attimi in cui
sfoggia i suoi artigli non c'è traccia in lui del supereroe, ma solo l'ombra di
una bestia ferita e scoordinata che colpisce brutalmente e a casaccio. Anche il
professor X non se la passa bene, chiuso com'è in una prigione che protegge il
mondo dei suoi poteri ormai fuori controllo. Xavier parla con i fantasmi, il
suo lessico da mentore illuminato ha ceduto il posto ai rabbiosi e aspri
rigurgiti volgari di un malato vecchio e abbandonato, il suo potere mentale di
fermare il tempo potrebbe arrivare al punto di soffocare le persone nell'arco
di un chilometro. Ogni tanto il vecchio uomo riaffiora, torna a concentrarsi
sull'aiuto agli altri, ai più deboli, a ogni costo. Ma sono solo attimi lucidi
di un lungo e travagliato sonno senza sogni, scaturito da un senso di colpa
inestinguibile e incontrollabile. Tra questi due uomini distrutti e
autodistruttivi si pone il "futuro". La piccola Laura, chiusa in un
mutismo agghiacciante, che fissa il mondo con tutta l'ingenuità di un
predatore a cui non è mai stata insegnata la pietà o la paura. Ogni volta che la
si confonde con una semplice bambina, lei tira fuori il suo lato più mostruoso.
Deve essere guidata e amata, ma sembra non esserci più tempo e il suo sguardo e
i suoi modi provocano solo inquietudine. Se gli "eroi" sono quindi più
inquieti e inquietanti del solito, risulta comunque difficile empatizzare pure
con Pierce e i suoi techno-soldati, anche se sono indiscutibilmente dei
personaggi "cool". Risulta evidente che le parti del corpo che
mancano a questi cyborg sono state sostituite da arti di metallo a seguito di
lotte estreme contro mutanti incontrollati e pericolosi. Sono a tutti gli
effetti "cacciatori di mostri", non troppo dissimili dai cacciatori
di vampiri di Vampires di Carpenter. Benedetti dalle convinzione di essere
"i buoni", trafficano con arpioni da baleniera (che spesso sparano
nei corpi delle vittime) giocano con lame affilate, amano le armi automatiche e
i pugni d'acciaio. Si muovono su autentici carri armati, la distruzione che
lasciano alle loro spalle è spesso immane e nel tempo libero si occupano della
manutenzione dei loro bulloni. Ma risultano a ogni modo pura carne da macello,
perché tutto in questo film, esseri umani compresi, è biodegradabile e tendente
a trasformarsi in humus, a maggior ragione i personaggi che hanno poco da dire.
Questi castiga-matti definitivi non durano che pochi secondi in un conflitto
diretto e forse averli avuti un po' più "grintosi" sarebbe stato
meglio. Ma vederli cadere come pezzi indistinti di carne in scatola è comunque
una visione sadicamente liberatoria. Sono solo il riflesso più patetico di un
nemico così crudele è distruttivo che non può che rimanere invisibile e
inaffrontabile. In tanta cupezza è molto carino un momento della pellicola che
cita direttamente Mad Max oltre la sfera del tuono. I momenti più lisergici
sono centellinati ma un osservatore attento può comunque scovarli. Ma credetemi
sulla parola: il film è davvero troppo denso di negatività.
Ma i
supereroi non vestono più in pigiamoni gialli?: Il cinecomic si è così bene
affermato negli anni che finalmente riusciamo a cogliere in sala, con film come
questo, uno dei profili più intriganti del mercato del fumetto supereroistico:
la versatilità con cui riesce a catalizzare pubblici differenti. Del Wolverine
cartaceo esistono serie "for kids", serie per adolescenti e serie per
adulti. A seconda dei target, il personaggio può venire declinato diversamente,
risultare spiritoso nelle storie per i piccini, tormentato per gli adulti e infine acquisire una tridimensionalità spesso inaspettata. Ma se con i fumetti
"non ci si confonde" tra un prodotto destinato agli adulti o ai
bambini in quanto c'è lo scrupolo di indicare in copertina i limiti di età
diversi delle storie, questo come può "funzionare" anche al
cinema? Potrebbe funzionare se si presentassero storie del tutto slegate dal
resto della continuity. Logan in parte lo è, però è innegabile che tutti
vorranno vederlo, anche in barba di quel V.m.14, perché questo è l'ultimo
capitolo con protagonisti Jackman e Stewart. Potremmo dire comunque che la saga
originale ha ormai 17 anni e chi la segue dall'inizio sia ormai grandicello,
magari i più giovani sono legati maggiormente a Fassbender e alla Lawrence, ma
la questione rimane. Questo è un film fortemente per adulti, cupo e con una
quantità di splatter che è impensabile anche per gli horror moderni. Non so se
me la sentirei di portare in sala un ragazzino. Sono troppo vecchio però per
capire cosa oggi scandalizzi di più i ragazzini e quindi voglio sospendere ogni
giudizio di questo tipo, anche perché...
Questo è
un film bellissimo: triste, disperato, malinconico ma bellissimo. Gli attori
sono semplicemente straordinari, la regia è perfetta nel suo ritmo da western
crepuscolare post-futuristico neo-medioevale "soft", le musiche,
soprattutto quelle di Johnny Cash, la scelta migliore possibile. Logan fa da
spartiacque tra il vecchio e il nuovo modo di interpretare i supereroi al
cinema. Basta richiedere infinite origin story, basta trattare il pubblico come
un eterno bambinone che non vuole crescere. Questi straordinari personaggi di
carta sono ormai parte dell'immaginario collettivo e possono superare le
barriere di carta e celluloide per entrare sempre più nella realtà. Logan più
che mai qui diventa un uomo vero, autentico. E' una strana strada, interessante
da percorrere. Certo è giusto che i film dei supereroi rimangano ancora
meravigliosi baracconi colorati per distrarsi e divertirsi in sala insieme,
soprattutto in compagnia dei più piccoli. Ma i cinecomics possono ora
diventare anche oggetti misteriosi e tridimensionali come questa ultima
pellicola di Mangold.
Ci
sarebbe da parlare per ore su cosa ci riserverà il futuro degli X-Men senza
Hugh Jackman e, sembra, Stewart, ma fuori dalla sala si avverte in pieno la
malinconica consapevolezza della fine di un'era. Chi aveva vent'anni all'uscita
del primo X-Men va ora verso i quaranta. Ci saranno nuovi mutanti e nuove
storie nel futuro, ma queste sono state "le nostre", siamo cresciuti
insieme a loro. È tempo che nuovi eroi incantino le nuove generazioni.
Talk0
Ho apprezzato molto l'aura di morte e decadenza che si respira nel film.
RispondiEliminaIl finale è amaro... Sopratutto perchè fa capire quante occasioni hanno sprecato in passato per creare un film degno di nota. Dovevano passare 17 anni per fare un capolavoro su Wolverine... E che cavolo!
Meglio tardi che mai :D
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