Sinossi un po' allungata: Siamo dalle parti di Castel Volturno.
In una casina minuta, fatiscente ma piena di ogni comfort (dal
televisore al plasma allo.... "scalda castagne"), vivono, insieme
allo zio (Marco Mario De Notaris), papà Peppe (Massimiliano Rossi) e
mamma Titti (Antonia Truppo, David 2016 per attrice non
protagonista di Lo chiamavano Jeeg Robot), le giovani Viola e Dasy (le
esordienti Angela e Marianna Fontana). Due ragazze solari e carine che, come
tutta la loro famiglia e tutti i personaggi della pellicola, parlano in stretto
dialetto campano, al punto che il film è completamente sottotitolato, come il
Baaria di Tornatore. Dasy è estroversa, ha un carattere forte, porta sempre
da vera rocker dei mezzi - guanti neri come Madonna. Sogna di cantare in
pubblico brani di Janis Joplin, di innamorarsi, di girare il mondo. Viola è timida, coccolona, molto religiosa, sempre con una parola gentile per tutti.
Sogna di vivere felice insieme a persone che le vogliamo bene. Viola e Dasy,
due anime allegre che condividono per una piccola parte, a livello del
bacino, lo stesso corpo. Gemelle siamesi, alla maniera delle gemelle Hilton
protagoniste dello storico film Freak (anno 1931 di Tod Browning). Se non
fosse per quel lembo di pelle spesso nascosto dai jeans o dalla gonna non si
direbbe che sono unite, ingabbiate, condivise l'una con l'altra. Unite al punto
che quando una delle due beve troppo, l'altra prova di riflesso l'ubriacatura.
Viola e Dasy sono così da sempre, hanno accettato la loro diversità perché non
hanno mai visto possibili alternative e sembrano felici. Con qualche difficoltà
riescono pure a correre sulla spiaggia giocando con un pallone. Possiedono
entrambe voci intonate per la gioia di papà Peppe, il poeta della famiglia, il
cantante mancato che le ha istruite a dovere fin da piccole per farne un duo
neo-melodico. Ma nonostante questo talento, la gente che accorre ai concerti
oltre ad ascoltarle vuole "toccare quel legame", mettere mano a quel
lembo di pelle misterioso che lega Viola e Dasy. Viola e Dasy in fondo, anche
se "non se ne preoccupano", anche se sono coccolate e amate da questa
strana famiglia (che in fondo è meno disfunzionale di altre), sono
"mostri". Mostri nell'accezione più oscura e originale del termine:
"corpi da mostrare", che vengono caricati di significato spesso e
solo dagli occhi di chi li guarda. Occhi interessati alla loro diversità, al
loro essere stranezze fisiche. Nella scena della comunione ad una bambina
viene detto dalla madre, invitandola a toccare quel punto al bacino:
"Tocca, tocca che porta fortuna!". In fondo per tutti Viola e Dasy sono dei
"corpi". Corpi che fanno sentire i normali più fortunati e al contempo crudelmente curiosi. Un aspetto il film
rimanda a Marco Ferreri, amabilmente omaggiato,e al suo storico e scomodo La Donna Scimmia. Corpi che "per chi ci crede" forse sono
segno di un intervento divino, i "diversi" visti come angeli,
magari in grado di compiere miracoli. Aspetto che ci rammenta invece uno dei
passaggi più struggenti di Educazione Siberiana trasposto al cinema da Gabriele
Salvatores. Tanto che la gente guardi le gemelle come cantanti che come sante,
la loro famiglia coglie queste suggestioni al punto da superare e
supportare, a modo suo, i limiti dell'handicap, arrivando però a fare troppo, arrivando quasi a "branderizzarlo".
E' così diventato per la famiglia una bandiera e una piccola hit il brano
di chiusura dei concerti delle gemelle: "Indivisibili". Questo titolo viene
usato anche come nome del duo, scritto in grande insieme al recapito telefonico
sulla fiancata del furgone che porta il gruppo ai concerti e che guida sempre e solo papà Peppe. Le cose vanno
bene, il brand funziona. Un grosso produttore (Gaetano Bruno) rimane
affascinato e si sta già muovendo per farne le nuove Tantangelo. Le
gemelle sono ugualmente richieste dal parroco locale (Gianfranco Gallo),
perché ci sono pure testimonianze di gente che ha toccato "quel lembo che
le unisce" e che poi ha sentito "profumi mistici", ha ricevuto
miracoli, ha cambiato la vita. Anche quello è un business, tutto fa business. La famigliola intera gravita nell'entourage di queste due
sante/neo-melodiche, tra un concerto per i 16 anni e uno per un matrimonio, con
tutto il folklore che ci è noto (a noi che non viviamo in quella splendida e
vivace area d'Italia) da film come Song'e'Napule dei Manetti Bros e dal
fortunato programma di Real Time Il boss della Cerimonie. Poi
qualcosa cambia. Mentre stanno sempre in giro con il loro furgone, sempre sorridenti, Viola e
Dasy stanno per diventare adulte. E accade il "fattaccio", nella
persona di un medico interpretato da Peppe Servillo (cantante degli Avion
Travel che non a caso in Paura 3D dei Manetti interpretava un tipo pericoloso).
Il medico vede le gemelle e subito è sicuro, lapidario: non ci sono organi in
comune, le può dividere. Lo farebbe gratis. Lo farebbe però a Ginevra, per un
pallino suo, e per il viaggio e la sala occorreranno ventimila euro. E visto che saranno tra poco maggiorenni la scelta di fare o meno l'operzione potrebbe essere tutta delle sorelle. Dasy
vorrebbe toccare il cielo con un dito. Potrebbe girare il mondo, innamorarsi,
andare alle due di notte a prendersi un gelato, ubriacarsi senza avere il senso
di colpa di aver fatto ubriacare Viola. Viola è spaesata, è emozionata o forse solo subisce
l'emozione (attraverso il corpo) di Dasy, ma ha più paura di restare sola
rispetto ai molti vantaggi della libertà. La famiglia invece entra nel panico
al punto che è lei a diventare il vero "mostro". Papà Peppe reagisce
con rabbia, vede svanire i suoi sogni di autore musicale e il futuro delle sue
bambine, perché è convinto che, in questo brutto mondo, senza quello strano
legame fisico a "sponsorizzarle" e renderle uniche, le gemelle non le noterà più nessuno. Inoltre si rivela
vittima del gioco d'azzardo e inizia a considerare ossessivamente le figlie una
sua proprietà esclusiva. La mamma Titti di conseguenza diventa il fantasma di
se stessa, si ripete autisticamente che separarle sia un male ma non sa cosa
volere veramente. Teme più di tutto il confrontarsi con un marito che sta
diventando sempre più ombroso. Il prete e lo zio, con quest'ultimo che proprio non tollera
quando Daisy dice le parolacce perché "Non è da santa", non
vogliono rinunciare alle loro sante. Soprattutto ora che si deve porre la prima
pietra della nuova chiesa, vederle separate è fuori questione. Che miracolo
sarebbe? Chi ci viene più alla inaugurazione della chiesa poi? Nessuno si preoccupa di cosa vogliano
davvero le gemelle e per le due c'è come unica possibilità solo una fuga,
rocambolesca e sconclusionata, dalla casetta di famiglia. Da qui ha inizio un
viaggio che ha i contorni della favola nera quanto di una prova
iniziatica. Per la prima volta Viola e Dasy saranno sole nel mondo e non è
detto che troveranno un mondo disposto ad aiutarle. Riusciranno a recidere quel
prima accogliente e ora sempre più scomodo cordone ombelicale?
La donna scimmia neo-melodica: dopo il micro-cosmo di Perez, Edoardo de Angelis
torna a raccontare come in Mozzarella Stories una storia corale con protagonista
la campagna campana. Un luogo picaresco e senza tempo, brullo e dai colori
accesi, molto kitch e molto spietato, ma qui dall'animo più gentile. Il
soggetto di Nicola Guaglione punta dritto verso la favola e risulta lontano dal
sangue e la carnalità fatta di dita mozze e teste recise varie della sua opera più
recente e titolata, Lo Chiamavano Jeeg Robot, se non per una interessante/sconcertante soluzione nel finale, davvero "forte" e in grado di
imprimersi nelle retine degli spettatori. Imprimersi come la bellezza acerba e
strabordante delle sorelle Fontana, attrici che con il loro sorriso e forme
avvenenti riescono a distrarci completamente dalla loro disabilità e a farci
desiderare pulsioni non dissimili da quelle provate dal personaggio
di "Marco Ferreri" della pellicola (interpretato da Gaetano Bruno).
Il film non si spinge troppo nel grottesco, ma qualcuno potrebbe fantasticare
sui loro corpi avvenenti "duplicati dalla natura" similmente come si facevano sogni strani negli anni 90 sulla prostituta marziana con tre tette di Atto di Forza di Paul Verhoeven. E
questo crea uno strano corto-circuito nello spettatore che si sente in questo
un po' sporco e morboso, alla maniera di Ugo Tognazzi ne La donna scimmia.
Perché poi le Fontana sono davvero brave e autentiche nel rivelare il loro
animo dolce, l'ingenuità propria delle bambine diventate solo da poco adulte, e anche noi
ci sentiamo in qualche misura "mostri" ad averle guardate in quel
modo, come oggetti di carne, alla maniera dei genitori e del prete e di tutto un microcosmo di
personaggi che prima inconsapevolmente e poi volontariamente vuole che le due
ragazze siano infelici. A peggiorare le cose, le due ragazze sono costrette a cantare, bene, le
classiche canzoni smielate neo-melodiche che vomitano parole di miele su amori
travolgenti e sul fatto che tutti hanno diritto di essere felici allo stesso
modo e possono fare quello che vogliono. Quasi una tortura psicologica che se prima, quando l'operazione non era
ancora possibile, veniva accettata, dopo diviene francamente insostenibile, un
grido di dolore.
Una favola nera: Il film gioca quindi sulla morbosità cui si associa l'esposizione della diversità/
mostruosità fisica, ma è una fisicità solo suggerita, quasi da favola e non certo con la volontà di replicare le suggestioni legate alle sorelle siamesi interpretate da Sarah
Paulson di American Horror Story Freak Show.
Ma anche se cerca di percorrere i territori della favola, questo non
impedisce alla pellicola di essere una favola nerissima. Facile vedere nella fuga delle due
gemelle la volontà dei giovani di andar via da una realtà, quella italiana, che
in piena crisi dei valori fagocita tutto, brutalizza tutto, sembra quasi finalizzata a distruggere
chirurgicamente i sogni dei giovani. La religione sembra un sempre più strano e
confuso orpello del passato. La musica non solleva gli animi, ma mente
idealizzando un mondo che non esiste o non è accessibile allo stesso cantante. La famiglia è un castello di carte che
pur di stare ostinatamente in piedi preferisce incollare a sè i suoi componenti. Ogni possibile
cambiamento dello status quo fa paura, è morta persino la speranza che le cose
si possano migliorare. Rimane l'ironia a salvarci, ma è troppo poco e
bisognerebbe avere la forza di sperare in qualcosa di meglio. Così le due
gemelle scoprono come quella che potrebbe essere una notizia positiva sia in
grado di diventare una maledizione e la morale della loro favola, la fine del
loro viaggio alla scoperta del mondo, avrà dei risvolti curiosi sui quali non
vogliamo rovinarvi la sorpresa. Un finale che si presta a diverse
interpretazioni e che non lascerà indifferenti.
Uno dei film più acclamati a Venezia: anche se fuori concorso, Indivisibili è piaciuto a Venezia ed è entrato anche nella short - list dei titoli italiani che
potevano concorrere come migliore film straniero nella notte degli Academy
Awards ( alla fine è stato scelto Fuocoammare). Un successo che riteniamo del tutto meritato. Molto bravi gli attori.
Massimiliano Rossi interpreta un personaggio complesso, doppio, in grado di
compiere slanci acrobatici tanto nella gioia che nella rabbia senza perdere una
corazza ironica. Il personaggio di Antonia Truppo è ugualmente intenso. Una
donna al limite con un animo troppo a lungo calpestato dalla vita e dallo
stesso marito, che fatica a resistere alle infinite frecciate cattive che lui le invia considerandola alla
stregua di una prostituta. Una donna in fuga dalla lucidità di una vita che non
vuole avere, che non si dimentica, da qualche parte, di essere madre ma che non
ha forza di reagire. Gianfranco Gallo interpreta un prete "che si è perso" e che sembra uno di
quei predicatori americani esagitati.
Vorrebbe quasi essere un anchorman e gli piace cantare con l'accompagnamento di bonghi
africani davanti a una parrocchia in cui sono per la maggioranza stranieri, in
processione lungo una spiaggia in cui la statua di un Cristo di legno rotto è
abbandonata per terra ( e che lui sostanzialmente ignora). Più che delle sante vorrebbe degli elefanti, per rendere più pomposo il suo show. Lo zio Nando di Marco Mario De Notaris èun ossessionato solo apparentemente mite e tranquillo che è così convinto
che le gemelle siano/debbano essere delle sante da non sentire ragione, da redarguirle ogni qual
volta escano dalla "immaginetta mentale" che ha cucito per loro. Il Marco Ferreri di Gaetano Bruno è un uomo che
vive di eccessi, un esteta diventato quasi indifferente al mondo al punto da accumulare stranezze sul suo piccolo zoo galleggiante.
Angela e Marianna Fontana, circondate da tutti questi "mostri", con
la loro giovinezza e la loro voglia di "staccarsi" da questa famiglia allargata, rappresentano forse l'unico spiraglio di luce, gli unici
personaggi positivi di questa favola. Hanno interpretato il "corpo
condiviso" di Dasy e Viola con molta umanità, vulnerabilità e
determinazione in una prova di recitazione difficoltosa tanto a livello fisico
che emotivo, ma che si è rivelata in sala davvero interessante. Il regista è
stato bravo nel costruire un mondo con poche pennellate, allontanandosi con classe
dalle facili derive patetiche, usando bene l'arma dell'ironia e adottando un
sorprendente registro action. Ma soprattutto si è dimostrato un ottimo
direttore di interpreti.
Non si può infine non parlare del lavoro di Enzo Avitabile per le canzoni. Dei
brani che diventano quasi l'inconscio del personaggi e arricchiscono davvero il
film, ne scrivono il DNA.
Indivisibili è quindi un film notevole, che possiede diversi livelli di lettura
e riesce come pochi ad incantare. Abbiamo di recente visto Il Racconto del
Racconti di Garrone e il supereroe di Mainetti e dopo questa favola moderna di
De Angelis ne vogliamo decisamente ancora. Vogliamo che il cinema italiano
continui, come in passato, come con Fellini e con Ferreri, a raccontarci favole
piccole e grandi.
Talk0
Davvero un film bellissimo! Mi ha incantato e mi hanno incantato loro due...
RispondiEliminaSiamo d'accordo!
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