Conoscete PhilipDick, spero. Scrittore di fantascienza prolifico quanto geniale e
bistrattato, muore povero in canna definendosi nell'autobiografia
letteralmente “uno scrittore di merda”. Poi qualcuno va a
riscoprire le sue opere, dei contenitori stracolmi di idee condensate
spesso in poche pagine, arriva la consacrazione post mortem e Hollywood inizia a capitalizzare sui lavori del de cuius, che in mano
a grandi registi divengono blockbuster e classici della fantascienza
cinematografica. Da un racconto di Dick, Ridley Scott tira fuori
Blade Runner, complessa riflessione sulla deriva dei valori moderni
e sulla schiavitù in cui, sullo sfondo di una megalopoli sviluppata
in verticale, dove i bassifondi stanno al piano terra, cacciatori di
“lavori in pelle” inseguono cyborg, che avendo scoperto di provare
valori umani, non vogliono morire. Sempre da Dick, Spielberg in
Minority Report racconta di come nel futuro, per mezzo di entità
telepatiche, sarà possibile prendere i criminali prima che
commettano un delitto, interrogandosi però su quanto tale sistema
possa essere in assoluto privo di errori. Per finire, le opere di
Dick che hanno ispirato il cinema sono ancora molte, qui riporto solo
le più note, dal racconto di Dick “sogni in vendita”, in totale
ventitre pagine scarse, nasce un copione cinematografico che, dopo la
bellezza di 42 versioni diverse, cambi di produttore e rigista nonché
attore, diviene nel 1990 il blockbuster di Paul Verhoeven Total
Recall, da noi Atto di Forza.
Ecco la storia del
primo Total Recall – Atto di Forza. Dino De Laurentis acquista il
copione originale e subito va in paranoia perchè era dannatamente
fuori budget, la cosa più cara da produrre di sempre. Tutti vogliono
dirigerlo, tutti gli attori vogliono farlo, ma costa una pazzia e,
soprattutto, ha una divisione in tre atti di cui i primi due
splendidi e il terzo tremendo. Si va di riscrittura in riscrittura
fino a quando si decide di spostare la seconda e terza parte su Marte e avviene la svolta, sceneggiatura bomba. Pronti per
partire, fino a che tutto crolla di nuovo: De Laurentis è fuori dai
giochi, bisogna ripartire da capo. Ecco che quindi si palesa un omone
austriaco di due metri che ha letteralmente dominato i botteghini
anni ottanta: Arnold Schwarzenegger. Conosce la sceneggiatura,
conosce lo sceneggiatore, consiglia all'amico produttore Mario Kassar
della Carolco Pictures di comprare il tutto e quest'ultimo lo fa. Non
soddisfatto, chiama a dirigere i lavori un astro nascente di
Hollywood, quel Paul Verhoeven che dopo l'eccelso “L'amore e il
sangue “ e “Soldato d'Orange” con Rutger Hauer (che guarda
caso interpretava l'andoride in Blade Runner...) ha sbancato i
botteghini con il primo, magnifico “Robocop” (anche qui fa specie
come in futuro usciranno fumetti e videogiochi che vedranno
contrapporsi Robocop a Terminator, il personaggio-icona di
Schwarzenegger....si può dire a ragione che Arnold abbia sempre
trattato con occhio di riguardo la “concorrenza”). Se il
protagonista del racconto di Dick è un impiegato che sogna di essere
un agente segreto, si tormenta e quindi va a farsi impiantare i
ricordi, il Quaid di Schwarzenegger è un operaio dall'aria molto
meno grigia che sogna di andare in vacanza su Marte dopo aver sognato
di camminare sul pianeta rosso insieme a una sventola. Cambia il
tono dell'opera, anche in virtù delle doti di ironia e prettamente
fisiche del gigante austriaco. Vengono aggiunti mutanti e alieni e
il tutto shakerato da una colonna sonora da urlo, effetti speciali
grandiosi e ricchi di trovate visive (di Rob Bottin e Stan
Wilson, già all'opera su Robocop e futuri grandi nomi degli effetti
speciali), una mano ferma e chirurgica a dirigere il tutto. Volete la
ciliegina? La co-protagonista, futura diva Sharon Stone già di una
bellezza abbagliante (non a caso sarà sempre Verhoeven a sceglierla
per Basic Instinct). A tutto si aggiunge una sceneggiatura geniale
che insiste, fino alla fine, sul fatto che sia tutto vero o tutto un
sogno, che la realtà sia duplice. In casa del protagonista c'è una
parete che si trasforma in finestra che dà su uno scenario
olografico, la segretaria della Rekall che muta il colore delle
unghie solo toccandole, il vero aspetto di alcuni dei personaggi.
Tutto è doppio, tutto può e allo stesso tempo non può essere
autentico, lasciando lo spettatore libero di decidere da solo.....ma
se si fa caso a quella particolare traccia della colonna sonora che
si sente in quei due determinati momenti....Capolavoro. Una delle
migliori pellicole di sempre. Con l'uscita in vhs all'epoca avevo
apprezzato come la casa distributrice si fosse premurata di accludere
alla confezione anche il racconto originale di Dick, un atto di
grande rispetto.
Passano gli anni e
il regista di Underworld, Len Wiseman, invece di dedicarsi appieno
alla saga di licantropi contro vampiri, magari offrendo forzieri
pieni d'oro per far tornare della partita Scott Speedman (ma posso
capire che ancora non digerisca la relazione frugale avvenuta tra
quest'ultimo e la coprotagonista di Underworld Kate Beckisale, moglie
di Wiseman), decide insieme all'oggetto misterioso irlandese, al secolo
Colin Farrell (magari portava bene, era presente in Minority
Report..), di fare un bel remake di Total Recall. La cosa di per sé
risulta fattibile: il primo Total Recall è un film che si basava su
una sceneggiatura con diverse libertà rispetto alla traccia lasciata
da Dick, dicevamo l'introduzione di Marte e la trasformazione del
personaggio per adattarlo alla fisicità di Schwarzenegger. Ma
davanti a tanta nuova linfa da dare all'opera ecco il disastro. O
meglio, un uso del tutto selvaggio del copia-incolla. Wiseman ha
un'intuizione che sulla carta poteva essere geniale: unificare gli
universi narrativi di Dick a livello visivo e contenutistico. Ed ecco
che l'ambientazione viene mutuata da Blade Runner di Ridley Scott,
con palazzi infiniti in altezza, contaminazioni orientali con
dragoni, buddha e quant'altro, città divisa in livelli, alti-ricchi,
bassi-poveri e pioggia costante. Per di più ci sono in giro cyborg e
androidi (questi puzzano parecchio di “Io Robot”) vari come in
Blade Runner. Da Minority Report di Spielberg copia il sistema
autostradale, i computer olografici, alcune stranezze delle armi e
dei sistemi di camuffamento. Da Total Recall riprende gli
inseguimenti forsennati, la strumentazione per l'impianto dei
ricordi, un paio di trovate sul vero-falso. Da Bourne Identity di Ludlum, copia tutto il personaggio principale: non copiando
Schwarzenegger viene quindi copiato Matt Damon in un altro film.
Tutte le trovate più interessanti, divertenti e riuscite del Total
Recall originale vengono cassate o prese in considerazione per un
paio di scene ad effetto nostalgia. Insomma un maxi omaggio al mondo
di Dick immaginato da Hollywood, supportato anche da ottimi effetti
speciali e buon ritmo. Peccato non vi sia un solo grammo di
originalità. Si potrebbe quindi chiudere un occhio e acquistare
sereni, film orrendi sono ben altri, ma l'amaro in bocca rimane
davanti a un prodotto privo di anima, le cui idee migliori sono
riprese integralmente da altro. A supporto di Farrell due
super-gnocche, la summenzionata Beckinsale nel ruolo che fu della
Stone e Jessica Biel, che, per idiozie di trama , si mostrano sempre
ultracoperte, manco vivessero in Alaska....ma si può?!
Talk0
Nessun commento:
Posta un commento