martedì 12 marzo 2024

Memory: la nostra recensione del film romantico e malinconico, scritto e diretto da Michel Franco, con protagonisti Peter Sarsgaard e Jessica Chastain. Vincitore a Venezia con la Coppa Volpi per il miglior attore

A Whiter shade of pale, dei Procol Harum. Un pezzo del 1967, tratto dall’album Summer of Love. Qualcosa di molto sdolcinato che in genere si balla lento durante le feste scolastiche. 

È ascoltando questo pezzo a una riunione di ex alunni che il loro sguardo si incrocia. 

Lei, Sylvia (Jessica Chastain), è una rossa sui quaranta dall’aria stanca e disincantata, un’assistente sociale con una famiglia disastrata, un brutto passato di alcolista e pochissima voglia di trovarsi lì, trascinata a forza dalla sorella Olivia (Merritt Wever). Lui, che scopriremo in seguito chiamarsi Saul (Peter Sarsgaard), è un bell’uomo sorridente forse della stessa età, che non si ricorda di niente e nemmeno, come non conosce i motivi per cui si trovi lì quella sera, ma appena vede Sylvia “sente qualcosa”. 

I Procol Harum affondano con il loro “We skipped the light fandango” e nel mentre Sylvia ha già “skippato la festa”, è letteralmente in corsa verso casa, a piedi, camminata veloce, preoccupata. Dietro di lei c’è ancora Saul, che la segue e forse insegue, sorridendo, lungo la strada principale, attraverso il parco, fin sotto casa sua. Sylvia si è blindata in casa e questo tizio che lei non ha ancora capito chi sia è fermo sotto la sua veranda, immobile. Inizia a piovere e lui è ancora lì imperterrito, quasi sinistro, per tutta la notte. 

Arriva il giorno e il tizio non è più davanti all’uscio, si è abbandonato tra i copertoni usati di un gommista poco distante, avvolto in un sacco della spazzatura usato come coperta. Dorme come un bambino.  

Sylvia chiama il numero di telefono che trova nel portafogli di “Saul”, risponde Isaac (Josh Charles). Isaac dice di essere il fratello e racconta della strana malattia di Saul: ha una forma di demenza che ne compromette la memoria in modo grave da tempo, facendogli dimenticare anche avvenimenti molto recenti. Non ricorda quasi nulla del suo passato e necessita di molte attenzioni. Ogni tanto “se lo perdono” e per questo la figlia di Saul, Sara (Elsie Fisher), che presto andrà al college, gli sta preparando un bel foglietto con le sue generalità da portare sempre con se, al collo, sostenuto da una collana di perline. 

Per Isaac ad attirare Saul potrebbero essere stati i capelli dì Sylvia, molto simili a quelli della sua defunta moglie. Uno scherzo della memoria.

Compensa la situazione e accertatasi del fatto che Saul sia tutto sommato “innocuo”, Sylvia propone che con il suo lavoro da assistente sociale potrebbe dare una mano a Saul, assisterlo nei momenti in cui la figlia o il fratello non sono reperibili. La donna scambia il suo numero con Isaac.

Tuttavia, sfogliando un vecchio annuario, in Sylvia riaffiora qualcosa di sinistro dal suo passato, anche se forse le appare ancora un po’ indistinto. Su quello spunto matura un’idea ben diversa da quella di aiutare Saul e la sua famiglia, ha in serbo un “piano di vendetta”. 

Decide di accompagnare Saul per una camminata nel parco e quando sono soli lei gli rivela di ricordarsi benissimo di lui: era non ancora maggiormente quando quattro ragazzi della sua scuola avevano abusato di lei e sicuramente Saul era in quel gruppo.

Saul si scusa, anche se non si ricorda nulla di quella vicenda. Sylvia non ci crede e per “vendetta” lo lascia da solo in una zona isolata tra il verde, senza portafogli e documento di riconoscimento, a perdersi immerso nella natura. 

Il pentimento però arriva presto, quando la sorella Olivia, che ha fatto ricerche sul conto della sua nuova strana frequentazione, con una telefonata la rassicura sul fatto che Saul non era nemmeno nella stessa scuola quando la sorella era stata aggredita. 

La donna ritorna da lui, lo trova, gli riporta il cartellino e il resto, si scusa, mentre lui la guarda sorridente come se non fosse mai accaduto nulla, come se non fossero passate diverse ore.

Sylvia ha agito di impulso per via dei tanti conti in sospeso con il passato, alcuni dei quali riguardano anche il rapporto conflittuale con sua madre Samantha (Jessica Harper), così come ha troppo alcol alle spalle e un futuro che non riesce nemmeno a immaginare, nel quale spera solo di essere per la figlia una persona migliore. Saul ha un passato come del tutto annullato, vive un presente felice anche se spesso finisce disperso da qualche parte o non si ricorda di cosa parla un film che sta vedendo. Guardare Sylvia lo rende felice e gli basta. Spesso a casa mette su disco A Whiter shade of pale, dei Procol Harum, e lo ascolta e riascolta felice pensando a lei. 

Riuscirà anche Sylvia a vedere Saul ed essere felice, mettendo da parte tutto il passato, concentrandosi sulla gioia del presente senza preoccuparsi troppo del futuro? 

Sembra una strada difficile, ma piano piano tra lo smemorato e l'assistente sociale inizia a svilupparsi un legame molto forte, in grado di andare oltre alle parole e alla memoria. Un legame fatto di sguardi e gesti d’affetto che rivoluzionerà la vita di entrambi, anche se inizialmente preoccuperà i rispettivi parenti per le difficoltà intrinseche di questo tipo di relazione. 

Ma in fondo A Whiter shade of pale, dei Procol Harum, è un brano che racconta dell’importanza di “lasciarsi andare” ed essere felici. A dispetto di tutti e di tutto. 


Il regista e sceneggiatore Michel Franco ci racconta una love story, con lievi tinte di thriller, con al centro due straordinari interpreti che si sono ritrovati sulla scena con estrema naturalezza e complicità. 

Memory è un film che si basa su una premessa tutto sommato semplice: un uomo “soavemente” smemorato che incontra per caso una donna che ha dedicato fin troppo a pensare ai suoi traumi, “perdendosi” tra l’alcol e i rimpianti delle mille ossessioni che si sono accumulate. Franco ci parla del bisogno di  affettività, della solidarietà tra persone “ferite dalla vita”, del rimpianto e delle soluzioni “mediche e tossiche” legate a quel costrutto misterioso che chiamiamo “memoria”, ma più di tutto ci racconta di come due anime si avvicinino, prima si scontrino e infine riescano a trovare uno stato di grazia reciproca. 

Come in Harry ti presento Sally, come in Qualcosa è cambiato, come per qualcuno in Mr e Mrs Smith (per me,no), Sarsgaard e la Chastain sembrano essere entrati così in sintonia con i loro personaggi da innamorarsi per davvero sotto le telecamere. Al punto che perfino una scena chiave del film, centrale per l’evoluzione emotiva di entrambi i personaggi (la scena “della vasca”), sembra qualcosa di non scritto, di improvvisato sul momento, “nato per caso”, con una naturalezza del tutto non programmata, autentica quanto vitale. 

Qualcosa che è scaturito da una magica intesa di corpi e sguardi più che grazie a mille sceneggiatori di Hollywood. 

Ci si sente “quasi in imbarazzo”, a guardarli da spettatori di un cinema a pomiciare in un multisala buio, insieme ad altre duecento persone, per il modo spontaneo e sincero con cui i due si cercano e scrutano a vicenda, accoccolandosi e rincorrendosi, risolvendo le principali questioni di convivenza quasi senza parlare, senza snocciolare frasi da baci perugina.


È davvero “pura recitazione”, se vogliamo primordiale come quella che insegnano al primo anno di scuola di recitazione: “mettervi a coppie e fate gli innamorati.” Ma non per questo è meno potente. Perché “come imparare a cucinare un uovo sodo” può essere di certo tra le prime ricette di un libro di cucina, ma saper cucinare un ottimo uovo sodo richiede sempre una raffinatezza e attenzione sublime.  Da fuoriclasse. 

Peter Sarsgaard è molto bravo, ha un sorriso sghembo, occhi da bambino e una corporatura quasi troppo grande, che incurva per sembrare più basso. Ha un lungo curriculum televisivo e cinematografico, per qualcuno può confondersi con Colin Firth, ma non è tra i volti più famosi del cinema e per questo è una felicissima sorpresa. Il suo Saul è un uomo che ha accettato stoicamente la sua condizione e cerca di vivere nel mondo senza creare disturbo a nessuno, consapevole di aver magari fatto dei torti di cui non si ricorda quanto del fatto che non è più in grado nemmeno di vedere un film senza dimenticarsi la trama ogni venti minuti. Tuttavia è un uomo che è spinto da una forza misteriosa ad amare. È un ruolo che ricorda la vita reale di Augusto Gongora, come raccontata nel bellissimo e struggente docu-film La memoria eterna, di Maite Alberadi. 

Jessica Chastain è invece semplicemente una delle più straordinarie e versatili attrici di Hollywood, in grado di interpretare letteralmente qualsiasi personaggio con assoluta credibilità e naturalezza. Vedere la Chastain così innamorata e indifesa, nei panni di una donna “incasinata” come Sylvia, è qualcosa di ancora una volta inedito, nuovo e inatteso, soprattutto grazie alla chimica con il suo partner sul set, che sembra quasi frutto di una frequentazione decennale. Sylvia è una donna in perenne lotta con se stessa e con gli altri, una donna spesso messa in secondo piano e alla disperata ricerca di una tranquillità che non riesce forse nemmeno a immaginare. Il modo in cui il personaggio di Sarsgaard riesce ad accettare il suo dolore e renderla più serena anche con un solo abbraccio i un gesto maldestro, scatena delle piccole gioiose rivoluzioni nel carattere di Sylvia. Quasi la trasformano. 

Molto brava anche Jessica Harper, a cui viene affidato un ruolo breve, ma piuttosto complesso e centrale nella trama. Un ruolo “respingente” sul piano emotivo ma che risulta molto coerente sul lato psicologico, che bene si incardina al tema portante della narrazione di Franco, aggiungendo particolare spessore e gravità anche al personaggio della Chastain. 

È un film d’amore e traumi ma che tra le righe ci parla anche di volontariato, di associazioni come gli alcolisti anonimi, delle reti sociali e delle molte cure indispensabili per fronteggiare le difficoltà che la malattia ogni giorno presenta. È un film che parla con garbo anche delle piccole strategie del quotidiano che devono mettere in atto i parenti di persone con problemi di salute, per riuscire a supportarli al meglio. Cose pratiche ma impegnative, come trovare un infermiere, essere sempre reperibili in caso di problemi, predisporre una stanza affinché una persona “smemorata” non si faccia male da sola o prenda più medicine del dovuto, preparare cartellini e foglietti di cui munirli nel caso qualcuno li trovi dispersi da qualche parte, munirli di telefonini con gps. Tante attività che possono essere anche faticose e possono qualche volta mettere i parenti dalla parte dei “cattivi”, come capita all’Isaac di Josh Charles: decisamente un fratello preoccupato più che un infido approfittatore che ama rinchiuderlo in una stanza per diletto. Come capita alla Sara di Elsie Fisher, che da figlia ancora giovane deve occuparsi del padre accettando la sua vulnerabilità come il fatto di doversi affidare per le cure giornaliere a degli estranei. 

Memory è un film semplice, che “si costruisce” in modo “semplice quanto perfetto”, grazie a un'ottima intesa tra gli interpreti. È un film dal ritmo lento e malinconico quando A Whiter shade of pale dei Procol Harum, che invita a vivere le felicità del momento invece che a perdersi nei meandri più oscuri della memoria. 

Una pellicola per sentirsi coccolati dalla magia del cinema, come da un “dolce fandango”. Talk0

1 commento:

  1. Non posso che farti i complimenti per questa splendida recensione, la più completa ed esaustiva tra tutte quelle che ho letto finora. Ovviamente sono d'accordo con te: ho visto il film a Venezia, alle 9 di mattina, stanco e a stomaco vuoto :) ma mi sono emozionato lo stesso. Bel regista questo Michel Franco: anche "Sundown" e "Nuevo Orden" erano notivoli. Da tenere d'occhio.

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