Nel cuore della Francia, al centro della Valle della Loira, si trova l’area naturalistica di cinquemila ettari quadrati di Sologne, dove da 210 anni vive e prospera una imponente quercia di 17 metri d’altezza. Il nobile e immenso albero, quasi come il mitologico Yggdrasil, è il fulcro vitale di un intero piccolo mondo, abitato ha creature grandi quanto microscopiche.
È una casa accogliente, che con le sue robuste pareti di legno difende dal freddo e dai predatori.
È una madre che sfama i suoi piccoli abitanti con le gocce di rugiada, le ghiande, i funghi che vi si depositano ai margini e le radici.
Un enorme cantiere in continuo sviluppo, dalla superficie imponente, grandiosa in altezza ma che sottoterra non è da meno, estendendosi tra infiniti canali di radici che ogni giorno diventano più profondi e ramificati, dove ogni singola gocciolina di pioggia arriva idraulicamente ed alimenta come “carburante” la costruzione febbrile di nuove estensioni.
Ma, come spesso accade in natura, tutto è sorretto alle volte è sorretto o “condizionato” da raffinatissime, quanto quasi microscopiche, alchimie biologiche di cui sono protagoniste centrali soprattutto le creature più piccole, quelle quasi invisibili. Un ruolo da protagonista, se non più propriamente da “piccolo villain” o antagonista, spetta quindi al fiero e indomito parassita “balanino” (o Curculio Elephas). È un buffo quanto duttile insettino grigio della famiglia dei Curculionidi, dotato di un lungo rostro/nasone, due antennine rossastre e sei zampette, lungo non più di 10 millimetri da adulto.
Combattendo la forza di gravità, il vento e le piogge, potendo contare solo su un fisico tozzo poco atletico che lo invita più volte a ribaltarsi, il balanino stoicamente affronta la sua guerra quotidiana per sopravvivere e amare, accaparrandosi goccioline d’acqua e piccole ghiande in modo spericolato. È proprio nelle ghiande più grosse che la femmina di balanino, dopo essere stata ingravidata in una travolgente Summer of love acrobatica, (i balanini sono amanti pazzeschi anche a gravità zero, con i maschi che a volte finiscono per morire dopo l’amplesso per la qualità estrema della performance), deposita le sue piccole uova bianche per riprodursi: offrendo una solida casa e un riparo per le future generazioni, da costruirsi nel brevissimo lasso di vita delle creaturine. Senza la quercia i balanini potrebbero quindi non esistere per niente, il loro rapporto è simbiotico anche se spesso invisibile agli occhi dei più, ma spesso se non tenuto sotto controllo anche “maligno”, in quanto pur per sopravvivere guastano le ghiande.
Legatissimo della quercia bicentenaria tanto sul pianto “edilizio” che “alimentare” è anche lo scoiattolo rosso (Sciurus Vulgaris). Come i tassi o le nutrie, ma a piani ben più altri del “bosco verticale” (in quando “sciuro”…ma questa battuta la possono capire solo quello che conoscono il milanese…), lo scoiattolo rosso, ammantato di pellicciotto naturale 100% non sintetico, risiede e accumula cibo bio tra le cavità più esclusive della quercia, anche se a volte pure lui rimane invischiato in complicati problemi idraulici condominiali durante le piogge o la neve.
La vista di cui gode sarà top di gamma ma lo spazio abitativo ne risente spesso, con improvvisate e un po’ proletarie camerette naturali simili a casermoni con letti a castello.
Anche il cibo sarà di lusso, ma ha un basso costo/beneficio in quanto spesso conteso con animali volanti che godono di maggiore agilità nel take away direttamene a chilometro zero dai rami più alti, con lo scoiattolo che deve un po’ accontentarsi di quello che rimane a fine planata.
Tutti gli status symobol hanno il loro costo. Come sanno bene anche le ghiandaie azzurre (o Cyanocitta cristala), che vivono nell’attico dell’albero, pur avendo spesso ai piani bassi una cambusa da ristorante stellato tutta per loro. Con eleganza sfoggiano sulle piume, nella zona collo alta, quella pigmentazione a scacchiera super fashion. Gli uccellini amati da Emily Dickens e dagli Hunger Games sono un po’ timidi ma sgargianti, intrattengono sulla quercia relazioni amorose ricche e nuclei famigliari solidi, ma spesso si trovano ad avere a che fare con i grossi predatori volanti come l’Astore (Accipiter Gentilis), della famiglia degli Accipitridi. Brutali quanto implacabili. Così ogni tanto la caccia alla ghianda si trasforma in un duello aereo alla guerre stellari, dove i rami della quercia e delle altre piante offrono più di una occasione per impalare l’inseguitore in volo, come nella corsa delle overbike sulla luna boscosa di Endor.
La quercia protegge con le sue solide pareti i suoi abitanti più indifesi, anche se le stesse solide pareti a volte diventano vittime delle “culate da accaparramento” dei cinghiali selvatici (Sus Scrofa). Che sia primavera, estate, autunno o inverno, per avere ghiande dalla quercia i cinghialini vanno giù di spallata o culata come i truzzi che danno i pugni ai distributori automatici delle merendine in stazione. Spesso assaltano di notte, forse per evitare la presenza di altri predatori o forse perché più propriamente sono dei casinari nottambuli. Si ubriacano di ghiande, dormono a pancia all’aria a prescindere dalle condizioni atmosferiche, magari si grattano la schiena in modo poco signorile usando qualche ramo. Anche questo è vivere ai piani bassi di una quercia. Mentre vivere dentro alla quercia come sua stessa emanazione, come i funghi, è tutta una storia psichedelica a parte: una storia sulla capacità di formarsi e costruirsi da piccolissimi filamenti (le tecniche di ripresa per rendere il processo sono semplicemente strabilianti, usano probabilmente obiettivi da chirurgia) fino a “disegnarsi” dentro cerchi concentrici, emergere e poi diventare alimento da sballo (specie se velenosi) per tutti i commensali. Pura arte astratta alimentare.
Da spettatori non possiamo che ammirare questo mondo in pieno silenzio, accompagnati dal solo commento di musica sinfonica, facendoci trasportare dai mille suoni della natura e da camere da presa super tecnologiche in una realtà sensoriale diversa, a tratti quasi aliena ma spesso incredibilmente vicina a casa nostra.
Il documentarista Laurent Charbonnier (già direttore della fotografia per Il popolo migratore) e il produttore Michel Seydoux (il Cyrano con Depardieu, ma noto anche per un celebre progetto di adattamento di Dune con Jodorowsky) ci portano all’interno del microcosmo di una quercia secolare, che impariamo a conoscere durante l’arco delle quarto stagioni, dall’autunno fino alla primavera.
Il lavoro di costruzione dello storytelling ha visto la partecipazione di esperti di scienze naturali e l’osservazione giornaliera della quercia e del suo mondo circostante per per cinque anni. È incredibile quanto più essere emozionante ed erotica le vita di un balanino, sempre sospeso tra attività da sport estremi e riproduzione. È ingegnoso come gli scoiattoli adattino la loro quercia/casa che continua a mutare con il mutare del tempo e delle stagioni, nel segno di una edilizia creativa. È tenero immergersi nei nidi di ghiandaia e sui rami-trampolino da cui i più piccoli spiccano il primo volo, quando un secondo prima li avevamo ancora visti in forma di ovetto. È tragicomico è desolante il modo in cui il cinghiale a seconda delle stagioni faccia imperterrito nel stesse cose e si gratti le chiappe negli stessi punti. È pura arte performativa stile Marina Abramovich la continua ricerca estetica ed espressiva di un fungo.
Ogni animale o pianta si incontra o scontra, nascono legami e rivalità, si avverte un senso di famiglia e comunità nel modo in cui i piccoli gruppi fanno fronte comune davanti al freddo, alla pioggia o nei momenti di caccia. Anche il temporale, il vento e la neve hanno la loro voce e il loro ruolo, diventano protagonisti attivi di una vicenda articolata. Il lavoro sinfonico, che spazia dalla musica corale ai tamburi di un action movie, dalle chitarre hippy alle musiche “da cartone animato”, è originale e composto da Cyrille Aufort, già autore ne La marcia dei pinguini. È molto trascinante, variegato e ritmato, ma soprattutto riesce attraverso un uso ingegnoso dei registri sonori a sviluppare un funzionario “linguaggio cinematografico”, in grado di sostenere da solo la narrazione abbinandosi alle immagini, senza bisogno del commento descrittivo audio di qualche narratore/attore. Sul finale un brano molto bello del cantautore Tim Dup ci racconta tutto quello che abbiamo visto come fosse una favola.
L’esperienza è estetica quanto estatica: una pura elegia avvolgente in cui è per lo spettatore bello perdersi. La quercia e i suoi abitanti è un prodigio per le tecniche documentaristiche usate, ma ha anche molto cuore nelle scelte narrative. Un piccolo gioiello.
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