Ci troviamo nella placida provincia americana dei giorni nostri.
Siamo nello specifico nello stato del Massachusetts, nella ridente cittadina di Plymonth fondata nel 1620 dal leggendario pellegrino della Mayflower John Carver.
Il giorno del ringraziamento sta per arrivare e qui è la ricorrenza per antonomasia: tra striscioni, addobbi, parate e tacchini al forno si respira ovunque aria di festa.
Una festa che quest’anno è addirittura doppia, perché insieme al giorno del ringraziamento ricorre anche la festa del “Black friday” dei super saldi pre-natalizi, con l’apertura notturna del locale mega store, il RightMart, prevista per la mezzanotte di giovedì.
Purtroppo tra tanta gioia, ghirlande e voglia di regali, la tragedia è dietro l’angolo.
Quando lo sceriffo Newlon (Patric Dempsey) e Amanda Right (Gin Gershon), parente della ricca famiglia che gestisce il negozio, arrivano al centro commerciale, infuria già un caos quasi dantesco.
Le centinaia di persone che per ore si sono accalcate contro ai vetri del RightMart hanno infine sfondato l’ingresso e si sono fatte largo tra calci e spintoni, travolgendo anche le guardie di sicurezza.
In molti si sono tagliati vistosamente con le schegge di vetro rimaste attaccate alle porte, alcuni sono stati calpestati dalla massa, qualcuno nella frenesia di impossessarsi di una padella antiaderente ha colpito di istinto alla testa chi stava per rubargliela.
Simili ad animali rabbiosi, anche trascinandosi coperti di sangue pur di accaparrarsi una tv gigante in saldo, i clienti del RightMart incedono devastando e sbattendo contro ogni cosa.
Ma qualcuno ride di loro, riprende la scena per i social.
Sono gli amici di Jessica (Nell Verlaque), la giovane figlia del proprietario mr.Right, gli stessi che entrando nel negozio prima della mezzanotte, con la chiave dei dipendenti, hanno contribuito a aizzare la folla in coda con insulti e gesti volgari, fino al punto di farla esplodere.
Anche Amanda infine viene travolta nella calca e cade a terra, con ancora in mano una fetta di tacchino portata lì dalla festa di famiglia per suo marito, il responsabile di reparto Mitch. I capelli ricci di Amanda si attorcigliano tra le ruote di un carrello della spesa che viene spinto con tanta forza e rabbia. La sua testa viene trascinata e urtata più volte, fino a procurarne lo scalpo. La donna muore davanti allo sceriffo, che in un momento di pianto e disperazione scarica tutti i proiettili della sua pistola verso l’alto.
Ci sono dei morti, incalcolabili feriti, una strage.
L’anno dopo Plymonth ancora piange le vittime della notte al RightMart, mentre si prepara alla annuale sfilata del ringraziamento con la banda, il tacchino che fa da mascotte al liceo e i carri allegorici.
Il super store ha preparato degli eventi commemorativi per le vittime, si parla di borse di studio e solidarietà, ma il clima è pesante e qualcuno inizia a parlare di boicottare tutto. Dalla storica casa del pellegrino John Carver scompare la celebre ascia del fondatore della città.
Qualcuno inizia a indossare la maschera e il vestito nero con cappello di Carver, per usare l’ascia destinata ai tacchini su chi ritiene responsabile della notte di sangue dell’anno precedente.
La lista è lunga e alcune persone iniziano a morire nei modi più cruenti e brutali, con le foto dei cadaveri che vengono poi condivise sui social in immagini che li ritraggono sinistramente insieme: mutilati o a pezzi ma tutti seduti, davanti a una tavola imbandita, come vuole la tradizione conviviale del ringraziamento.
In città gli avvistamenti di John Carver si susseguono e cresce anche la paura, specie nel liceo frequentato dagli amici di Jessica Right, la figlia del padrone del RightMart. La paranoia inizia a diffondersi e John Carver sembra ovunque. Ma il killer, nonostante il grande dispiegamento di forze della polizia e tanti cittadini armati e guardinghi, sembra non volersi fermare. Anzi, è intenzionato a portare il caos anche durante la parata storica, causando direttamente al centro del paese incidenti a catena, incendi e ulteriori mutilazioni.
Chi sopravvivrà da questo giorno del ringraziamento?
Un film per chi ama l’horror più classico, fatto da chi ama l’horror più classico. Il regista e sceneggiatore Eli Roth è stato uno dei nomi più interessanti del panorama horror degli ultimi vent’anni. L’esordio folgorante avviene nel 2002 con Cabin Fever, un piccolo body horror gustosamente splatter ma anche molto ironico e satirico, in cui un gruppo di amici capita nel classico “chalet tra i boschi” (alla Sam Raimi) della provincia americana, per poi finire vittima di un contagio cruentissimo, ma che satiricamente non appare meno “cattivo” del modo di trattare i forestieri della popolazione locale. A Cabin Fever segue nel 2005 Hostel e nel 2007 il suo seguito, pellicole altrettanto splatter e sarcastiche, incentrare sulla mercificazione, “dei corpi e del dolore”, che avviene nei cosiddetti paradisi del piacere dell’est Europa. Nel seguito si citano apertamene anche Fulci e Argento e come co-protagonista torna sulla scena Edwige Fenech. Nel 2013 arriva Green Inferno, un omaggio al classico Cannibal Holocaust di Deodato ma in salsa moderna, dove degli squinternati e ipocriti eco-attivisti vengono ridotti a polli arrosti farciti di spezie da dei simpatici aborigeni mangiatori di uomini. Il 2015 è l’anno del sexy thiller Knock Knock, in cui uno spaesatissimo e “perbenista” Keanu Reeves si fa trascinare da due donne bellissime (una delle quali era l’attuale compagna del regista) in un incubo sexy-domestico, potenzialmente letale, che omaggia i sexy horror e al cui confronto Il gioco di Gerard di King è quasi da educande. Nel 2018 esce il suo personalissimo Il giustiziere della notte, con Bruce Willis, dove il classico con Bronson viene rivisitato, mettendo originalmente e spericolatamente alla berlina e “a nudo” il ruolo del giustiziere stesso, nonché la patologia sadico/autodistruttiva che lo muove. I malavitosi appaiono calmi e quasi pragmatici, i giustizieri dei pazzi esagitati pronti a investire ogni dollaro in negozi d’armi pieni di donne sexy e lanciamissili (forse un omaggio diretto a una famosa scena di Jackie Brown di Tarantino). Una ridicolizzazione geniale ma che fece incazzare enormemente molto del pubblico che in genere amava i revenge movie. Sempre nel 2018 esce Il mistero della casa del tempo ed è nella filmografia di Roth un po’ una eccezione alla regola: un horror per ragazzini con interpreti Jack Black e Cate Blanchett, innocuo e accomodante come i Piccoli Brividi, ma con un gusto estetico che strizza alle produzioni Hammer.
Eli Roth è un cultore dell’horror in tutte le sue forme e declinazioni, che ama raccontare da sempre storie di disagio e dolore con ironia, dove i ruoli di vittime e carnefici spesso si confondono e sovrappongono. Film dove il grottesco nasconde sempre criticità sociali e morali specifiche, che l’autore ama spernacchiare a colpi di “corpi arrosto”, maxi vomitate di sangue “post-sbornia”, “eccitazioni inconsulte” dovute all’impugnare un’arma da fuoco. Il “gore” diviene un cortocircuito che punisce e trasforma i personaggi in palloncini che esplodono ma Roth, quando in vena, punta a essere anche un autore “vecchio stampo“, di scuola quasi horror italica anni '70. Idealmente seguace di Fulci e Deodato, ma con certi codici visivi “meta/culinari” pure vicini a Ferreri. Un autore così affezionato a tutto il genere horror da dedicarvi anche interessanti documentari tematici, nonché produttore e sceneggiatore di pellicole come 2001 Maniacs, The sacrament, The Clown.
Un film slasher nato da un trailer realizzato per gioco 16 anni prima. Inevitabilmente il sodalizio tra Eli Roth e Quentin Tarantino è stato folgorante, con il regista di Pulp Fiction che gli ha prodotto personalmente Hostel (a cui ha partecipato anche il leggendario regista Takashi Miike in un cameo!) e poi lo ha voluto anche come attore protagonista, nel suo Inglorious Basterds.
È sempre Tarantino che lo coinvolge nell’amorevolmente strampalato progetto Grindhouse, un film a episodi pieno di sangue, attori che recitano sopra le righe, donne nude e scene d’azione esagerate alla maniera dei b-movie anni ‘70. Incentrato su due mediometraggi principali (poi gonfiati a due film effettivi), diretti da Tarantino e Robert Rodriguez, il progetto prevedeva la realizzazione anche di finti trailer, da collocare all’inizio del film. Vennero commissionati a vari autori, come Rob Zombie, Edgar Wright e proprio Eli Roth, che si “sfogarono” realizzando autentici micro-film pieni di creatività, che avrebbero benissimo fatto mostra di sé in una sala cinematografica del passato specializzata in b-movie. Si può dire che negli anni sono nati sullo stile di Grindhouse alcuni film che ne hanno ripreso bene lo spirito leggero e sanguigno quanto ruspante e “fuori tempo”, come Hobo with a gun, Father’s Day e L’uomo dai pugni di ferro, ma da quei finti trailer è nata anche una pellicola “ufficiale”: Machete di Robert Rodriguez. Per anni Edgar Wright ha poi provato, ancora senza successo, a trasformare il suo trailer Don’t in un lungometraggio, ma prima di lui oggi arriva proprio Eli Roth con il suo Thanksgiving.
In questo trailer di un minuto c’è già tutto il film di oggi: un horror-slasher alla maniera del carpenterianio Halloween, ambientato però nel giorno del ringraziamento americano, seguendo anche quel filone di “sangue e feste” di opere come San Valentino di Sangue e Black Christmas.
Al posto di Michael Meyers troviamo un uomo in nero con cappello e accetta vestito da pellegrino. Un uomo nero che abbatte un grosso pupazzo a forma di tacchino durante una sfilata, per poi fare fuori la classica serie di “adolescenti in preda agli ormoni” (tra cui figura anche Eli Roth stesso, che recita nella scena dell’auto!). Tutto è così folle ed esagerato per efferatezze che “fa il giro tre volte”, con le scene più truci che diventano quasi comiche per l’eccesso di emoglobina finta e teste mozzate di cartapesta: esilaranti e dissacranti proprio come gli “ecologisti al forno” di Green Inferno.
La versione 2023 di un piccolissimo horror di un minuto del 2007. Roth voleva prima o poi tornare a quel trailer/mini-film e oggi, 16 anni dopo, eccolo qui in sala, nell’anno del reboot dell’Esorcista, Saw X e Scream VI.
L’atmosfera è più “moderna”: oltre che il classico Halloween degli anni ‘70, che viene citato e omaggiato più volte, fin dalla prima scena, ci sono molti momenti che richiamano gli horror anni ‘90/2000 come Scream, Final Destination, San Valentino di Sangue “versione 3D”.
Sfiziosa la presenza un Patrick Dempsey che, prima di affascinare il pubblico femminile con la serie Grey’s Anatomy dal 2005, nel 2000 era già in Scream 3, ma soprattutto esordiva nel 1985 con l’horror stra-cult Stuff - il gelato che uccide.
Il villain ha ora rispetto al vecchio trailer una “maschera tutta sua”, che nella sua fisionomia, insieme al costume, gli conferisce quasi l’appeal del V per Vendetta di Moore. Al contempo è però anche una “maschera generica delle feste popolari” come Il costume da babbo natale di Silent Night del 2012 e la Ghostface.
Roth non si dimentica di amare lo splatter e infarcisce tutta l’opera di cattivissimi momenti in cui i corpi esplodono nei modi più cruenti, fantasiosi, buffi ed esagerati. L’azione sulla scena è sempre estrema, cattiva quanto sopra le righe, con le mattanze del killer che più volte si infarcisco di un black humor quasi a livello delle produzioni Troma.
Eli Roth mette invece da parte la sua vena più “kinky”, per dirla come Paul Verhoeven. Il film non ha tutto quell’eros che “con thanatos” funzionava così bene negli horror di genere del passato e soprattutto funzionava nel passato di Eli Roth, che non si è mai dimostrato parco nel mostrare narrativamente in tutte le sue opere (salvo il film per ragazzi con Jack Black) le grazie delle sue attrice in momenti particolarmente bollenti. L’eros è qui trattenuto, contratto, quasi “accettato con l’accetta” di John Carver, anche se infine il regista ci concede la scena dell’allusivo trampolino elastico (che però era più “spinta” nel vecchio trailer) e un momento dall’alto tasso fetish, in cui sono protagoniste le lunghissime gambe della bellissima milf Karen Cliche.
Particolarmente riuscita la sequenza iniziale dedicata al Black Friday, che sembra la versione sadica di quanto più o meno avviene nelle sequenze di caccia agli acquisti nel classico di Columbus con Arnold Schwarzenegger Una promessa è una promessa. Di pari impatto la lunga e articolata sequenza del corteo celebrativo.
Appropriata e al passo con i tempi la critica alla mercificazione del dolore che avviene oggi nel mondo dei social. Se i consumatori resi folli dal Black friday incedono come bestie dissennate, i sorrisi cattivi dei giovani che li riprendono per burlarsi di loro mentre si ammazzano sono pure peggio: parlano di un vuoto di valori ormai fuori dai limiti.
Thanksgiving è un film horror di intrattenimento “spiccio”, divertente e molto sopra le righe, che si mette a pieno titolo nel filone dei “b-movie di razza” che affettuosamente omaggia, ma presenta anche qualche riflessione interessante.
È un film pensato per i fan degli slasher movie, ben confezionato in ogni aspetto, con un villain “simpatico”, attori sempre appropriati e una trama che si lascia seguire senza intoppi, aspettando che la scena successiva sia ancora più esagerata ed estrema della precedente.
Né innovativo né cervellotico, “tira dritto” e lo fa bene, con l’umiltà di non offrire “lezioncine sociali” e un particolare gusto per il grottesco e lo splatter che sa mantenersi dall’inizio alla fine.
È la nascita di un rinnovato filone di horror-slasher sulle feste o rimarrà solo un omaggio a un genere amatissimo ormai quasi “vintage”? A noi che siamo “un po’ vintage” il tacchino è piaciuto e non ci dispiacerebbe un’altra fetta.
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