mercoledì 29 novembre 2023

La sedia: la nostra recensione del dramma surreale e psicanalitico scritto e diretto da Gianluca Vassallo e con protagonista Michele Sarti

Sardegna, oltre 40 gradi, a tutti gli effetti “l’estate del diavolo”. 

Un uomo barbuto, alto e accartocciato in un completo sgualcito e sporco, Pietro (Michele Sarti), trascina una sedia lungo strade sterrate, boschi e piccole abitazioni. È l’arrabbiato con il mondo e con se stesso, ride e impreca a ogni passo, spesso parla da solo e porta in tasca una pistola. 

La sedia e la pistola sono due “lasciti”, l’eredità di un padre appena scomparso ai suoi due figli che ormai gli vivono lontani, assenti. Così Pietro sta cercando per quei luoghi tracce e testimonianze di un fratello che non vede ormai da anni, per dargli quanto gli spetta. 

La pistola è una pistola comune, di quelle che sparano. La sedia è una “Sedia1”, disegnata da Enzo Mari nel 1974: un oggetto semplice ed essenziale fatto di chiodi e legno come la croce di Gesù Cristo, come ci premura di raccontarci alla radio una esperta d’arte in una rubrica culturale. Pietro la trascina perché il suo viaggio è anche “espiazione”, una via crucis con tutto il peso del passato e delle colpe da sostenere. Pietro la trascina perché in un lungo viaggio a piedi, per luoghi diroccati, può essere anche uno strumento di riposo, dove qualche volta adagiarsi o magari far sedere qualche altro viandante al suo fianco. Di recente Pietro ha molto bisogno di sedersi: la sua vita è colata del tutto verso il basso e il caldo che lo circonda in questa Sardegna di fuoco sembra quasi un'anteprima dell’inferno, da combattere con la poca acqua che sul territorio può trovare per rinfrescarsi. Ma intorno a lui, tra paesaggi da sogno e da incubo, non troverà solo natura matrigna. Ci sono donne mute come Nada pronte ad accoglierlo e abbracciarlo senza chiedere nulla in cambio. Ci sono bambini da rincuorare e con cui scherzare su una spiaggia, parlando della cattiveria del mondo e del modo giusto di affrontarlo (anche se credendoci poco). Ci sono eccentrici imprenditori veneti che portano capre al guinzaglio proponendosi come agricoltori solidali e più umani 2.0. Ci sono custodi di campetti da calcio armati di fucile a pallettoni per non voler sentire nessuno schiamazzare mentre tira un pallone. Di notte poi il caldo finisce e appaiono le stelle. Ma il giorno dopo tutto ricomincia e il destino si avvicina alla svolta: l’incontro tra i due fratelli, i due lasciti di un padre strano, un sentimento di amore da ricomporre o distruggere del tutto. Dopo brutti ricordi e troppa solitudine i due potranno vedersi e dividersi il bottino e il futuro: sarà una sedia o una pistola?

Gianluca Vassallo costruisce in Sardegna un piccolo mondo pieni di metafore e suggestioni dove Michele Sarti tra paesaggi unici si muove tra uomini fuori dal tempo, fantasmi e allucinazioni. La cifra è intimista. La messa in scena, aspra quanto essenziale, richiama nel suo uso simbolico degli oggetti scenici il teatro di Bertold Brecht. 

È una storia urgente e intima, quasi “autoanalitica” per parole dello stesso regista, che nella vita è anche un artista di design e arte moderna e ora sente di trovarsi a un bivio. La Sedia1 è “nata” lo stesso giorno in cui è nato anche Vassallo e forse non è un caso che qui diventi l’oggetto “brechtiano” sulla scena, il “fardello da trasportare”. 

Vassallo cerca con un uso molto personale dell’arte cinematografica di trasmettere un stato d’animo tormentato e carico di disillusione, soffocato dal concetto di eredità e discendenza, in perenne e difficile ricerca di tenerezza anche in ambienti “estremi” come la Sardegna a 40 gradi dell’ultima estate. 

“Fa suo” il cinema come fosse una delle sue sculture, occupandosi da solo quasi di ogni singolo aspetto, dalla scrittura alla fotografia, dagli effetti sonori alla cura delle location. Vive la produzione giorno per giorno, costruendolo per gradi il suo mondo e il suo viaggio narrativo, in un momento emotivo per lui particolarmente delicato in cui dice di aver trovato supporto nel mood malinconico dei Radiohead e del loro OK computer, un album che lui ama molto. Come nel disco, Vassallo ricerca vagando tra i luoghi e i personaggi della sua Sardegna una “karma Police”: qualcosa che lo guidi e gli dia una meta, qualcosa che permetta di esprimere il suo dolore e i suoi sogni. Il regista sceglie come “corpo messo a nudo” delle sue emozioni il musicista Sarti, un interprete che con grande trasporto e passione riesce a divorare la scena riempiendola di molti colori, di rabbia quanto di ironia, di fisicità distruttiva quanto di profonda vulnerabilità emotiva. Ogni personaggio diventa essenziale per portare alla luce i molti tormenti esistenziali del protagonista, in incontri/scontri che in qualche modo vanno a ricostruire il suo animo tormentato. Si passa dall’infanzia rubata impersonata dall’uomo con il fucile che piantona il campetto di calcio (Giuseppe Boy), all’indifferenza “bonaria” di una comunità impersonata dal prete Don Luigi (Renzo Cugis), per il quale “tutti si somigliano”, anche gli opposti. L’ingegner Crosetta (Tiziano Polese) con il suo strano “compagno” al guinzaglio sembra invece uscito da Aspettando Godot di Beckett e offre a Vassallo l’occasione di muovere una velata critica al mondo dell’arte quanto a una Sardegna, che per lui si sta “svendendo”, anche emotivamente, al miglior acquirente. Il personaggio della prostituta Nada (Michela Sale Musio) nella sua dimensione di “silenzio”, è l’unico che offre al protagonista Pietro l’occasione per spogliarsi di ogni corazza emotiva, svuotarsi delle troppe parole che logorroicamente lo divorano e affrontare i suoi sentimenti, confortato da una sensualità sincera, quasi materna quanto rara. 

Vassallo ci fa vivere ogni emozione senza filtro, con brutale onestà e genuinità, con una prosa semplice quanto precisa.  

Il viaggio è accompagnato dalla colonna sonora dei Tanake, un gruppo rock con sonorità molto ricercate che riescono al meglio a trasmetterci tutte le emozioni e tormenti della storia con sonorità elettriche e a volte sincopate. 

La sedia è una pellicola che offre il viaggio interiore unico e stimolante nell’immaginario di un giovane artista molto originale, che sta muovendo i primi passi nella settima arte, dopo un paio di prove con i documentari. Il suo punto di vista è particolarmente sperimentale e il suo approccio è spesso personale quando coinvolgente. 

La sedia è un fulgido esempio di cinema come strumento della coscienza e dell’anima: quasi un'installazione artistica moderna, ma al contempo anche qualcosa dì immediatamente accessibile e  avvolgente. Non è per tutti, scalza molti canoni e parla forse di più al mondo del teatro moderno, ma è un’esperienza interessante per chi vuole provare a vivere la sala cinematografica in modi nuovi.

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