Mai un giorno di riposo e lavorare gratis anche se in prepensionamento, per stare ancora vicino a chi lavora e magari preparare i giovani. Questo è il credo di Antonio (Antonio Albanese), anche se poi con i lavoretti in cantiere tira comunque su quelle due lire per l’affitto del pollaio e dell’orto dal Sig. Carlo, che è il suo capo ma anche un amico.
Certo dopo l’ultimo controllo in fabbrica Antonio risulta irregolare e i burocrati proferiscono “ai corsi di formazione degli apprendisti deve pensare la regione”; così al lavoro non ci può andare più e toccherà tirare un po’ la cinghia per il futuro. Al mutuo di casa pensa già la pensione della madre, mentre quelle due lire della sua pensione da operaio per ora gli bastano.
Almeno fino a che non si concretizza per lui il “sogno più grande”, quello che da anni si immagina solo sfuocato, dove in un assolato prato fiorito accompagna all’altare la figlia Emilia. Quando lei era bambina se lo immaginavano sempre quel momento, ci giocavano le domeniche pomeriggio: lui la portava per mani e a volte camminava storto, a volte si sentiva male prima dell’arrivo alla meta e “dallo sposo”. Emilia aveva forse otto anni e rideva, rideva sempre. Ora tutto poteva essere vero, il suo moroso Chicco ha deciso di portarla all’altare.
Al vestito provvede la stessa Emilia, alle fedi i testimoni. Non si pensa a viaggi di nozze perché sono brutti tempi e non si può chiudere il negozio, ma almeno il pranzo da tradizione sente che deve pagarlo tutto Antonio, che è il padre, anche se è una usanza del dopoguerra e ora la spesa se la dividono entrambi i suoceri. Gli tocca ed è felicissimo di farlo. Tanto quando potrebbe essere?
Si dice 25, forse 30.000 euro. Antonio ne vuole chiedere in banca 30, 5 li deve mettere di sicuro per l’apparecchio acustico nuovo di mamma Elisa, che ormai a ogni domanda risponde “sì sì”, ma tutti gli altri 25 sono per il matrimonio di Chicco ed Emilia.
Tanto in banca i soldi sono più di ottanta, sotto sicure obbligazioni, basta giusto accordarsi per il ritiro.
Tutto per il sogno di accompagnare la figlia all’artare e forse al matrimonio questa volta ci porta pure Adele, che è sposata ma ormai tutti sanno in paese che sta con Antonio, mentre alla Margherita, la sua ex moglie che intanto si se rifatta una vita, in fondo la cosa non dispiacerebbe.
Allargare la famiglia, nuovi sogni a occhi aperti.
Poi la realtà al credito artigiano è diversa. Dicono che non va bene togliere ora i soldi, che si era capito male e “carta canta”: non erano fondi messi su obbligazioni ma azioni. Rendono di più però, ora molto di più, è peccato toglierli e non lo vogliono fare. Serve un consulto col direttore.
Quello che si può fare è quindi chiedere un prestito da 30.000 il cui capitale e interessi saranno ammortizzati dalla grossa rendita delle azioni. Sarà come non spostare niente, si recupera in alcuni mesi e tutti felici. Del credito artigiano si conoscono tutti da quando erano bambini, tutta brava gente, è il confessionale di tutta la città. Non può crollare o crollerebbe il mondo. Ci si fida sempre e comunque la prospettiva è ora allettante, roba da fare i salti. Bravo il nuovo direttore della filiale 12!
Solo che allo sportello un po’ defilato c’è quel ragazzo che ha fatto la scuola con Emilia ed è tanto gentile da far entrare Antonio dalla porta di servizio, perché la porta di sicurezza della banca lo “opprime”. Lui il giorno che si apre il mutuo è cupo e quasi non gioisce quando gli dice che l’Emilia si sposa. Anche alla bocciofila il barista Ricky dice che c’è brutta aria in banca, ne parlano tutti i giornali che in zona però non vuole più leggere nessuno. Una cosa “più concreta” però è che anche l’idraulico Peppo sia finito in ospedale per un attacco di panico, dicono dovuto proprio alla situazione del suo conto e davanti alla filiale 12.
Dopo queste voci c’è già alla mattina la coda di chi vuole ritirare i suoi soldi, ma in filiale c’è già un nuovo direttore diverso, che dice di tranquillizzarsi e offre biglietti da visita e numero di telefono per domande più precise. Ora lui non ha tempo, ma sono solo fluttuazioni, roba momentanea.
Il matrimonio si avvicina e la situazione non cambia. Il nuovo direttore è così evasivo che non c’è mai neanche al telefono, tutti i dipendenti sono evasivi e quasi sembra che non vogliamo guardare negli occhi i clienti.
Poi un giorno al supermercato appare davanti ad Antonio il compagno di classe di Emilia. Chiede scusa e dice che si vergogna, lo implora di portare via i suoi soldi appena può, la banca sta fallendo.
Antonio non sa più a chi credere, fino a che il bubbone scoppia.
Il tornitore inizia a cadere in una spirale di paranoia e frustrazione, si dimentica di accudire la madre malata, litiga con tutti, gira a vuoto per la città, non dorme più. Un medico gli racconta che il termine insonnia non ha come significato originale mancanza di sonno, ma proprio mancanza di sogni. Ed è così che Antonio si sente: derubato del sogno di portare Emilia all’altare più che dei soldi, derubato della sua dignità di uomo umile che non ha mai chiesto niente a nessuno.
Antonio Albanese scrive, dirige e interpreta un film dedicato alle molte vittime dei crack bancari: spesso persone comuni che per gestire i loro pochi risparmi si sono affidati alle banche locali, con dipendenti persone con cui hanno fatto la scuola insieme.
La crisi ha reso più instabile il mercato, la cronaca ha documentato come molte banche abbiano agito male e senza tutelare i loro correntisti “più deboli”, nei tribunali si sono moltiplicate le class action, intere comunità hanno rischiato di finire al collasso e molte famiglie si sono inevitabilmente distrutte.
Qualcuno è stato in parte risarcito anni dopo o si è ripreso anche grazie a operatori finanziari più onesti, qualcuno non ha avuto indietro una lira.
L’apparato sociale e il volontariato si sono mobilitati, anche con medici e psicologi, per cercare di aiutare chi si è trovato in questa terribile situazione.
Il personaggio di Antonio incarna a vive all’interno del mondo pieno di incertezze e sogni infranti di queste persone, spesso “troppo gentili” anche per pensare di arrabbiarsi con chi le ha truffate.
Un piccolo mondo antico di provincia, dove la fiducia parte da una stretta di mano e la massima ambizione di una vita di risparmi è riuscire almeno a pagare il matrimonio di una figlia, sperando che una pensione basti per coprire il mutuo della casa. Un mondo di piccoli risparmiatori in questo caso “comaschi”, che spesso per indole conservativa non comprano neanche i gratta e vinci e mai si sarebbero sognati di giocare in borsa, finiti in un ingranaggio crudele del quale qualcuno più senza scrupoli ha sicuramente beneficiato.
Con grande umiltà e rispetto delle istituzioni, Antonio Albanese guarda la realtà “dal basso”. Racconta i suoi personaggi con taglio quasi documentaristico, mentre con umiltà e sorriso lavorano o percorrono le strade provinciali e le vie cittadine di una “provincia” rappresentativa proprio di molte zone del comasco che negli ultimi anni sono venute incontro ad alcuni di questi crack. Il modo di parlare è spesso dialettale e carico dei toni squillanti e della forte autoironia di quei luoghi. In tutti i personaggi traspare una spontanea tendenza a sdrammatizzare le cose, ma anche la caratteristica a volte di lunghi silenzi malinconici.
Albanese sa descrivere bene lo spirito di queste persone apparentemente burbero ma solare come zone dell’alto Lario. Uno spirito gentile ma anche combattivo e solidale, che ci viene raccontato dal regista con dei colori e una passione che non sono troppo distanti da quello della classe operaia inglese raccontata da Ken Loach: i bar e i locali pubblici diventano spontaneamente luoghi di mutuo aiuto, si parla proficuamente di agire conto le banche con le class action, si raccontano percorsi di terapie di gruppo gestiti da professionisti volontari. Il tessuto sociale c’è e si muove, con gentilezza ma anche determinazione, ma il dolore del protagonista è forse troppo grande e Albanese riesce a sottolinearlo anche con un registro visivo diverso.
Il mondo interiore del protagonista Antonio è quasi in bianco e nero, quasi fosse ripreso dalla macchina da presa “distante e documentaristica” del cinema sociale dei fratelli Dardenne, nella sua meccanica e tragica ineluttabilità. Antonio che percorre e ripercorre gli stessi luoghi in silenzio, beve al bar nel solito posto. Antonio che fissa lo schermo della tv la sera, senza guardare effettivamente ciò che trasmette. Antonio che si permette giusto di sognare immaginando un futuro coloratissimo ma “sfuocato”, caldo ma indefinito come un ricordo di quando si era bambini. Intanto la banca, l’unica altra realtà che a un certo punto “lui riesce a vedere” lo stritola con l’indifferenza, lo fiacca con infiniti muri di parole volte a incolpare la sua “leggerezza” negli affari e lo fa sentire solo, con gli sguardi omertosi dei dipendenti che guardano sempre altrove pur di non incrociarlo negli occhi.
Il film racconta la caduta lucida in un incubo, che viene bene sottolineato dalla colonna sonora curata da Giovanni Solimma, in cui i vìolini comunicano la glaciale distanza dei sentimenti e lo svuotamento delle emozioni che preparano all’ultimo atto, spiazzante ma profondamente coerente, liberatorio quanto tragico.
Cento domeniche è un film bellissimo e profondo che arriva allo stomaco come un pugno.
È un film sincero e gentile sulla esasperazione e i sogni infranti, non lascia indifferenti e certo sa parlare al cuore delle tante persone che si sono ritrovate nell’ingranaggio infernale delle banche in fallimento. È anche un film che cerca di immaginare un futuro migliore grazie alla macchina della solidarietà e strumenti di controllo e giustizia più equi, nella speranza che questi prima o poi riescano davvero a fare la differenza.
Molto bravi tutti gli interpreti, come sempre perfetto Albanese nell’indossare la difficile maschera malinconica, ma sorridente, dell’uomo qualunque. Preparate i fazzoletti.
Talk0
Nessun commento:
Posta un commento