lunedì 12 giugno 2023

Billy: la nostra recensione del film di esordio di Emilia Mazzacurati sulla provincia più depressa e disorganizzata, ma commovente, del nord est

Imilia: un piccolo paesino fuori dal tempo e dallo spazio, situato nel nord est dell’Italia. Siamo nella grande “provincia italiana”, il non-luogo che Samuele Bersani descriveva in una canzone “a tre chilometri di curve dalla vita”. Qui le strade sono infinite e deserte il paesaggio brullo e verdastro è uguale all'America “tra i campi” dell’Arizona, stile Little Miss Sunshine. Anche le persone che vivono in questo film sembrano coloratissime e stralunate come quelle uscite da Little Miss Sunshine, perché il nord est dell’Italia è di fatto  una succursale non segnata di quel mondo. In una casetta di Imilia insieme a una mamma divertente, un po’ repressa e un po’ alcolista di nome Regina, (Carla Signoris) vive Billy (Matteo Oscar Giuggioli), un ragazzone sui vent’anni segaligno, dall’aria sorridente e i capelli spettinati. Billy ama trascorrere il suo tempo nel suo fortino segreto: una roulotte tra i boschi con il tetto sfondato, dal quale si può ammirare il cielo e gli aerei che passano. Ogni aereo va da qualche parte e Billy e i suoi amici, i “piccoli giovani di Imilia”,  quando non sono intenti a giocare con qualche gioco da tavolo del covo, guardano e contano aeroplani col naso all’insù: fanno “Airplane-spotting”. Invece per “guardare i treni che passano”, dedicandosi così nel più tradizionale trainspotting, il posto migliore che esiste in zona è il Pitstop di Penelope, situato vicinissimo ai binari e gestito da una donna meravigliosa, anche se molto avida nel mettere la maionese nei panini. Non è un problema: c’è chi risolve portandosi la maionese da casa. I treni passano, gli aerei passano e Billy sta lì da vent’anni. Forse aspetta che suo padre ritorni a casa dopo che è sparito quando era bambino, mentre stavano giocando a nascondino. Avrebbero dovuto stabilire un “tempo massimo” per quella partita. Billy nel frattempo a 9 anni era già diventato lo speaker radiofonico più seguito della zona, gestendo una intera radio nella sua cameretta e conoscendo così canzoni e gesta del più importate idolo rock locale, Zippo (Alessandro Gassman). Zippo era un mito e alla fine è in poco tempo sparito nel nulla, forse anche lui “vittima” di una partita a nascondino. I tempi della radio e dei 9 anni sono finiti, anche se Billy in fondo frequenta ancora e solo ragazzini sui 9 anni: perché dopo quella età pure tutti i giovani sembrano sparire nel nulla per tornare a casa troppo raramente, prendendo infine uno di quei treni o aerei che a furia di guardarli sembrano sempre più affascinanti. In assenza di altri “esseri umani giovani” nei paraggi, con cui condividere la routine, la roulotte o la sera bighellonando tra le panchine del locale Al Lido, chiuso da anni ma ancora con una discreta insegna al Neon, Billy insegue una sirena, Lena (Benedetta Gris). Lena canta vestita da sirena e con una voce degna della mitologica creatura marina, anche se accompagnarla alle serate musicali in motorino con quella coda è un casino. Billy è cotto ma è ancora troppo timido per le danze acquatiche. Regina invece sembra pronta, tra un cocktail e l’altro che le viene servito dalla solerte collaboratrice domestica, a provare a cambiare la sua situazione: magari innamorandosi del pompiere Massimo (Andrea Battiston), single e che vive su una bella barchetta attraccata al molo, quasi un piccolo galeone pirata. È un uomo gentile, forse un po’ troppo fissato con la sua passione monotematica per il legno, ma è “disponibile”. Per attirarlo nella sua casa ha dovuto quasi darle fuoco, ma ha funzionato, la relazione si è avviata: quando si fanno le cose, qualcosa in genere succede. Così Regina subito dopo ha organizzato pure un bel mercatino per cercare di pagare le bollette e l’affitto (e forse pure la filippina tuttofare) e succede un’altra cosa inaspettata: riappare Zippo, la star. A volte ritornano, come scriveva Stephen King. Riappare dallo stesso nulla da cui era scomparso, veste ancora con giacche in pelle, è belloccio e interessato a una surreale pelliccia sintetica di colore blu scuro che Regina vuole vendere. Zippo conosce così Billy e le loro strade si incrociano, si contaminano e “sbandano”: c’è davvero un mondo oltre Imilia o è tutta una fantasia? Perché è così difficile tornare a casa “nella provincia”, anche solo qualche volta, anche solo “per salutare”? Zippo può avere delle risposte, ma nessuno è davvero sicuro che siano le risposte giuste. 


Esiste una provincia strana e con le sue strane regole, giù nel nord est dell’Italia. È un luogo magico quanto in larga parte ancora inesplorato dal nostro cinema, per lo più dimenticato e criptico, ma necessario da comprendere per capire come sono fatti alcuni alcuni dei popoli autoctoni di quella zona, se mai ne incontrerete uno. È gente “di frontiera”, in genere composto da grandi lavoratori e professionisti, che vive sul confine tra l’Italia e il resto del mondo e di fatto spesso “salpa per il resto del mondo”. Cosmopoliti più per nascita che per vocazione quanto nei rapporti umani generosi, anche se caratterizzati da una scorza un po’ ruvida: con quel tipico complesso del porcospino in virtù del quale anche nel film si dice “la gente qui non è così male, anche se io preferisco restare da solo”. Per comprendere lo “spleen”, quel misterioso stato di malinconia, amore e insoddisfazione dei quotidiano raccontato in poesia da Charles Baudelaire, dovreste farvi un giro nel nord est. Ogni tanto qualcuno è riuscito a raccontarci “tra le righe” il non-luogo geografico e dell’animo di chi vive queste zone, come Pier Paolo Pasolini e Tinto Brass (ma anche la voce della cantante Elisa) nelle loro opere più autobiografiche. Di recente ci ha raccontato il nord est il regista horror Lorenzo Bianchini anche con il suo ultimo L’angelo dei murice lo ha raccontato Matteo Oleotto con la serie tv Volevo fare la rockstar e ce lo racconta qui anche Emilia Mazzacurati, figlia del regista padovano Carlo Mazzacurati (quello che nel film comico La lingua del Santo faceva dire al personaggio di Bentivoglio: “la sola Padova fattura come l’intero Portogallo”) alla sua opera prima con Billy


Billy è un’opera con al centro uno Scott Pilgrim atipico, dolce quanto complicato, con il volto del simpatico e intenso Matteo Oscar Giuggioli. Billy vive avventure come fratello maggiore di una piccola banda di Peanuts, tenera ed eccentrica, sparpagliata in casette tra il verde o riunita nella mitica roulotte-covo con il buco sul tetto e illuminata da lucine di Natale collegate a un generatore, piena di giochi e carte con cui passare il tempo. Gli adulti quasi non ci sono, al di là di alcuni “nonni”, in quando la maggioranza sembra davvero scomparire come dopo un rapimento alieno. Chi rimane e sembra “anagraficamente adulto”, come i personaggi della Signoris, Gassman e Battiston, si è già scottato tra responsabilità e tragedie e a conti fatti “rinuncia a essere adulto” e sceglie uno stile di vita quasi-eterno adolescente, avvolgendosi di noia e malinconia. C’è quindi molto “spleen” in questa opera corale dai colori tenui e gli “animi scoloriti” alla Little Miss Sunshine, quanto appare un film genuinamente intimo e probabilmente autobiografico. Chi ha vissuto o conosce quella zona d’Italia qui raccontata, inevitabilmente nella narrazione della Mazzacurati “si riconosce in qualcosa”, magari anche solo a livello indistinto o inconscio. Riconosce qualcosa di unico quando non (ancora) codificato dai canoni consueti del cinema italiano. È un’opera dall’andamento più lineare del solito, quasi simile nella struttura ad una favola per il suo essere piena di sirene, pirati e covi, ma i personaggi sono costantemente immersi in un magma di sentimenti contrastanti intensi. Sentimenti che più che guidarli spesso li ostacolano, li “bloccano”, cercano di incatenarli alla coccola di una quotidianità gentile ma senza via d’uscita fino a che il “bubbone esplode” e inizia il meccanismo di “fuga” sopra descritto. L’ironia e l’autoironia, fin quando ci sono, sono le armi più potenti al mondo per tamponare questo “malessere esplosivo”. Anche l’alcol è un buon tampone, nel nord est diffusissimo quanto in grado di fare danni ulteriori. Alla fine il bubbone esplode e i giovani spariscono dal giorno alla notte, dalla provincia al circolo polare artico, viaggio di sola andata: alla conquista del mondo e al contempo con un senso di colpa lacerante per aver abbandonato la famiglia. Un sentimento che “non molla” a distanza di anni e che muta la favola della Mazzacurati in tragedia esistenziale. Anche chi nonostante il bubbone decide di rimanere, vive circondato da uno strano senso di solitudine, spesso incolpandosi oltre il lecito, spesso rinchiudendosi in una quotidianità meccanica, ciclica e dentata come un ingranaggio. Sentimenti forti e un rapporto con il territorio difficile che accarezzano, se vogliamo, anche le atmosfere del western crepuscolare. È un cinema italiano inedito, figlio di una realtà di provincia inedita rispetto alle province già ampiamente narrate al cinema in cui tutti i sentimenti umani sono esternati per lo più  con la forza e le urla del melodramma. Billy è un film quasi sussurrato, quasi timoroso di esprimere i sentimenti che lo agitano, umanamente irrisolto e non spettacolarizzato, ingentilito dalla grande voglia di sognare che riescono ad esprimere questi personaggi “troppo con i piedi per terra”. Il pitstop di Penelope con le sue luci soffuse davanti ai binari, la roulotte con il buco in cui può entrare la neve, la casa galleggiante da pirata del pompiere di Battiston, la sirena come massimo simbolo dell’amore che esplode nell’adolescenza, il rocker misterioso e leggendario che va in giro con in tasca la maionese e i genitori che scompaiono mentre si gioca a nascondino. La Mazzacurati nella sua opera prima con immaginazione e amore riesce a portarci nel “suo nord est”, un nord est quasi alla Michael Gondry. Ha un tocco leggero anche quando il dramma viene a svelarsi, anche quando il “destino” arriva beffardo a rimescolare le carte di chi sceglie di opporsi a lui. È un film tragicamente ottimista, che sceglie di mettere i sorrisi e il “sogno” sopra alle lacrime. Un film per molti versi complicato e ambivalente che ben si adatta a descrivere personaggi affettuosamente complicati. 


Molto bravi tutti gli attori coinvolti, tra cui si segnala ovviamente Giuggioli, perfetto anche nel duettare tanto con Gassman che con la Signoris. Simpatico come sempre Battiston, Benedetta Gris ha un piccolo ruolo ma è molto interessante, simpaticissimi tutti i piccoli interpreti. Buona la colonna sonora, belli i costumi e la fotografia calda e avvolgente, davvero riuscite le scenografie, dal Pitstop Penelope alla chiatta del pompiere, passando per la casetta di Billy e ovviamente la roulotte-covo. Billy è un film pieno di inventiva che racconta con ironia e malinconia una Italia di provincia poco rappresentata ma affascinante. Un “luogo nuovo” che il cinema italiano dovrebbe provare a esplorare di più. Se vogliamo, il vostro west crepuscolare. 

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