America dei giorni nostri, Stato dell’Iowa. Il cinquantenne ma ancora affascinante Marcus (Woody Harrelson) è un allenatore pieno di talento delle basse divisioni, che sogna la prima serie, l’NBA. Legge libri che insegnano a essere “vincenti nella vita”, non è per le relazioni stabili e per gli amici “troppo stretti”, ha il giusto istinto per interpretare il basket e conosce le strategie vincenti. Purtroppo, a causa della sua continua tendenza a “voler avere ragione”, dimostra scarsa empatia nei confronti dei giocatori ed entra in continui conflitti pure con gli allenatori più pacifici, che spesso deflagrano in vere e proprie zuffe in diretta tv. Dopo aver girato mezzo mondo insieme al suo caratteraccio, per Marc si prospetta la definitiva fine della carriera dopo avere steso il mite Phil Peretti (Ernie Hudson) per una sostituzione negata in una partita già persa. Marcus è particolarmente depresso e piuttosto ubriaco, quando finisce con la sua auto dritto su delle volanti della polizia parcheggiate. A tirarlo fuori di prigione è proprio Phil, che gli comunica contestualmente con gentilezza il suo licenziamento, mentre una terribile giudice, soprannominata “Bloody Mary” per il suo pugno di ferro nei confronti di chi guida ubriaco, lo condanna a tre mesi di servizi sociali, da “scontare” come allenatore di una squadra di atleti con disabilità. In alternativa il carcere. Marc accetta anche se non sa niente di niente in tema di disabilità, perché è convinto di poter essere comunque un allenatore valido per chiunque. È così pronto a fare il suo ingresso in una palestra un po’ fatiscente, per le ristrettezze del “budget legato al sociale”, per conoscere la squadra di basket dei “Friends”, l’ultima tra le ultime nella classifica dei para-atleti. C’è Johnny (Kevin Jannucci), che si occupa di un rifugio di animali, ama il karaoke senza musica di sottofondo, ha una strana paura per l’acqua e una bellissima sorella. Sarebbe in campo una buona “guardia”, ma quando gli si dice di fare un pick and roll si blocca a metà azione. Darius è un buon lavoratore, un figlio devoto e sarebbe pure un vero fuoriclasse come playmaker, ma a ogni richiesta dell’allenatore dice “no”, qualsiasi sia l’argomento o la circostanza, “no” e si rifiuta praticamente di giocare in ogni occasione, per colpa di un brutto trauma. Marlon (Casey Metcalfe) parla un numero spropositato di lingue, sa fare al volo calcoli complessi sulle traiettorie aeree, ama le “longitudini” e ha un corpo molto fragile, che per giocare copre di ginocchiere e parastinchi. È un buon centrale perché sa buttarsi a testa bassa in ogni scontro, ma per lo stesso motivo qualche volta ne esce con qualche arto contuso. Benny (James Day Keith) è un'ottima ala, con un buon intuito e abile sotto canestro, ma lavora come uno schiavo in un ristorante che ampiamente abusa del suo spirito di sacrificio riempiendolo di straordinari, quindi non c’è mai. “Showtime” (Bradley Edens) conosce ogni ballo della vittoria di ogni giocatore della NBA, ma è fissato con i tiri alla cieca all’indietro, che sono quasi impossibili anche per i professionisti. Craig (Matthew von der Ahe) è versatile ma troppo fissato con il sesso, Cosentino (Madison Tevlin) è una prima donna ma sa farsi rispettare e segnare, Arthur (Alex Hintz) è veloce nei passaggi ma tira a caso. Sono tutti speciali a loro modo e tutti ampiamente “affinabili” e così Marc, che prima faticava anche solo a parlare con i giocatori per qualcosa che non fossero gli schemi di gioco, dovrà qui per forza imparare a conoscerli uno a uno per la prima volta, sbagliando e riprovando più volte. Sarà aiutato dell’esperto allenatore in seconda Julio (Cheech Martin) e della sorella di Johnny, Alex (Kaitilin Olsen), attrice Shakespeariana per spettacoli scolastici del dopopranzo e autista improvvisata della squadra, in mancanza di fondi pubblici per un vero bus. Ma soprattutto sarà aiutato da quei ragazzi. Marc si sentirà all’inizio come un pesce fuor d’acqua, ma con il tempo e la loro conoscenza l’idea di arrivare al campionato regionale inizierà a concretizzarsi. A torto di un'apparenza fragile, i suoi giocatori sono di fatto una squadra molto affiatata e il basket riesce a tirare fuori il loro talento. Forse il rissoso allenatore ha trovato il suo posto nel mondo al di fuori della sognata NBA.
Bobby Farrelly insieme al fratello Peter nel 1994 esordiva alla regia con Scemo e + Scemo e avrebbe trovato di lì a poco il grande successo con Tutti Pazzi per Mary, diventando tra il novanta e il duemila un vero autore di riferimento per il cinema comico e demenziale. Un cinema che ha portato in scena situazioni e personaggi sempre stralunati e sopra le righe, che hanno reso celebri interpreti come Jim Carrey, Ben Stiller e Jack Black, ma al contempo un cinema che ha saputo parlare in modo non banale di famiglia, diversità e disabilità, usando un linguaggio semplice quando inclusivo, affettuoso e rispettoso. Nel vortice di gag visive e doppi sensi in cui ogni personaggio viene coinvolto durante queste commedie, la goliardia “più dura” (che porta a risvolti di pena quasi “danteschi”) dei Farrelly è un’arma sempre indirizzata ai “cattivi della storia”: a chi pecca di insensibilità, imbroglia o esercita il potere in modo cinico e arbitrario. L’empatia invece diventa un valore autentico, la cui consapevolezza e sviluppo è in grado di orientare le scelte dei protagonisti fino a modificarne il karma e il loro rapporto con il mondo, che si fa “gentile” più loro riescono a essere gentili. I film dei Farrelly sono quindi film comici esagerati ma racchiudono tante sfumature interessanti, spesso satirici, che li fanno leggere quasi come delle favole moderne. La struttura di Campioni, che è l’adattamento di un film spagnolo ad opera di Mark Rizzo (che come autore ha lavorato ai dialoghi della serie tv Gravity Falls), ricorda per molti aspetti un altro film del 2005 prodotto da Bobby Farrelly, The Ringer, con Johnny Knoxville. Sono qui ancora in scena degli atleti con disabilità con la “missione” di cambiare il karma di un “uomo molto arrabbiato con il mondo”. La storia è come in quel caso semplice e leggera, con una struttura molto classica, ma l’attenzione data allo sviluppo dei personaggi con disabilità non è per nulla scontata e rende l’opera qualcosa di speciale.
“Campioni” sono per la lunga italiana coloro che “scendono in campo”, mettendosi in gioco con le loro forze e i loro sogni al servizio di una comunità (o un lord, essendo la parola inizialmente di uso cavalleresco, ma non andiamo fuori tema). Un vero “giocatore”, come invece ne cantava le qualità De Gregori nella celebre La leva calcistica della classe ‘68, “lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”. I para-atleti di Bobby Farrelly, tutti interpretati da bravissimi attori con disabilità, sintetizzano al meglio questi due concetti, in queste due specifiche accezioni. Vengono descritti come persone che si mettono in gioco a tempo pieno, nel lavoro come nello sport, non volendo giustamente essere trattate con condiscendenza o superficialità per i loro problemi di salute. Sono persone che aspirano a un'indipendenza, nonostante i timori dei loro familiari, qui incarnati dallo sfaccettato personaggio di Alex, che li vedono sempre troppo indifesi nei confronti del mondo e temono di non poter continuare a proteggerli h24. L’impegno di questi atleti nello sport è prima di tutto un'occasione di incontro e sostegno reciproco, con l’atmosfera delle partite che è più simile a una festa che a una guerra, dove nelle squadre non ci sono davvero vincitori e vinti. Tutto questo è felicemente anni luce dai “canoni della competitività” imposti dal mondo moderno e di cui è “malato” il personaggio di Marc, del bravo Woody Harrelson. L’allenatore dovrà imparare non senza sforzo che giocare una partita non è per forza sinonimo di “vincere”, quanto di “stare su quel campo”, essere altruisti, fantasiosi e coraggiosi, come fanno gli autentici campioni. È questo lo “sguardo positivo sul mondo”, che attraversa tutta la visione di un film che vuole essere da sprono per guardare alla disabilità con occhi diversi, scoprendo l’incredibile forza e l’entusiasmo dei giocatori della “Friends”. Woody Harrelson si fa “trascinare dentro” questo mondo con un particolare occhio di riguardo e affetto per tutti i bravi attori con disabilità coinvolti: sul set è nata una bella sinergia e complicità che ha portato a scene molto divertenti e stravaganti, ma anche a contestuali scene piene di affetto e sensibilità come vuole il marchio di fabbrica ormai storico dei fratelli Farrelly. Kaitilin Olsen, Matt Cook (che interpretata “l’aspirante amico” di quell’orso di Matt), Ernie Hudson e Cheech Martin costituiscono un ottimo cast di supporto, nel ruolo di personaggi che in qualche modo “guidano verso la sensibilità” (e la conseguente “farrelliana armonia Kamica”) il personaggio di Marc. Molto colorata la fotografia, appropriata la colonna sonora a base di pezzi ritmati e divertenti (con nei titoli di coda di una bella sorpresa). Il montaggio rispetta alla perfezione i ritmi della commedia e diventa giustamente più concitato durante le partite, ben descritte nelle varie fasi e ruoli. Un plauso anche al doppiaggio italiano, per il quale sono state scelte le voci dei nostri atleti para-oliminci, che si sono prestati alla sfida con entusiasmo e passione.
Campioni è un film sullo sport visto come luogo di incontro, gioia, inclusività e solidarietà. È un film dedicato alle persone con disabilità e ai loro familiari, leggero e divertente, carico di momenti emozionanti, di gioco e di risate, ma anche pieno di piccoli spunti interessanti sui bisogni di autonomia nell’età adulta, sulla sessualità e sulla gestione della dimensione lavorativa (dove il personaggio di Benny piacerebbe magari pure a Ken Loach). È una pellicola che quindi può fare anche riflettere, ma soprattutto un film per chi ama il basket o vuole semplicemente passare un paio d’ore in serenità e uscire dalla sala con un bel sorriso.
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