lunedì 1 maggio 2023

L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice (Viens je t’emmene - Nobody’s hero): la nostra recensione della commedia surreale di Alain Guiraudie con Jean-Charles Clichet, Noemie Lvovsky e Ilies Kadri

Francia centrale dei giorni nostri, nella più media delle cittadine medie: Clemont-Ferrand. Anche se per i canoni più tradizionali di bellezza non sembrerebbe possibile, il trentacinquenne Mederic (Jean-Charles Clichet), il più medio degli uomini medi, quando indossa la sua tutina da runner colorata fosforescente è in grado di sprigionare un fascino quasi inarrestabile. Così, in tutta sicurezza, nel mezzo della sua corsetta quotidiana nella parte più collinare del paese, si avvicina alla cinquantenne Isadora (Noemie Lvovsky) mentre per strada sta esercitando la professione più vecchia del mondo. Con la faccia tosta e quella tutina aderente che non è che valorizzi chissà quali forme, Mederic le chiede di diventare suo amante fisso, per sempre e gratis. Le propone un comodo incontro, che dovrà essere assolutamente pure lui gratuito, per saggiare la sua “ars amatoria” in modo obiettivo, senza impegno, provare per credere. Le dice poi che lui preferisce che le donne non concedano il loro amore per soldi e in pratica si offre lui come suo “Toy boy”. Colpisce nel segno. Lei accetta, lo invita per la sera stessa nell’hotel dove abitualmente esercita e quasi alla fine della serata Mederic esce dalla stanza dopo alcune spericolate acrobazie erotiche compiute con dovizia di passione e totale spirito di altruismo per Isadora, e pure pagato. Il “quasi” è d’obbligo, perché di fatto la serata si è tecnicamente interrotta “sul più bello”, “coitus interruptus”, con l’arrivo del marito di Isadora, Gerard (Renaud Rutten) che si è accertato che la moglie stesse bene dopo che il telegiornale ha trasmesso la notizia di un attentato terroristico nella zona, nei presi della statua di Vercingetorige a cavallo di Place de Jaude. Pensando che il tizio fosse un cliente, il marito senza scomporsi si è scusato e ha chiesto alla donna di “ridargli l’obolo”, per correttezza, prima di andare via. Questo “amore sospeso” rimane come nell’aria, imprigionato, mentre la cittadina si appresta a fare i conti di colpo con il terrorismo e “la paura degli sconosciuti”. Giunto a casa, Mederic incontra sul pianerottolo un ragazzo islamico che dorme per terra, Selim (Ilies Kadri). Si è rifugiato sotto il portico per ripararsi dal temporale, chiede la possibilità di poter sostare almeno al coperto per la notte nel corridoio del palazzo, non farà storie e all’alba non lo vedrà mai più nessuno. Mederic acconsente, nonostante nutra forti sospetti sul fatto che lui possa essere uno dei terroristi che stanno cercando alla tv. Compassionevole ma pragmatico, l’uomo “vestito da jogging che sa amare” cerca di denunciare Selim una buona mezz’ora dopo, ma appena arrivano le guardie prova senso di colpa, si sente un po’ infame. Così quando il giorno dopo ritrova Selim sotto casa, già rilasciato, sempre sul suo pianerottolo mentre ancora piove, decide di ospitarlo di nuovo, mentre i vicini dello stabile inizino a rumoreggiare. Mederic lo fa un po’ per pena e un po’ per indagare “meglio della polizia” sulla sua assoluta colpevolezza, magari frugando nella sua roba mentre il ragazzo fa una doccia. Non si trova niente di concreto ma Mederic di notte fa gli incubi. Si vede in sogno nudo come l’ultima volta davanti a Isadora, ma è a casa sua, con il soggiorno improvvisamente pieno di gente araba che lo ha ormai adibito a moschea. Lo fissano e poi lo afferrano, lo sollevano come Gesù in croce e lo lanciano fuori dal terrazzo verso il basso, a spiaccicarsi sul pianerottolo. Prima dell’impatto si sveglia, ma il giorno dopo e successivi si fa presto evidente l’incapacità totale dell’uomo di mettere alla porta Selim. Forse per quella bolla di “amore sospeso” dei gironi prima, il ragazzo piano piano, prima sul divano e poi suo letto, si installa da lui e non vuole più andar via. Al contempo Mederic non vuole smettere di rinunciare a Isadora e al loro discorso interrotto, cosi cerca più volte e poco fruttuosamente di incontrarla clandestinamente con l’aiuto dei portieri del motel. Appena si trovano i due fanno scintille, anche nel confessionale della chiesa, ma la donna gli viene più e più volte portata via da un marito diventato improvvisamente sempre più geloso, spalleggiato dall’invadente e ossessivo ispettore  di polizia che è suo vicino di casa (Patrick Ligardes). Con Selim in casa e Isadora inafferrabile, Meredic deve pure sfuggire lui stesso alle lusinghe della bella ma invadente Florence (Doria Tillier), una futura collega di lavoro ossessionata con le start-up digitali, per cui non esiste alcuna differenza tra lavoro e vita privata. Vuole stare sempre con lui, al bar ma pure a casa sua, pure di notte, a lavorare o anche solo per stare insieme, per sempre. È una donna bellissima, ma è decisamente invadente. Sotto al palazzo arrivano presto pure dei ragazzi stranieri che vogliono linciare Selim perché ritengono sia proprio quel pericoloso terrorista che stanno ancora cercando, alimentando un clima sempre più ai ferri corti con vicini di casa che amano essere pesantemente armati (Michel Masiero) e sparare dalla finestra con bocche da fuoco enormi contro ogni tipo di straniero. La casetta di Meredic si troverà presto al centro di uno tsunami.


Alain Guiraudie  ama creare film in cui i personaggi (qui decisamente “forattiniani”) girano nudi ma innamorati: come se l’amore fosse la corazza definitiva contro le intemperie del tempo e dello spazio, contro le paranoie e le oppressioni sociali. L’amore diventa un linguaggio che supera la logica, supera la morale, l’estetica, il buon senso e l’amor proprio, stravolgendo in positivo ogni conflitto. In un dialogo-tipo qui un personaggio può dire “Mi dispiace, amo un’altra persona e non trovo corretto che io e te iniziamo ora una relazione clandestina” e l’altro può rispondere seraficamente “Ok, va bene, io non sono minimamente gelosa/o, andiamo pure a casa tua e chiama pure lei/lui”. Poi in un crescendo “rossiniano” può aggiungere “Ma chiama anche i vicini di casa, gli amici, i colleghi, due tramvieri, dei domatori di serperti: facciamo una cosa in 75, stasera, a casa tua, ci divertiamo un botto!!”. È un linguaggio rivoluzionato volto all’“amore presente”, dove tutto è finalizzato solo all’espletamento della voglia di stare insieme e condividere affetto “a tutti o costi”. È un linguaggio che sorprende e poi contagia tutti i personaggi, che può essere irradiato anche dal più inconsapevole degli uomini qualunque come il nostro Mederic. Un uomo che di fatto poi si spaventa del “tanto, troppo amore”, ma che da principio è lui per primo ad aver dato inizio a  questa sorta di “incantesimo”. Proprio quando con la sua tutina attillata da jogging convince Isadora ad amarlo non per soldi o opportunismo o “esclusività”, ma solo perché è bello amarsi. Anche Isadora, contagiata da questo desiderio di amare incondizionato si “riapre all’amore” a 360 gradi, dimenticandosi di ogni limite “alla passionalità”. Questo capita anche a Selim, che si ritrova “senza sapere un perché” sempre sotto lo stesso pianerottolo, il sentimento “passa” a Florence che di colpo non vuole più parlare di lavoro (ma non diventa meno invadente), destabilizza un Gerard che teme più di tutto di non poter essere amato in modo “esclusivo” da qualcuno, perché non conosce una diversa forma di amare. Tutti finiscono prima o poi, con intenzioni più o meno comiche o surreali, per gravitare nell’appartamento di Mederic (quasi uno scenario-unico, ispirato a Guiraudie dal tradizionale “teatro del boulevard”), che come la casetta con giardino di Madre! dì Aronofsky diventa in qualche modo il simbolo di “tutto il mondo” o per lo meno della “Francia di oggi”. Una Francia ideale in cui il più medio degli uomini medi vuole amare una persona (Isadora) senza “degradarla ad oggetto”, vuole accogliere un ragazzo straniero (Selim) senza averne paura, vuole provare ad accettare la “modernità” (simboleggiata dal personaggio di Florence, che segue il dettame della “start-Up nation” promossa da Macron) di un mondo del lavoro che “per socialità” non distingue più tra tempo utile e libero tempo (o se ne frega del tutto), vuole accettare vicini di casa che conosce a stento e che si appellano al “suo altruismo” per risolvere i problemi. Tra il dire e il fare interviene in modo spiazzante “L’amore/linguaggio unico”, che sovverte anarchicamente tutto e tutti, rendendo i personaggi simili a palline del flipper impazzite e lasciando che la storia parta per le tangenti più impensabili, alla ricerca di equilibri e ri-equilibri impossibili, titanici ma pure tragici, con cui convivere con i problemi del presente. Da questo approccio si arriva a una messa in scena ardita e stralunata, gioiosamente caotica e divertente, sorretta da attori molto versatili e sempre pronti nell’interpretare le continue pieghe umorali dei personaggi. La storia si smonta e rimonta più volte, seguendo uno sviluppo sempre originale quanto imprevedibile, tenendosi perennemente sul margine tra commedia e tragedia. Il film dura sui cento minuti ma volano in un attimo, tante sono le suggestioni e situazioni che a cascata si vengono a creare, con un sempre intelligente spirito ludico quanto satirico. Sorprendente anche la forte carica erotica di molte scene che coinvolgono Clichet e Lvovsky, un autentico inno gioioso alla body-positivity. 


Il nuovo film di Alain Guiraudie è un viaggio divertente e stranissimo in compagnia di personaggi stralunati quanto “unici”. Molto bravi tutti gli interpreti, sorprendente il modo in cui la storia riesce più volte a cambiare pelle, prendendo strade spesso surreali. Guiraudie sceglie di parlare della Francia di oggi attraverso una commedia e ci tiene attaccati allo schermo un po’ curiosi e un po’ timorosi, ma sicuramente divertiti, dall’inizio alla fine.

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