Nepal, giorni nostri. Un
bambino ricciolino, il piccolo Balmani (Sunny Pawar), in seguito a un terremoto
che ha colpito la città di Kathmandu in cui ha perso la madre, vive in un
orfanotrofio diretto da Miss Hannah (Claudia Gerini), ai margini di una grande
foresta dove risiedono anche delle tigri in cattività.
In difficoltà nel trovare
nuovi amici e chiuso in se stesso, il ragazzino decide di fuggire per tornare
nella città dove abitava e durante il viaggio incontra il cucciolo di una
tigre, Mukti, con il quale scopre di avere molte cose in comune. Tra avventura
e sentimento, li porterà a conoscere persone di tutti i tipi, da degli hippie
motorizzati a nomadi, passando per i fantomatici raccoglitori di miele
dell’Himalaya e forse raggiungeranno in alta montagna il tempio misterioso di
Tiger’s Nest. Miss Hannah cercherà di raggiungere Balmani nel corso della sua
avventura.
Brando Quilici porta in sala una storia
che parte dalla dura realtà delle conseguenze di un terremoto ma riesce a
“diventare favola”, accompagnando lo spettatore in un viaggio nel segno
dell’amicizia e dell’identità, alla ricerca del proprio “posto nel mondo”, lungo
la cultura e i magnifici paesaggi himalayani. Il ragazzo e la tigre
protagonisti della storia diventano presto un po’ come quel Bimbo sul Leone della favola musicale di Celentano e Altan: ci invitano con la loro avventura,
in un momento particolarmente grigio e “piovoso” della nostra storia
recente, a guardare oltre le nuvole, a un futuro carico di colori in cui
può esistere ancora della “gente allegra”. “Gente allegra”, ma proprio per
questo anche profondamente spirituale, come le persone che accompagneranno
lungo il viaggio il giovane orfano e il suo tigrotto che beve latte da un
biberon, a volte come guide e a volte come figure paterne, lasciando che siano
però i due “cuccioli” a decidere la loro meta. Nessuno degli adulti teme
la tigre e nessuno nega un supporto o un consiglio al ragazzino, a parte il
temibile cacciatore di frodo, l’unico vero cattivo della vicenda, l’unico, per puro spirito di arricchimento personale, a non rispettare le
leggi della convivenza tra uomo e natura. Il ragazzo e la tigre ci porta per un
paio d’ore in mondo di persone allegre rispettose della natura e disposte a
guidare i più giovani, pur nella consapevolezza “naturale” che questi, come le
tigri, un giorno potrebbero abbandonare il biberon e affilare i denti e
diventare adulti. Un mondo di persone con la consapevolezza che guerre e
terremoti continueranno ancora, ma con la pari consapevolezza che con un
sorriso si può sempre rimettersi in viaggio e costruire il domani. È un film
che “fa stare bene” e fa venire voglia di prendere un biglietto di sola andata
per il Nepal, anche grazie all’ottimo lavoro svolto nella ricerca delle
location e in una fotografia dai colori caldi, avvolgenti. Tra il giovane e
bravo attore protagonista e Claudia Gerini si crea una buona intesa, i momenti
in cui dividono lo schermo sono molto teneri e carichi di vicinanza emotiva.
Quando appare il tigrotto Mukti, addestrato a sembrare docile come un micetto,
questo ruba ovviamente la scena a tutto il cast, catalizzando tutte le attenzioni
del pubblico. Verso il finale Il ragazzo e la tigre vanno un po’ dalle
parti del Richiamo della foresta e fin dal primo trailer ci sono assonanze da
Vita di Pi, ma il film riesce comunque ad avere una propria identità. Quilici
ha già raccontato nel 2014 una storia di amicizia tra un bambino e un orso con
Il mio amico Nanuk e si riconferma anche in quest’opera un attento e capace
narratore di storie rivolte a un pubblico di giovanissimi.
Forse un po’ “zuccherino” per una platea adulta, che potrebbe però apprezzare i bellissimi paesaggi, Il ragazzo e la tigre è uno spettacolo ideale se volete portare il sala dei bambini, soprattutto in un momento in cui le opere che parlano di futuro, ambiente e buoni sentimenti non sono mai abbastanza.
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