lunedì 3 gennaio 2022

The Ferragnez: la nostra recensione della prima stagione della serie Amazon Prime

 


La serie inizia con una terapia di coppia tra Chiara Ferragni e Fedez, alla presenza di un terapeuta che non deve aver concesso i diritti di sfruttamento della sua immagine per privacy. Ci troviamo tra fine 2019 e i primi mesi del 2020, durante la seconda ondata covid, in un periodo che va da Natale fino al Festival di Sanremo in cui Fedez canterà Chiamami per Nome insieme a Francesca Michielin. Chiara, regina delle influencer e imprenditrice di successo nel campo della comunicazione, dirige un piccolo esercito ed è incinta di una bambina. Il cantante Fedez, dopo un periodo di fermo e insoddisfazione, sta costruendo con un manipolo di amici una nuova realtà discografica e forse un nuovo album, mentre si occupa con una società di consulenza di nuovi modi per far incontrare le banche con il mondo imprenditoriale. Lei è nata da una famiglia agiata, padre dentista e madre scrittrice, una voglia continua di abbracciare e baciare le persone. Lui è nato nell’interland milanese, zona Rozzano, con genitori (come i miei) che ti vogliono bene ma ti abbracciano a Natale e al tuo compleanno. Lei ha bisogno di programmare ogni cosa per sentirsi utile, lui ha bisogno di spazio per respirare per riuscire un minimo a trovare la forza di relazionarsi. Nessuno degli amici credeva che la coppia durasse, ma con la nascita del primo figlio, Leo, la famigliola ha trovato comunque un equilibrio e grazie alla loro indiscussa fama anche un ruolo sociale nobile, come dimostrato dalla raccolta fondi per l’ospedale in Fiera a Milano. Ma ora le cose sembrano cambiate, anche per il fatto di vivere da osservati speciali h24, circondati dalle telecamere, dai telefonini, dai parenti, amici, pubblico social, stilisti, manager, wedding planner, autorità locali, dirigenti tv, la qualunque. Dal successo nato quasi per caso sui social e arrivato ben oltre le loro aspettative, il loro mondo procede tutto verso dimensioni sempre più “gigantesche”: la casa nei quartieri più alti della City Life di Milano, la villa comasca su quattro piani per le vacanze che pare un castello ed è illuminata a giorno dalle decorazioni natalizie grandi come fari di segnalazione aerea, le macchine di lusso più di lusso, gli eserciti di yes-men e yes-women sempre al seguito e intruppati con sorriso compiacente incorporato, i teatri vuoti aperti solo per loro, i riconoscimenti negli eventi pubblici dalle pubbliche autorità,  una festa per la seconda nascitura in un posto super esclusivo quanto addobbato pesantemente e poco sobriamente fino ad apparire visivamente come un “Inferno rosa”.



In tutto questo caos, nella città italiana che più incarna il caos, la coppia cerca di trovare il suo spazio, magari schivando le mille etichette che ogni due minuti il mondo gli appiccica addosso. 

Ogni tanto il povero Fedez prova un sussulto interiore, sanguigno quanto autentico e forse “proprio delle sue origini” proletarie: qualcosa che lo vorrebbe più distante da tutta quella fama e lussi. Il cantante cerca di dare un senso a quello che sta vivendo e che lui stesso definisce una “bolla di bambagia”. Inizia a definire “tamarrate” alcune dimostrazioni di sfarzo estremo, anche se chi gli sta intorno prontamente gli ribatte che con i suoi tatuaggi è “più tamarro lui”. Si interroga sul fatto di vivere realmente la sua vita e non quella di un’altra persona, magari tornando nel garage dove ha registrato i suoi primi video o facendo visita alla nonna nel quartiere Giambellino. Cerca di diventare un professionista migliore sul lato tecnico e artistico, facendosi guidare da chi ritiene più esperto di lui, provando al contempo a essere un buon padre. Fedez comprende che presto la bolla di bambagia scoppierà, prima o poi, e lui non deve perdere adesso l’occasione di costruire qualcosa di suo, per se stesso e la sua famiglia, a costo di chiedere ogni tanto la possibilità di staccarsi dai social (che ogni tanto gestisce maldestramente per troppo stress), stare un po’ per conto suo anche solo a dormire, trovare luoghi e stimoli nuovi per ricaricare delle pile continuamente usurate. C’è nel passato di Fedez anche una esperienza orribile oggi da affrontare e superare, perché ha minato gravemente la sua autostima e lo ha reso quantomai guardingo, diffidente, umorale. 

Ogni tanto la povera Ferragni vede che il suo mondo e la sua famiglia opprimono il marito e  cerca di ritagliare dei momenti di intimità con lui. Si cercano, si coccolano, si sentono al telefono quando sono distanti, litigano, si accusano, piangono e fanno la pace, in un modo tumultuoso e continuo che anche la terapia di coppia, attraverso un “gioco di ruolo”, non riesce ancora a smussare. Anche perché Chiara sembra costantemente  guidata da un’onda collettiva che la coccola e la vuole sempre: carica, efficiente, “top”, “boss”, “leader”, “business woman”, madrina glamour, madre perfetta, moglie perfetta, amica perfetta, donna attraente, donna impegnata nel sociale… “L’onda” parte dalla sua famiglia, dal suo staff e dai suoi amici e quasi la delegittima da qualsiasi ruolo decisionale, portandola spesso nella condizione di mettersi nelle mani di qualche “consulente di qualcosa”, seguendo sulla fiducia l’opinione di “chi la capisce”. Ma la ragazza tra le righe della narrazione sembra solo cercare delle occasioni per abbracciare i suoi cari, farli stare bene e non sentirsi da loro abbandonata, un po’ dando ragione a tutti. Come emerge dalla terapia di coppia, la separazione dei genitori di Chiara durante la sua infanzia per lei è stato un trauma di cui si è presa quasi da sola le colpe, nonché il motivo per cui ora, con le unghie e con i denti, cerca di tenere costantemente  insieme tutto il suo mondo e chi ci sta dentro. Anche a costo di assecondare cose che lei stessa ritiene eccessive, magari per l’incapacità di ferire qualcuno che sente di amare. 


Come si diceva negli anni ‘80 “anche i ricchi piangono”, ma giudicare una docu-serie con al centro persone reali non ci permette di approcciarci a loro come ai personaggi del Trono di Spade, immaginando complotti e rese dei conti, anche se il taglio molto cinematografico delle puntate ogni tanto permette, con il montaggio e la fotografia, di calarci in alcune suggestioni narrative, tifare per qualcuno e dare il ruolo di “villain” a qualcun altro. Per la seconda stagione comunque consiglio alla produzione di coinvolgere in un duello in armatura e spada i personaggi di Luis Sal e  Marco Maria Damato, magari promuovendo le tante associazioni di cultura del Medioevo presenti sul territorio milanese. Ciò nonostante mi sono divertito, l’ho trovato uno spettacolo interessante proprio a partire da quel punto di vista psicologico della coppia che lega tutti gli episodi, offrendoci di loro una visione speciale, problematica quanto autentica, onesta. Bellissima la Milano in alta definizione che esplode da ogni fotogramma, tanto nelle sue parti più altolocate che in quelle più periferiche. Fa ancora effetto vedere i teatri abbandonati di inizio 2020 causa Covid, con le poltroncine coperte dal cellofan e le luci soffuse. Troppo sfarzo e troppo rosa possono far bruciare a qualcuno gli occhi, quindi consiglio di guardare la serie magari con delle lenti riposa-vista. 

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