La fotografa naturalista Harper
(Annabelle Dexter-Jones) è sulle tracce di un misterioso serpente rosso che
bazzica tra i campi desolati di un paesino di provincia della Virginia, situato
in una zona d’America tristemente nota per un passato di violenza ed
emarginazione. Le cose sono andate male e la ragazza si trova in ospedale,
coperta di bende dalla testa ai piedi, con ustioni gravissime su tutto il
corpo, a raccontare a un detective una vicenda grottesca a base di torture
medioevali, di una opinabile difesa del territorio dalle “avide mani straniere”
e di variegata pazzia maschilista, alla quale (forse) ora è finalmente
sopravvissuta.
Ravage dura 82 minuti scarsi, non inventa molto in termini narrativi ed è il più classico dei film di “genere horror” con protagoniste delle donne prima in fuga e poi carnefici di uomini orribili. Non è politico/sociologico come The Woman di Lucky McKee, non ha compiacimenti erotico/grandguignoleschi come un epigono della serie “antologica” I Split on Your grave, non mostra delle Final girl quasi supereroistiche come You’re Next di Adam Wingard o Revenge di Coraline Fargeat. Ravage è essenziale, ma fa tutto bene. È intelligente, spietato, carico di un’inquietudine che non ti lascia anche una volta che il film è terminato. Ha per protagonista Annabelle Dexter-Jones, che dà vita a una donna forte e piena di risorse come non mai, bellissima quanto cazzuta ma (umanamente) vulnerabile, sola e disperata. Tra i villain figurano due personaggi memorabili per disgusto come il lercio e odioso contadino interpretato da Robert Longstreet e l’invasato “vecchio saggio” interpretato da Bruce Dern. L’atmosfera da folk horror fa il resto, nutrendo ogni foglia e manto fangoso di inquietudine e incertezza, tra racconti popolari sull’onore e la necessità delle torture volti per lo più (idealmente) a contrastare una natura “femmina” quanto “maligna”, e per questo quasi nemica naturale dell’uomo. Annabelle Dexter-Jones, in quanto donna e in quanto “inesorabile” come la natura, diventa per il gruppetto di piccoli e cattivi redneck che la “inseguono” quasi immagine della “natura stessa”. Una creatura non solo in grado di sovvertire e ribaltare i loro piani di controllo e dominio, ma anche un essere in grado di “rinascere” (in una scena idealmente metaforica, ma che può essere “vera” solo grazie alla poetica splatter propria del cinema horror) superando tanto i loro limiti umani che intellettuali. È questa la marcia in più della pellicola. Per il resto molte sequenze “di esecuzione” ossequiano il genere di riferimento in modo liturgico, facendo provare allo spettatore le classiche doppie valenze di vittima/carnefice e percezione maschile/femminile. La pellicola inoltre non punta troppo sulla chiave erotica dello scontro (altro marchio di fabbrica di molto rape & Revenge), che rimane solo accennata, anche se la protagonista irradia una straordinaria bellezza anche quando è ricoperta di sangue e fango. È interessante come anche la scansione narrativa classica venga qui in qualche modo sovvertita, a vantaggio di un finale originale quanto potente, davvero suggestivo, che innalza Il film di Grennen allo status di piccolo gioiello. Un film per adulti, un film assolutamente non adatto ai più impressionabili, forse un film in alcuni snodi prevedibile. Non un capolavoro, ma anche un film davvero ben costruito a livello simbolico e recitato in modo molto convincente. Ruvida, sporca e magnifica la fotografia, che gioco molto sui toni di verde e il giallo, calandoci nell’atmosfera calda quanto appiccicosa di un paesaggio lussureggiante quanto ostile, paradisiaco quanto marcio. Se vi piacciono gli horror e avete 80 minuti, lo trovate in streaming su Amazon Prime o in videoteca in dvd grazie ai ragazzi di Blue Swan. Poi fatemi sapere.
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