mercoledì 5 gennaio 2022

King’s Man - le origini: la nostra recensione del nuovo capitolo della saga cinematografica di Mark Millar e Mattheu Vaughn

 


C’è stato un tempo, difficile crederlo, in cui non esistevano i supereroi. I bambini allora fantasticavano su cose come Re Artù e la maga Morgana, spade e onore cavalleresco. Così, in un giorno all’inizio del 1900, mentre il piccolo Conrad (Alexander Shaw) attendeva in auto che i suoi genitori, appartenenti a un'associazione caritatevole, compissero la loro missione in una terra devastata dalla guerra e la povertà, lui se li immaginava così: come la versione moderna dei cavalieri di Britannia. Il suo papà, il duca di Oxford (Ralph Fiennes), sempre coraggioso e forte, doveva  essere senza dubbio Re Artù. Mamma Emily (Alexandra Maria Lara), così bella e dolce, non poteva che essere la regina Ginevra e il fido Shola (Djimon Hounson), sempre così saggio e pieno di risorse, un perfetto Mago Merlino. Con loro al comando, giusti e gentili, “eroici” quanto umili, supereroi prima dei supereroi in quanto “cavalieri”, le guerre sarebbero finite in un attimo. Il "bene” avrebbe vinto sul “male”. Sempre. Solo che all’epoca non esistevano più o “non ancora” i cavalieri. Non c’erano in giro draghi e stregoni malvagi e la “Ginevra” di Conrad era destinata a morire di lì a pochi minuti, davanti a lui, per un colpo anonimo e asettico di arma da fuoco, sparato da una mano che rimarrà ignota, “inelegante”. Dopo quell’evento il padre del bambino, il “suo Artù”, chiuderà il  cuore al figlio trasformandosi in una specie di fantasma, un “padre assente” e costantemente preoccupato. Un uomo solo più che l’uomo più vicino alle leve di potere che muovono occultamente il mondo. Ma Conrad non smetterà mai di credere nei cavalieri e ci crederà ancora una volta adulto (in questa fase interpretato da Harris Dickinson), anche alle porte di una guerra terribile nata in modo meticoloso quanto incredibile, per uno strano miscuglio di giochi di palazzo e invidie parentali. Il ragazzo deciderà di farsi lui stesso cavaliere, rinunciando ai benefici di esenzione dalla leva del suo stato di lord, per andare a combattere in trincea, tra le prime file della difesa inglese, tra il fango e i miasmi delle nuove armi chimiche, a costo di offrire una falsa identità. Da questa volontà ferrea di Conrad di essere “eroe e gentleman” prenderà corpo, come per maglia, guidata proprio da suo padre, una nuova era di cavalieri e stregoni. Un’epoca in cui Oxford, Shola e Miss Polly (Gemma Arterton), armati di spada e pistola, coraggio e un po’ di pazzia, incroceranno le armi con creature tra il sogno e la realtà (ma che possono nel caso dare luogo a scandali politici quantomeno attuali pure nel 21esimo secolo) come la ammaliatrice Mata Hari (Valerie Pachner), lo stregone Rasputin (Rhys Ifans) e il terribile e misterioso “pastore”. È tempo che la sartoria Kingsman apra i battenti per vestire una nuova generazione di gentleman.


 
Amo le super-spie di Millar e Vaugh da quando, nel film del 2014, il personaggio ultra- glam di Galahad, interpretato da un incredibile Colin Firth, irrompeva in quella chiesa piena di fedeli resi folli-zombie-assassini (come “uccisori”, se siete fan di Dylan Dog) dal perfido tecno-villain di Samuel Jackson. C’era in quella singola scena la classe del Bond di Connery, il vintage “groovy” fatto bene alla Austin Powers, le coreografie di combattimento estremo e da sogno di Bradley James Allan del Jacky Chan Stunt Team, lo splatter dissacrante di un film Troma e in sottofondo Free Bird dei Lynyrd Skynyrd. Wow. E dire che il film era stato venduto all’inizio, dai trailer, come una specie di Harry Potter in salsa Spy Movie!!! Tutto fino a quella scena funzionava bene, con un Taron Egerton protagonista semi-esordiente ma già perfetto, un Michael Caine sornione quanto super carismatico e un Mark Strong da antologia (che di fatto rifarà lo stesso personaggio un anno dopo nello scemissimo ed irresistibile Grimsby a fianco di Sasha Baron Cohen, e sarà ancora più surreale in Kingsman 2), una pazzesca Sofia Boutella sensuale anche con le gambe d’acciaio. Ma con la scena della chiesa si alzava l’asticella della follia a mille e in un niente si arrivava oltre, in un crescendo inarrestabile come un ottovolante, alla sequenza con centinaia di teste che esplodevano coreograficamente  sulle note della marcia Pomp and Circumstance di Edward Elgar, in un contesto straniante quanto raffinato ed elegante da sembrare uno spettacolo pirotecnico abbinato al liturgico concerto viennese di capodanno. Questa pazzia si manteneva alta anche nel secondo film, in cui era “normale” se all’improvviso poteva arrivare sulla scena a colpi di arti marziali, tra cani-cyborg armati di lanciamissili, pure Elton John coperto di piume di struzzo (sembra anzi che l’incontro tra Elton e Egerton sul set abbia convinto il cantante a volerlo per interpretare se stesso nell’ottimo musical autobiografico Rocketman). 


Ne volevamo ancora di Kingsman e appena sono arrivate le prime informazioni su questo prequel della saga (con in futuro già programmati uno spin off “americano”, un sequel della saga ufficiale e una serie tv)  l’immaginazione ha iniziato a galoppare, anche perché si poteva esplorare un aspetto “nuovo”, ancora inedito per il Mark Millar “sceneggiatore cinematografico”, ma tipico del Mark Millar “autore di fumetti”: la grande passione per la Storia. 

Quando un giovane Mark Millar approdò in DC comics fece una cosa matta come Red Son, una mini serie del 2003 che proponeva un Superman alternativo nato e cresciuto in Russia, in un periodo distopico della cosiddetta “guerra fredda”. Pochi anni dopo in Marvel, nel 2006, l’autore re-inventava gli Avengers, sulla collana Ultimates (la base su cui costruiranno il Marvel Cinematic Universe), partendo dalla seconda guerra mondiale vissuta da Capitan America e immaginando un Thor uscito dal periodo dei figli dei fiori. Quando a Millar un anno dopo saranno consegnate le “chiavi dell’universo Marvel intero” per un mega crossover, l’autore inscenerà la sua versione supereroistica della “Civil War” americana. Con i primi due Kingsman cinematografici l’autore inglese aveva giocato con il mondo delle “spie alla 007” degli anni ‘60, cercando di “attualizzare i cattivi” come terribili imprenditori 2.0 del ventunesimo secolo che volevano rendere il mondo schiavo di tecnologia e stupefacenti, ma con King’s Man Millar trova oggi l’occasione ghiotta di tornare alla Storia, per parlarci, con toni satirici quanto sarcastici, della “sua versione” della prima guerra mondiale. Come è partita la miccia che l’ha fatta scoppiare, come era costituita la strana rete parentale che legava ai tempi chi dominava l’Europa, le figure storiche per l’opinione pubblica più curiose e controverse, le nuove armi e strategie belliche, la nascita “dal basso” di una originale rete di intelligence. Lo stile con cui è gestito questo mondo proto-007 è sempre sopra le righe, ma articolato, complesso e intrigante. Un world building che se da un lato non va a discapito di tutta l’azione roboante caratterizzante dei con Firth e Egerton, forse sceglie una linea narrativa più tragica e “seria” dello “stile kingsman”. 


Millar e Vaughn sembrano trovare nella prima guerra mondiale la stessa epica surreale incrociata da Sam Mendes nel suo capolavoro 1917. Lo stesso inferno dantesco delle battaglie di trincea che qui il Conrad di Dickinson (molto bravo) affronta tra il buio, le urla e la paura, confrontandosi male armato con soldati tedeschi carichi di lame e col viso disumanizzato dalle maschere antigas. È una scena forte quanto terribile, volutamente centrale nella narrazione e che “non ci abbandona” neanche quando vediamo poi Ralph Fiennes destreggiarsi “fieramente in mutante” in un elegante balletto-duello contro Rasputin (personaggio in assoluto più divertente della pellicola) o lo vediamo scalare una montagna “saltando da una pecora all’altra” (come in un videogame a piattaforme). Tutto torna gioiosamente esagerato, folle ed esaltante, ma è come se il tono, dopo quelle trincee, sia cambiato e si voglia “ridere di meno”. E’ una scelta coraggiosa, che magari non tutto il pubblico potrebbe accettare, ma che aggiunge un nuovo “gusto” alla saga cinematografica di Millar. 

Ralph Fiennes è perfetto nella parte e il suo Oxford ci rimanda all’istante, per movenze e completo impeccabile, al 1998, quando interpretava al cinema l’agente speciale John Steed nell’adattamento cinematografico della serie tv Avengers al fianco di Uma Thurman, di fatto se non il prototipo di Kingsman una forte fonte di inspirazione per Millar. In quel film c’era a confrontarsi con Fiennes, che in seguito avrebbe interpretato “M” nei film con lo 007 di Craig, anche il “primo Bond”, Sir Sean Connery. L’ombra di Bond cala anche sulla scelta di inserire nel cast di King’s Man la sempre splendida Gemma Arterton, già Bond Girl in Quantum of Solace del 2008 (era la ragazza “coperta dal petrolio”: il “nuovo oro” dell’epoca post-Goldfinger). È un vero peccato che la bellissima interprete di Tamara Drew e Hansel & Gretel: Witch Hunters sia un po’ finita fuori dai radar negli ultimi anni e anche qui sia relegata a una particina, seppur “importante” e ben riuscita. Nel ricco cast figurano in piccole parti anche molti attori noti e di talento come Charles Dance, Daniel Bruhl, Aaron Taylor Johnson, Tom Hollander, Stanley Tucci e la sensazione è che tutto questo “ben di dio” possa essere usato in modo più proficuo in un sequel già molto auspicabile. L’azione rimane il momento più fico dell’esperienza visiva della serie e non poteva essere altrimenti. È sempre spericolata, fumettosa, esagerata e quando il mix di arti marziali, pistole e splatter arriva all’apice c’è solo da tirare fuori i pop corn e chi vuole un bel film d’azione per passare una serata disimpegnata tra botti e spacconate avrà quello che cerca. Con in più quella nota malinconica e agrodolce di cui vi dicevo, che cambia magari un po’ il gusto finale ma che potrebbe anche piacere, seppur per qualche fan della prima ora possa risultare strana. Molto gustoso il continuo gioco di rimandi storici e “interpretazioni libere” sul tema, con un finale che ci lancia verso scenari futuri elettrizzanti.

Tra gioco ed epica, King’s Man diverte e potrebbe pure far nascere in qualcuno la curiosità di rispolverare qualche libro di storia. Non male per un popcorn movie. 

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