Tre studentesse universitarie polacche arrivano, per strade diverse, a confrontarsi con la propria sessualità. Natalia
(Aleksandra Skraba) è una cervellona che scientemente non ha mai affrontato la
sua sfera sessuale/affettiva, vivendo da vergine introversa e non appariscente,
per dedicarsi allo studio e alla ricerca di un successo personale nella vita,
che iniziano a prendere forma in un concorso con in palio una borsa di studio
per innovazioni tecnologiche. Lei vorrebbe creare una app per cellulare su come
gestire il sonno in modo più funzionale al rendimento, ma visto che non sembra
un argomento amato da un pubblico-campione decide di riversare le sue ricerche
su una app sull’argomento più gettonato di tutti: il sesso. Paulina (Maria
Sobocinska), la compagna di stanza all’ostello universitario di Natalia, è
intrappolata in una relazione seria e semi-definitiva con un soldato, per la
quale è prossima a diventare moglie casalinga e devota rinunciando a ogni
ambizione personale. Situazione che casualmente ha ricadute sul sesso di
coppia, che viene affrontato da poco in ragione di conservarsi quanto “più pura
possibile” in vista dell’imminente matrimonio. Monika (Sandra Drzymalska) è la
nuova vicina di camera di Anastasia ed è stata “buttata fuori di casa”
dal padre per le sue sregolatezze, specie per il suo circondarsi continuo di
uomini a scopo sessuale. Finirà che tutte collaboreranno all’app di Natalia,
che avrà come focus esplorare una tematica importante quanto poco dibattuta, e
quindi originale, l’orgasmo femminile. Ma come raccogliere i dati? Le
ragazze decidono di adibire la stanza 69 dell’ostello a “inseminatoio”,
affittandola a ore a coppie di studenti “in cerca di intimità” che alla fine
dell’uso dovranno compilare dei questionari su cosa li fa eccitare. Il progetto
sembra promettente, ma le tre ragazze dovranno fare i conti anche con gli altri
concorrenti alla borsa di studio, con le questioni morali di porre in
essere questo tipo di esperimento, con la possibile reazione dell’Università
circa la “raccolta dati” (che rimane pertanto non concordata). Ma più che altro
le tre dovranno venire a patti con loro e con il modo in cui dovranno
integrare/ripensare/accettare “a fini di studio scientifico” la
sessualità nella propria vita.
La prendo un po’ larga...
Forse da qualche parte vi ho parlato della versione australiana di Lol, condotta da Rebel Wilson. I miei comici preferiti sono stati, oltre allo straordinario e poliedrico Frank Woodley, Anne Edmonds e Sam Simmons. Anne e Sam fanno qualcosa che in Italia è culturalmente “off limits” negli spettacoli comici: parlano di sesso e disturbi mentali. Sam entra in scena con una giacca piena di peni in lattice per poi spogliarsi nudo in una piscina per bambini per farsi il bagno nell’aranciata. Anne si butta per terra impersonando una donna con problemi alcolici che parla male di tutti. Quello che trovo interessante, delle performance di Anne e Sam, è il modo con cui reagiscono alle stesse gli altri comici presenti nello show e la conduttrice. Perché nello show il sesso e la fragilità non vengono “prese in giro”, stigmatizzate o guardate con distacco, ma al contrario avviene una sorta di coinvolgimento empatico. Gli attori non “nascondono un tema scomodo“ preferendo parlare di argomenti più leggeri, ma usano l’arte per rappresentare una questione sociale/mentale “percepita come problematica“ ed esorcizzarla, normalizzarla e comprenderla. È così che “un problema” diventa “una consapevolezza” e quando uno spettatore dello show si trova nel mondo reale davanti a quella situazione può capire che esiste davvero e va affrontata, non limitandosi a “scappare via” o, in assenza e paura della stessa, “deriderla”. La sessualità, così come viene proposta da Sexify, allo stesso modo non dovrebbe essere per il pubblico italiano “un tabù“, in qualche modo attribuito alla sfera delle questioni “vaghe e negative” perché “ce lo dicono” i mass media, le religioni o la legge. È anzi un tema di rilevanza umana che la cultura deve affrontare, per lo meno per permetterci di parlarne e confrontarci in un modo costruttivo, sollevando i dubbi legittimi che chiunque può avere sulla materia. Anastasia rinuncia al sesso, ma così rinuncia anche a qualunque legame e alla sua stessa femminilità. Paulina vede il sesso come un peccato che può essere accettato e compreso solo in una sfera matrimoniale, con conseguente “patentino di moglie” (non a caso il suo compagno è un soldato sempre ricoperto da una divisa), che per lei però ha la forma di una assenza di libertà. Monika è una “drogata di sesso” e questo è conseguenza di una sua fragilità emotiva, che andrà a riorganizzarsi quando lei inizierà a ragionare sulle motivazioni che la spingono a ricercare un contatto affettivo. Detta così, la serie pare uno studio comparato sulla percezione disfunzionale del sesso, con un occhio di critica ai maschietti e al loro modo “troppo veloce e poco partecipe” di arrivare al piacere. Ma in realtà Sexify ha una scrittura ultra-leggera, presenta temi chiari quanto profondi, si guarda per la sua enorme dose di ironia, un uso creativo della colonna sonora e per la vitalità delle interpreti. Le protagoniste, una volta che i personaggi vengono esplorati a dovere, sono tutte irresistibili, amabili per il loro modo goffo, brusco, umorale ma sincero di porsi. Non sono solo la rappresentazione schematica del loro rapportarsi al sesso, riescono a essere figure complesse, in evoluzione continua grazie a meccaniche positive di confronto e scontro. Ci sono belle dinamiche di gruppo. La colonna sonora, aspetto molto originale, interagisce in modo costante con la trama, attraverso delle strofe e “gemiti” che diventano i pensieri interiori dei personaggi. C’è un filone della trama legato al successo professionale dopo la scuola che risulta non banale. C’è molto sesso. Niente di pornografico, ma ci sono dei nudi che rispondono a una genuina “normalità” umana e alla filosofia della body positive oggi raccontata anche da trasmissioni come Naked Attraction su Real Time. Non c’è l’ostentazione di una bellezza plastica, quando una comprensione e accettazione funzionale del proprio corpo. Ed è proprio dalla accettazione del proprio corpo, dei suoi bisogni e dai messaggi che ci invia, sembra dirci la serie, che parte una migliore comprensione di se stessi e un modo più felice di vivere. Sexify offre una tesi interessante sulla capacità di sentire la sfera fisica e poi emotiva di se stessi, per poi riuscire da questa a connettersi con gli altri. Non è solo una esposizione delle impellenti ragioni idrauliche e chimiche dello “scopare”. Gioca pertanto nello stesso campionato di Sex and The city o del più recente Sex Education con Gillian Anderson. Ma proponendoci una realtà culturale “polacca” che trova sue peculiarità rispetto alla solita massa di prodotti tv, per lo più americani, di cui ci cibiamo quotidianamente. Otto episodi, letteralmente divorati. Aspetto la nuova serie.
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