sabato 3 luglio 2021

Ip-Man 4: The finale - la nostra recensione


Premessa: Ci troviamo “nell’Ip Man-verso”, ossia nel filone cinematografico che esplora la vita, tra sogno, storia e leggenda, del maestro di arti marziali, tecnica Wing Chun, conosciuto come in tutta la Cina come Ip Man. La sua vita, tra le difficoltà di farsi posto tra i grandi maestri, passando per la guerra, l’impegno sociale, l’addestramento di Bruce Lee fino al famoso video in super otto in cui si allena con il manichino di legno, è roba che è così nota e aneddotica che se si è appassionati di arti marziali è nei compiti in classe del primo anno. Un percorso umano, etico e tecnico che pur romanzato nelle varie espressioni artistiche dedicate al mito del maestro, tra libri, fumetti, canzoni, videogame e serie tv, rimane solido. Credo che ci siamo milioni di film su di lui, io come molti conosco giusto quelli arrivati in italiano, ma sono pronto a immaginare che sia solo la punta dell’iceberg. Esistono film sulle “gesta” di un  Ip Man molto giovane, come Ip Man - The Legend is born del 2010, interpretato da Yuen Biao per la regia di Herman Yau. È uscito nel recente Ip Man - Kung Fu Master, del 2019, con al centro un  Ip Man “giovane medio” interpretato da Dennis To, per la regia di Li Liming.  Esiste un film su un Ip Man ormai anziano, con il volto di Eric Tsang, per la regia sempre di Herman Yau, ossia Ip Man The Last Fight, del 2013. C’è pure un film su Ip Man “d’autore”, confezionato dal genio di Hong Kar-Way, interpretato dal divo Tony Leung, dal titolo The Grand Master, uscito pure lui nel 2013 per un gioco del destino (e i tempi biblici di lavorazione di Hong Kar-Way). Ma i più noti e amati sono i film sul maestro diretti da Wilson Yip, talento impostosi alla platea occidentale con l’action Bullets over summer del 1999 (grazie al festival FarEast di Udine), che come interprete hanno Donnie Yen. Sono film che dal 2008 ad oggi ripercorrono un po’ tutta la vita dell’artista marziale senza variare attore, con una messa in scena che è un po’ l’equivalente della saga di Rocky di Stallone. Ip Man è un eroe simbolico e patriottico sempre calato “sul territorio” e “nella storia”. Vive sovente in contesti sociali “difficili”, dove in ogni periodo e luogo affronta sfide sociali diverse. Dalla  guerra alla povertà, dalla convivenza con la malavita all’integrazione in una cultura straniera. C’è poi come tema il valore del Kung Fu come nobile arte, etica e filosofica, che si declina in scontri tra Ip Man e altri artisti marziali ed esponenti di altre discipline di combattimento. C’è infine il lato biografico di Ip Man, spesso raccontato in una trama di stampo melò, intervallata da pochi momenti di “leggerezza”, centrata sui drammi personali, le sconfitte a livello umano, i lutti familiari a causa delle malattie. Tra i combattimenti spettacolari, gli spaccati sociali e il melodramma, siamo arrivati al capitolo 4 di questa formula che pur con alti e bassi riscuote ancora parecchio successo. Dopo i primi tre film, l’amatissimo coreografo dei combattimenti  Sammo Hung saluta e per il quarto cede il testimone al notissimo Yuen Woo-Ping, artista che a cavallo del nuovo secolo è diventato noto grazie a prodotti come Once upon a time in China, Matrix, La tigre e il Dragone, Charlie’s Angeles con la Diaz. Come sarà venuto?

 


Il contesto di Ip Man 4: Dopo aver combattuto contro i giapponesi nella seconda guerra mondiale (Ip Man 1), aver riunificato il Kung Fu (Ip Man 2), battuto il villain con la faccia di Mike Tyson (Ip Man 3) e aver motivato un lupo solitario a percorrere la strada del bene (Ip Man 3 più lo “spin-off” Master Z) è tempo che il maestro, sempre interpretato da Donnie Yen, passato alla storia per aver insegnato a Bruce Lee, arrivi a incontrare finalmente, per qualcosa che superi i dieci secondi, il mitico Bruce Lee. Ricordiamo che TUTTI i film su Ip Man si concludono con un disclamer prima dei titoli di coda in cui si dice “...poi Ip Man incontrò Bruce Lee e lo allenò“, ma questo non accade tipo “mai” su pellicola. Che detto così pare una cosa ridicola, ma non lo è. Il culto di Bruce Lee è a tali livelli di santità in Terra che farlo interpretare da qualcuno che non può essere Bruce Lee è quasi un sacrilegio. Tanto che  ai tempi della produzione di Ip Man 3 si parlava di usare un Bruce Lee in digitale, ma alla fine è venuta una sfida così irrealizzabile che la trama di punto in bianco era stata cambiata e ci avevano messo al centro Tyson. Era stato scelto per “decenza” un attore che interpretasse Lee, ma alla fine lo si è fatto stare per lo più fermo con il volto coperto da enormi occhialoni. La bella notizia è che effettivamente in Ip Man 4 c’è come personaggio Bruce Lee adesso. Sempre interpretato da Danny Chan Kwok-kwan, già “interprete di Bruce Lee” nei pochi secondi di Ip Man 3 del 2015 (immobile e con gli occhialoni come scritto sopra), ma anche nelle serie tv The legend of Bruce Lee del 2008. La brutta notizia è che il nostro Kwok-Kwan non va oltre a due pose da cosplayer di buon livello, mentre e a livello di tecnica marziale semplicemente “non regge” né con Donnie Yen né tanto meno con il Bruce Lee originale... cosa che da comuni esseri umani come lui comprendiamo. Così il nostro Bruce apparirà giusto per dieci minuti, all’interno di una trama che porterà Ip Man in visita negli USA (scritto tutto maiuscolo) per lo più ad occuparsi di altro. Bruce se ne starà assente dalla scena anche  quando succederanno le classiche cose pazzesche e romanzate tipiche dei film di Ip Man, tipo terremoti e rastrellamenti dei quartieri etnici, che sfoceranno in un confronto del maestro con un villain tostissimo, capitalistissimo, americanissimo e razzistissimo interpretato da Scott Adkins. “Dov’è Bruce?” ci diciamo noi fans in coro per tutto il tempo, e poi ce lo troviamo per tre minuti a fare cose ininfluenti come picchiare un sacco in una palestra mentre all’esterno c’è tipo “l’apocalisse”. Ovviamente è un peccato quasi mortale che non arriviamo mai a godere su questa pellicola, oggi che in sala c’è Godzilla vs Kong, di mega-risse ultra-romanzate in cui Ip Man e Bruce Lee affrontano migliaia di avversari, facendo cose folli come distruggere palazzi a mani nude, per salvare e diffondere  i valori dell’estremo oriente contro il capitalismo a stelle e strisce.  



Ma torniamo all’incedibile trama di Ip Man 4, che affronta per lo più il tema del “bullismo”, prima nel contesto scolastico americano e poi nel contesto dell’insegnamento nei corsi di preparazione dell’esercito. 

Il figlio di Ip Man si mena per i fumetti e viene espulso da scuola, il babbo decide di mandarlo a studiare negli USA, dove risiede il suo allievo Bruce Lee. Solo che prima di portarselo dietro Ip Man parte da solo, affidando il pupattolo ribelle all’amico di sempre Fatso (il buffo Kent Cheng). In USA Ip Man fa amicizia con una ragazzina bullizzata perché cinese (Vanda Margraf) e con un soldato di origini asiatiche di nome Hartman (Vanness Wu), stesso nome del Sergente Hartman di Full Metal Jacket (nell’interpretazione del mai troppo compianto R.Lee Ermey), che vuole portare, con un po’ di difficoltà, nell’esercito statunitense il Wing Chun. La cosa divertente è che Adkins, che interpreta il superiore di Hartman, fa in pratica e in tutti i sensi nel film la parodia del sergente Hartman di Full Metal Jacket, con tanto di cappello e occhi da pazzo, eloquio brutale e movenze ingessate, detestando per tutto il tempo l’idea del kung Fu negli USA tanto quanto ogni minoranza etnica. Noi amiamo Scott Adkins, forse il più grande artista marziale occidentale di oggi, così gli perdoniamo senza riserve questa parodia, al netto della prestanza atletica eccellente che sfoggia con sapienza in tutta questa pellicola. Ora, la ragazzina è figlia di un maestro di arti marziali (Yue Wu), rappresentante di spicco della comunità cinese locale, deluso dagli USA in quanto minoranza etnica non tutelata nonostante i cinesi abbiano contribuito a costruire gli USA fin dai tempi delle Ferrovie del Far West ecc. ecc. Per questo non vede di buon occhio neanche Bruce Lee, che fa tanto l’amico degli “ammmerrigani” e diffonde a questi “ingrati” le perle di cultura orientale marziale tramandate per secoli e secoli nella gloriosa cultura del Sol Levante. Tutto questo si traduce a danno di Ip Man, con il politico che si rifiuta di scrivere una lettera di raccomandazione per la scuola USA per il  figlio di Ip Man, a meno che lui non vieti a Bruce Lee di insegnare le arti marziali ai non-cinesi. O in alternativa lo vinca in un duello lungo e ultra-coreografato. Per i classici incroci del destino i bulli che infastidisco la ragazzina e il sergente (non)Hartman finiscono per costituirsi in un un esercito del male contro la comunità cinese di turno, un po’ come accade in tutti i film di Ip Man di Yip e Yen. La trama è più o meno tutta qui!! 

 


Ma “come sono le mazzate?”: è questo “il succo del discorso” che invocheranno i miei piccoli lettori, persone coerenti che da un film di arti marziali aspettano soprattutto di giudicare “le arti marziali”. Allora parliamo un po’ delle coreografie di combattimento.

Yuen Woo Ping, noto per la sua mania dei combattimenti “svolazzanti” a base di cavi e poco rispetto della gravità, un po’ lo temevo. Lo temevo specie dopo l’ottimo lavoro di stampo analogico/realistico (pur se spettacolare) svolto da Sammo Hung nei precedenti capitoli. Devo dire che avevo ragione a temere, qui ci sono tanti svolazzi e non sempre sono di impatto, specie nelle proiezioni, pur riconoscendo a Yuen Woo Ping di aver planato più basso del solito, focalizzandosi su Wing Chun più che sui movimenti dei Power Rangers. Donnie Yen è al cento per cento, “così Ip Man” che ormai ne riproduce i colpi più noti con una naturalezza unica, compresa la “raffica di pugni” amata da grandi e piccini. Il sosia moscio di Bruce Lee è moscio come si poteva temere, i suoi ingressi in scena che cercano di scimmiottare modi e tecniche note di Bruce Lee sono momenti da face palm degradanti. Scott Adkins è invece straordinariamente bravo, velocissimo e molto dialogante con Donnie Yen, confermando il mostruoso talento per cui lo amiamo incondizionatamente.z Come in Wolf Soldier, Adkins sembra un orco gigante che affronta un bambino, accentuando con eleganza e imponenza ogni suo gesto. Donnie Yen lo affronta come si cercherebbe di abbattere a cazzotti un muro di cemento: facendosi un male cane che serve alla fine a poco. C’è una bella drammatizzazione dello scontro. Le proiezioni aeree a base di cavi qui messe da Yuen Woo Ping stonano un po’, ma il risultato finale rimane più che valido. Molto bello è anche lo scontro in più fasi tra Donnie Yen e Yuri Wu. Il primo “incontro“ ha luogo intorno a un tavolo rotondo coperto da una lastra di vetro che viene mossa dai due attori come fosse una rappresentazione del mondo. Sembra quasi una partita a flipper su due lati ed è estremamente affascinante, ricorda per certi versi il mitico scontro sui tavoli di Donnie Yen contro Sammo Hung in Ip Man2. Il secondo scontro è quasi un handicap match. Ip Man, in uno dei momenti drammatici della pellicola, si è quasi rotto un braccio, facendoselo tritare da un bulletto contro un cancello per difendere la ragazzina. Il suo avversario rinuncia a usare una mano per mettersi al suo livello e assistiamo a uno stile di lotta “A mano in tasca” che ricorda Jet Li in Kiss From The Dragon. Mooolto brava, davvero pazzesca, l’attrice marziale Xiaofei Zhou, non a caso presente anche in The Grandmaster, dove Ip Man era Tony Leung. Affronta con lo stile del serpente Chris Collins, che abbiamo già apprezzato contro Tony Yaa in Kill Zone Paradox, una montagna umana quasi pari ad Adkins. Dura pochi minuti ma è intenso, davvero Davide contro Golia, molto eccitante. 

Finale: Se quindi ci si diverte molto per i combattimenti, al netto  di una certa inconsistenza della trama, la stanchezza di Yip e Yen nel riprendere per l’ennesima volta la storia di Ip Man è palese fin da quel sottotitolo legato alla locandina, “The final”, che appare come una promessa molto realistica. 

C’è il rimpianto di non aver visto “Ip Man vs Bruce Lee“, ossia la versione cinematografica di tutta la parte di “storia del Kung fu” su come sono andati gli allenamenti tra i due, poi il viaggio in America, ecc. ecc. Ma chissà che questa storia non troverà presto un proprio allestimento in un futuro film su Ip Man.

Sarà l’ultimo Ip Man di Yen e Yip? Per ora ringraziamo di questo ultimo viaggio nel Kung fu, imperfetto ma comunque gustoso. 

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1 commento:

  1. In effetti la storia è inconsistente, mi pare che questo e quello con Tyson siano davvero i più deboli.
    Non sono in grado di giudicare la sua bravura come martial artist, ma a me era piaciuto Philip Ng, il tipo che interpreta Bruce Lee in "Birth of the Dragon", e tutto sommato anche il film era molto divertente perché anche il monaco con cui si confronta è molto simile a Ip Man. O dico una bestialità?

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