lunedì 5 luglio 2021

La felicità degli altri - la nuova commedia francese di Daniel Cohen, con Vincent Cassel, Berenice Bejo, Florence Foresti e Francois Damiens

 


Léa (Berenice Bejo) lavora in un outlet come commessa di un negozio di abbigliamento. Ama osservare le persone e cerca con l’empatia di entrare nei loro piccoli mondi, anche solo per aiutarle a scegliere un vestito appropriato. Vive di creatività scrivendo dei racconti su chi incontra ogni giorno, è sempre gentile con gli altri e si sente appagata della sua vita “così come è”. Marc (Vincent Cassel), il ragazzo di Léa, lavora nel campo dell’alluminio e sogna di arrivare sempre più in alto nella gerarchia aziendale. Ogni traguardo lo rende insoddisfatto nella prospettiva che un traguardo più ambizioso è davanti, al punto che la sua vita diventa una sfida continua verso il nuovo livello di affermazione personale. Per Marc è inconcepibile che Léa non si impegni nel fare carriera e “passare di livello”. Per questo si arrabbia quando la vede titubante alla prospettiva di una promozione lavorativa che lei ha già in tasca, per un ruolo da dirigente. Ma Léa quella promozione non la vuole, perché vede quello scatto solo come un doloroso distacco dalle persone che quotidianamente incontra all’outlet, per andare a svolgere “a vita” montagne di scartoffie burocratiche per cui non si sente per nulla portata. L’indecisione sul futuro della donna diviene ancora più asfissiante anche per via della coppia di amici che abitualmente Marc e Léa frequentano, Karine (Florence Foresti) e Francis (Francois Damiens). Una coppia con figli schiacciata dalla routine familiare che ha smesso di vivere con entusiasmo. Il “disastro” e massimo biasimo del gruppo nei confronti dell’indecisa Léa arriva una sera al ristorante, davanti all’improvvida offerta di un cameriere del più rinomato dolce della casa, le “Ile flottante” (che è poi il titolo originale della piece teatrale da cui Cohen ha tratto la sceneggiatura del film). 



Conosciute anche come “Uova alla neve” o le “spumose galleggianti”, un po’ concettualmente a metà tra la meringa e la creme brûlé, sono un dolce al cucchiaio piuttosto (apparentemente) semplice da realizzare, calorico quanto godurioso, appagante. Un dolce “facile da realizzare e poco appariscente” che Léa vorrebbe provare, ma che non prenderà se a prendere il dessert sarà “da sola”. Il dolce è un piacere che vuole condividere, senza sentirsi privilegiata in quello “sgarro”. Dal nulla, nasce una specie di guerra psicologica in cui il gruppo continua a cambiare idea sminuendo le scelte individuali. Tra una opposizione di Marc all’Ile flottante in ragione di una più “elaborata” torta millefoglie alle fisse alimentari di Karine, passando per le richieste di Francois circa un numero sempre variabile di cucchiaini per dividere i dolci, il gruppo, incapace di trovare una soluzione intermedia più che altro sul tema del “condividere”, trasforma piano piano la cena in una specie di isterico atto di accusa all’indecisione di Léa nell’accettare la promozione. Un atto che diventa quasi legittimo, quando la ragazza confessa di pensare, invece che alla promozione, a scrivere un libro. Dopo essere venuta in contatto su facebook con un autore famoso (interpretato dal regista Cohen), Léa gli aveva fatto leggere dei suoi manoscritti, che gli erano piaciuti e ora voleva metterla alla prova con la possibilità di scrivere un libro. Gli amici pensano più o meno: “Léa la sognatrice che pensa a un hobby, al posto di concentrarsi su una promozione sul lavoro. Magari lo scrittore famoso vuole solo provarci con lei”. Così la sanguinosa “guerra del dolce“ si colora di “significati morali” e diventa a fine serata una “guerra dell’hobby”. Se “Léa l’indecisa“ vuole scrivere, Katrine scriverà un libro anche lei per dimostrarle che “non ci vuole niente” e lei fin dalle scuole era più portata di Léa per lo scrivere, essendo anche più divertente e originale. Allo stesso modo Francis tornerà a suonare musica dance con una pianola come ai tempi del liceo, perché per lui sarà “facilissimo farlo”. Marc non partecipa alla gara perché deve occuparsi di “Cose serie”, come un contratto internazionale importante e ovviamente la conseguente possibile e auspicatissima promozione successiva nella sua azienda che si occupa di alluminio. 



Poi succede che Léa finisce il libro e diventa famosa, molla il lavoro di commessa e va a vivere in un appartamento lussuoso nel centro. Mentre Karine ha mollato il “suo” libro dalla prima pagina, copiando per lo più l’idea di un libro già letto, per poi passare ad altri hobby, con pari sogni di gloria ma esiti sempre più deprimenti, nello specifico concentrandosi sulle prove di resistenza ginniche. Allo stesso modo il marito Francis molla la musica dopo aver copiato male qualcosa che aveva già sentito, per poi passare ad altri hobby strampalati e totalmente improvvisati, dalla scultura alla composizione di sonetti medievali, fino alle pratiche meditative orientali. Marc intanto ha “perso la promozione” e non se la sente di frequentare nessuno senza poter essere riconosciuto come leader anche solo dei suoi amici. Non c’è nulla da fare o discutere: “Léa è cambiata e ha fatto del male ai suoi amici”. Il libro che l'ha resa famosa Marc ha deciso di non leggerlo, dopo averla pure minacciata di cancellare un personaggio pensando che quello fosse stato scritto ispirandosi a lui per burlarlo. Karine lo ha letto giudicandolo “niente di che“. A Francis è piaciuto, ma quando l’ha dichiarato è stato fulminato dalla moglie. Nessuno vuole più vedere Léa. Nel frattempo Léa vorrebbe invece tornare a vedere i suoi amici.


Cohen mette in scena una commedia intelligente, brillante quanto sulfurea, su un tema tanto centrale nella società moderna quanto sapientemente messo in disparte (i complottisti direbbero “dai poteri forti”) per la sua “scomodità intellettuale”: la condivisione della felicità altrui. Viviamo oggi in una società di stampo spintamente liberista, dove la competizione e il successo personale sono diventati dei dogmi individualistici. Questo avviene a discapito di una natura umana che alcuni analisti considerano, dal filosofo Platone fino ai sociologi coniugi Erickson, come “costituita originariamente da un gruppo sociale armonico di pari”, generando per contrasto autentiche patologie del pensiero. Di fatto molte persone soffrono per via delle regole del mondo in cui si trovano invischiate. Per qualcuno dei più “colpiti” da questa “divisione del mondo in fasce sociali di reddito”, come per il personaggio di Marc, questo si traduce in una inestinguibile fame di potere e nella necessità di autoaffermazione come maschio alfa, che deve essere totale e incondizionata. Infatti Marc si lamenta spesso con Léa perché immagina paranoicamente che lei cerchi continue occasioni per sminuirlo davanti agli altri, anche se lei si limita ad avere diversi gusti cinematografici! Addirittura Marc si arrabbia se Léa contraddice in pubblico la “visione che ha Marc di come ragioni psicologicamente Léa“! Per Karine e Francis lo stesso atteggiamento psicologico innesca meccanismi di “competizione compulsiva”, dove ci si sente portati a intraprendere qualsiasi “sfida contro gli altri“, che sia artistica quanto ginnica, in ragione di una supposta attitudine morale superiore, motivata dal considerarsi “persone concrete”. Un uomo (che si presume) concreto, leader o competitore compulsivo, deve comunque poter battere un sognatore anche nei sogni, perché in fondo è un uomo forte che può battere un debole, in ogni campo. Ma il paradosso triste è che queste persone, così concentrate sulla competizione personale, di fatto “non sognano”. Perché le loro energie sono concentrate sul premio più che sulla gara o sull’arte. Essere vincenti è più centrale che essere felici. Sono prospettive fallimentari, come sapientemente e ironicamente sottolinea la pellicola, rese ancora più indigeste al piccolo gruppo di amici protagonisti dal personaggio di Léa. Quella “stronza” di Léa, per essere “tecnicamente precisi”. Léa si astrae dalla logica della “gara della vita” per riempirli di cure e frasi gentili, ricordargli continuamente quanto sono unici e straordinari (cosa che non serve perché loro già lo sanno..), per vedere un “mondo bello e a cuoricini che non esiste”. Gli amici non riescono proprio a  comprendere che Léa può vivere con successo nel loro “stesso mondo” in questo la vedono piuttosto come una persona debole con cui sentirsi “almeno più forti di lei” se la vita gira male. Possono essere i suoi “fratelli maggiori” ed essere contenti di questo ruolo, che gli permette di ripetersi quanto la vita faccia schifo e quanto Léa dovrebbe essere onorata di avere amici come loro. Ma se Léa ha successo, loro non sono più i “penultimi” nella classifica degli sfigati del mondo, non possono più dire “beh, a Léa va comunque peggio”. 


È tutto un tragico dramma esistenziale di cavie da laboratorio che lottano per affermarsi in piccole gabbiette emotive. L’ironia straordinaria e surreale che riesce a generare “per contrasto” il quartetto di attori, tra cui si segnala un Cassel “scornato e dimesso”, grigio e magrolino quanto lontanissimo dal bel tenebroso dei suoi esordi cinematografici, è il vero speso specifico della pellicola di Cohen. Florence Foresti, con ottimi tempi comici e occhietti fiammeggianti, da corpo a una donnina buffamente perfida, che parla come una mitragliatrice e che lotta titanicamente per intestarsi le vittorie degli altri. Fancois Damiens è surreale quanto un Homer Simpson o un Peter Griffin, muovendosi con leggiadria tra le  sue granitiche convinzioni di poter essere un artista esistenziale. La Leéa di Berenice Bejo ha gli occhi immensi e il sorriso dolce di una Amelie Poulain. È impossibile volerle male e questo rende ancora più assurda la narrativa dell’operazione. 

La felicità degli altri diverte molto e forse farà un po’ arrabbiare qualcuno. Ma questa è la caratura delle migliori commedie, quelle che davvero riescono a guardare al nocciolo dei problemi della vita per riderci sopra. Forse anche grazie a questo film il mondo potrà diventare un giorno un luogo con più scrittori felici e sottopagati e meno dirigenti infelici di acciaierie. Un plauso a Cohen per l’ottima regia e sceneggiatura. Un buon inizio. 

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