Léa (Berenice Bejo) lavora in un
outlet come commessa di un negozio di abbigliamento. Ama osservare le persone
e cerca con l’empatia di entrare nei loro piccoli mondi, anche solo per
aiutarle a scegliere un vestito appropriato. Vive di creatività scrivendo dei
racconti su chi incontra ogni giorno, è sempre gentile con gli altri e si sente
appagata della sua vita “così come è”. Marc (Vincent Cassel), il ragazzo di
Léa, lavora nel campo dell’alluminio e sogna di arrivare sempre più in alto
nella gerarchia aziendale. Ogni traguardo lo rende insoddisfatto nella
prospettiva che un traguardo più ambizioso è davanti, al punto che la sua vita
diventa una sfida continua verso il nuovo livello di affermazione personale.
Per Marc è inconcepibile che Léa non si impegni nel fare carriera e “passare
di livello”. Per questo si arrabbia quando la vede titubante alla
prospettiva di una promozione lavorativa che lei ha già in tasca, per un
ruolo da dirigente. Ma Léa quella promozione non la vuole, perché vede quello
scatto solo come un doloroso distacco dalle persone che quotidianamente
incontra all’outlet, per andare a svolgere “a vita” montagne di scartoffie
burocratiche per cui non si sente per nulla portata. L’indecisione sul futuro
della donna diviene ancora più asfissiante anche per via della coppia di amici
che abitualmente Marc e Léa frequentano, Karine (Florence Foresti) e Francis (Francois Damiens). Una coppia con figli schiacciata dalla routine
familiare che ha smesso di vivere con entusiasmo. Il “disastro” e massimo
biasimo del gruppo nei confronti dell’indecisa Léa arriva una sera al
ristorante, davanti all’improvvida offerta di un cameriere del più rinomato
dolce della casa, le “Ile flottante” (che è poi il titolo originale della piece
teatrale da cui Cohen ha tratto la sceneggiatura del film).
Conosciute anche come “Uova alla neve” o
le “spumose galleggianti”, un po’ concettualmente a metà tra la meringa e la
creme brûlé, sono un dolce al cucchiaio piuttosto (apparentemente) semplice da
realizzare, calorico quanto godurioso, appagante. Un dolce “facile da
realizzare e poco appariscente” che Léa vorrebbe provare, ma che non prenderà se
a prendere il dessert sarà “da sola”. Il dolce è un piacere che vuole
condividere, senza sentirsi privilegiata in quello “sgarro”. Dal nulla, nasce
una specie di guerra psicologica in cui il gruppo continua a cambiare idea
sminuendo le scelte individuali. Tra una opposizione di Marc all’Ile flottante
in ragione di una più “elaborata” torta millefoglie alle fisse alimentari di
Karine, passando per le richieste di Francois circa un numero sempre variabile
di cucchiaini per dividere i dolci, il gruppo, incapace di trovare una
soluzione intermedia più che altro sul tema del “condividere”, trasforma piano
piano la cena in una specie di isterico atto di accusa all’indecisione di
Léa nell’accettare la promozione. Un atto che diventa quasi legittimo, quando
la ragazza confessa di pensare, invece che alla promozione, a scrivere un
libro. Dopo essere venuta in contatto su facebook con un autore famoso (interpretato dal regista Cohen), Léa gli aveva fatto leggere dei suoi
manoscritti, che gli erano piaciuti e ora voleva metterla alla prova
con la possibilità di scrivere un libro. Gli amici pensano più o meno: “Léa la
sognatrice che pensa a un hobby, al posto di concentrarsi su una promozione
sul lavoro. Magari lo scrittore famoso vuole solo provarci con lei”. Così la
sanguinosa “guerra del dolce“ si colora di “significati morali” e diventa a fine
serata una “guerra dell’hobby”. Se “Léa l’indecisa“ vuole scrivere, Katrine
scriverà un libro anche lei per dimostrarle che “non ci vuole niente” e lei fin
dalle scuole era più portata di Léa per lo scrivere, essendo anche più
divertente e originale. Allo stesso modo Francis tornerà a suonare musica dance
con una pianola come ai tempi del liceo, perché per lui sarà “facilissimo
farlo”. Marc non partecipa alla gara perché deve occuparsi di “Cose serie”,
come un contratto internazionale importante e ovviamente la conseguente
possibile e auspicatissima promozione successiva nella sua azienda che si
occupa di alluminio.
Poi succede che Léa finisce il libro e
diventa famosa, molla il lavoro di commessa e va a vivere in un appartamento
lussuoso nel centro. Mentre Karine ha mollato il “suo” libro dalla prima pagina,
copiando per lo più l’idea di un libro già letto, per poi passare ad altri
hobby, con pari sogni di gloria ma esiti sempre più deprimenti, nello specifico
concentrandosi sulle prove di resistenza ginniche. Allo stesso modo il marito
Francis molla la musica dopo aver copiato male qualcosa che aveva già sentito,
per poi passare ad altri hobby strampalati e totalmente improvvisati, dalla
scultura alla composizione di sonetti medievali, fino alle pratiche meditative
orientali. Marc intanto ha “perso la promozione” e non se la sente di
frequentare nessuno senza poter essere riconosciuto come leader anche solo dei
suoi amici. Non c’è nulla da fare o discutere: “Léa è cambiata e ha fatto del
male ai suoi amici”. Il libro che l'ha resa famosa Marc ha deciso di non
leggerlo, dopo averla pure minacciata di cancellare un personaggio pensando che
quello fosse stato scritto ispirandosi a lui per burlarlo. Karine lo ha letto
giudicandolo “niente di che“. A Francis è piaciuto, ma quando l’ha dichiarato
è stato fulminato dalla moglie. Nessuno vuole più vedere Léa. Nel frattempo
Léa vorrebbe invece tornare a vedere i suoi amici.
Cohen mette in scena una commedia
intelligente, brillante quanto sulfurea, su un tema tanto centrale nella
società moderna quanto sapientemente messo in disparte (i complottisti
direbbero “dai poteri forti”) per la sua “scomodità intellettuale”: la
condivisione della felicità altrui. Viviamo oggi in una società di stampo
spintamente liberista, dove la competizione e il successo personale sono
diventati dei dogmi individualistici. Questo avviene a discapito di una natura
umana che alcuni analisti considerano, dal filosofo Platone fino ai
sociologi coniugi Erickson, come “costituita originariamente da un
gruppo sociale armonico di pari”, generando per contrasto autentiche patologie
del pensiero. Di fatto molte persone soffrono per via delle regole del mondo in
cui si trovano invischiate. Per qualcuno dei più “colpiti” da questa
“divisione del mondo in fasce sociali di reddito”, come per il personaggio di
Marc, questo si traduce in una inestinguibile fame di potere e nella necessità
di autoaffermazione come maschio alfa, che deve essere totale e incondizionata.
Infatti Marc si lamenta spesso con Léa perché immagina paranoicamente che lei
cerchi continue occasioni per sminuirlo davanti agli altri, anche se lei si
limita ad avere diversi gusti cinematografici! Addirittura Marc si arrabbia se
Léa contraddice in pubblico la “visione che ha Marc di come ragioni
psicologicamente Léa“! Per Karine e Francis lo stesso
atteggiamento psicologico innesca meccanismi di “competizione compulsiva”, dove
ci si sente portati a intraprendere qualsiasi “sfida contro gli altri“, che
sia artistica quanto ginnica, in ragione di una supposta attitudine morale
superiore, motivata dal considerarsi “persone concrete”. Un uomo (che si
presume) concreto, leader o competitore compulsivo, deve comunque poter
battere un sognatore anche nei sogni, perché in fondo è un uomo forte che può
battere un debole, in ogni campo. Ma il paradosso triste è che queste persone, così concentrate sulla competizione personale, di fatto “non sognano”.
Perché le loro energie sono concentrate sul premio più che sulla gara o
sull’arte. Essere vincenti è più centrale che essere felici. Sono
prospettive fallimentari, come sapientemente e ironicamente sottolinea la
pellicola, rese ancora più indigeste al piccolo gruppo di amici protagonisti
dal personaggio di Léa. Quella “stronza” di Léa, per essere “tecnicamente
precisi”. Léa si astrae dalla logica della “gara della vita” per riempirli di
cure e frasi gentili, ricordargli continuamente quanto sono unici e
straordinari (cosa che non serve perché loro già lo sanno..), per vedere un
“mondo bello e a cuoricini che non esiste”. Gli amici non riescono proprio
a comprendere che Léa può vivere con successo nel loro “stesso mondo” in
questo la vedono piuttosto come una persona debole con cui sentirsi “almeno più
forti di lei” se la vita gira male. Possono essere i suoi “fratelli maggiori” ed
essere contenti di questo ruolo, che gli permette di ripetersi quanto la vita
faccia schifo e quanto Léa dovrebbe essere onorata di avere amici come loro.
Ma se Léa ha successo, loro non sono più i “penultimi” nella classifica degli
sfigati del mondo, non possono più dire “beh, a Léa va comunque peggio”.
È tutto un tragico dramma esistenziale
di cavie da laboratorio che lottano per affermarsi in piccole gabbiette emotive.
L’ironia straordinaria e surreale che riesce a generare “per contrasto”
il quartetto di attori, tra cui si segnala un Cassel “scornato e dimesso”,
grigio e magrolino quanto lontanissimo dal bel tenebroso dei suoi esordi
cinematografici, è il vero speso specifico della pellicola di Cohen. Florence
Foresti, con ottimi tempi comici e occhietti fiammeggianti, da corpo a una
donnina buffamente perfida, che parla come una mitragliatrice e che lotta
titanicamente per intestarsi le vittorie degli altri. Fancois Damiens è
surreale quanto un Homer Simpson o un Peter Griffin, muovendosi con leggiadria
tra le sue granitiche convinzioni di poter essere un artista
esistenziale. La Leéa di Berenice Bejo ha gli occhi immensi e il sorriso
dolce di una Amelie Poulain. È impossibile volerle male e questo rende ancora
più assurda la narrativa dell’operazione.
La felicità degli altri diverte molto e forse farà un po’ arrabbiare qualcuno. Ma questa è la caratura delle migliori commedie, quelle che davvero riescono a guardare al nocciolo dei problemi della vita per riderci sopra. Forse anche grazie a questo film il mondo potrà diventare un giorno un luogo con più scrittori felici e sottopagati e meno dirigenti infelici di acciaierie. Un plauso a Cohen per l’ottima regia e sceneggiatura. Un buon inizio.
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