(Premessa) In tempi di covid i servizi
on-demand ci permettono di spulciare in ricchi cataloghi, ripescando anche
autentiche perle del passato. Oggi con Amazon Prime torniamo a vedere un
gustoso b-movie horror, fumoso e fumettoso, diretto da un Tobe Hooper forse non
al top ma con la vena giusta per farci divertire, portando sulla giostra anche
il mitico Robert Englund.
(Breve sinossi) America, anni ‘90. In un caldo paesino del Maine tutto il mondo gira intorno alla Blue Ribbon, una
lavanderia industriale polverosa, angusta e avvolta da infernali nubi di
vapore, al cui interno come anime dannate trascinano la propria esistenza delle
operaie sottopagate sul costante orlo dell’infarto. Il proprietario (Robert
Englund) è un vecchio e viscido aguzzino che guarda solo al profitto e
alla cura del mangano, una enorme stiratrice piena di bulloni e ingranaggi che
non deve mai fermarsi, cascasse il mondo, cascassero le operaie. Tuttavia i
lavori devono fermarsi quando il mangano, in modo inspiegabile, trita tra le sue
fauci una addetta alla catena, guarda caso sul punto di svenire per il
superlavoro, attirando sull’azienda l‘attenzione indesiderata di un detective (Ted Levine) e di un esperto di occultismo (Daniel Matmor). Le indagini
porteranno a considerare il mangano posseduto da qualche entità infernale.
Come il frigorifero dei Ghostbusters. Ma del resto in quel posto del sud
degli Stati Uniti ci sono anche altri oggetti che sembrano posseduti.
(Dal libro ai “vari“ film) Chi ha letto
l’antologia A volte ritornano di Stephen King ne può parlare a ragione
come dell’album Thriller di Michael Jackson: una miniera d’oro in ogni sua
parte. Come i brani di Thriller sono diventati quasi tutti singoli di successo
da cui è stato tratto un video musicale, i racconti di A volte ritornano hanno generato un numero smodato di film. Secondo turno di notte è diventato
il film a base di topi Night Shift (da noi La creatura del cimitero). Camion, sulle macchine-zombie, è diventato la pellicola Maximum Overdrive (da noi Brivido), peraltro primo film diretto da King stesso. I racconti Il
cornicione e Quitter inc. sono confluiti nel film a episodi Gli occhi del
gatto, I figli del grano è diventato il film a base di bambini
inquietanti Grano rosso sangue, La falciatrice è diventato con ampio
riadattamento il film sulla realtà virtuale ante-litteram The Lawnmower Man (
da noi Il tagliaerbe). Anche il racconto che dà nome all’antologia è
diventato il film a base di adolescenti non-morti A volte ritornano e stessa
sorte è toccata anche a Il compressore, che un bel giorno ha preso corpo con
questo The Mangler per la regia di Tobe Hooper. Ma se guardiamo anche ad altri
racconti come Il babau o L’uomo che amava i fiori si trovano mille
adattamenti in rete, spesso provenienti da corsi di regia, e quando ho visto
per la prima volta i soldatini di plastica di Toy Story o di Small Soldiers, io
sono tornato con la mente al racconto Campo di Battaglia, che avevo letto nel
1990, negli stessi tempi in cui avevo scoperto in edicola Dylan Dog. E c’è da
dire che in The Mangler c’è pure un pizzico di Dylan Dog, su cui ci
soffermeremo più avanti. Insomma, A volte ritornano è da leggere, anche se
poi il cinema ha interpretato i singoli racconto in modi più o meno fedele,
alla maniera delle molte trasposizioni “liberamente tratte” da Philip Dick. Ma
se ci voleva un po’ di fantasia a trovare ne La falciatrice tutto quello che
ci sarebbe stato in Lawnmower Man, The Mangler è abbastanza fedele al
racconto originario e al netto di un paio di cambiamenti, tra cui un
personaggio rimosso, c’è tutto, pure il finale da kaiju movie steampunk
che tutti volevamo “sognare di vedere”.
(Quando le cose fanno paura). C’era il
water maligno negli incubi del bambino di Senti chi parla, c’era la
mefistofelica caldaia della cantina di Mamma ho perso l’aereo. C’è
naturalmente Christine, la macchina infernale, ma anche The stuff- il gelato
che uccide, L’ascensore ma anche la lozione per capelli del segmento Hair di Body Bags di Carpenter. Hanno provato negli anni a farci paura con ogni cosa
inanimata, pure quelle più assurde e apparentemente innocue.
Il regista di Non Aprite quella Porta e Poltergeist dirige un film su una stiratrice aziendale assassina, pur “griffato
Stephen King”. Il che ha perfettamente senso in quanto la fabbrica dove
l’oggetto infernale risiede ha tutto l’allure dello scannatoio della amabile
famiglia di Leatherface, con tutto il fantasma del mondo post-industriale che
viene evocato. Come ha senso che Hooper si possa preoccupare di nuovo di
oggetti con anima propria dopo che ci ha già deliziati con piatti e coltelli
volanti nel suo celebre film prodotto da Spielberg. Ma come riesca Hooper a
rendere attraente e letale un oggetto tanto “innocuo” non è per nulla scontato e
qui sta tutta la forza dell’operazione. Il mangano ha una linea pesante ma
dalle forme affusolate, quasi eleganti. È scuro, rugginoso, ingrippato ma
vitale in tutti i suoi mille ingranaggi e sbuffi di vapore. Ha fauci affilate come
ghigliottine e rulli mobili che possono trascinare dentro una persona
nell’ingranaggio, come in una versione horror di una celebre sequenza di Tempi
Moderni di Chaplin. E se poi si muovesse, sviluppando un corpo e zampe,
assumendo quasi un volto, come una sorta di mastino infernale steam-punk?
Potrebbe succedere e potrebbe essere figo, quanto può essere buffo provare a
mettere i nostri eroi a esorcizzare una stiratrice “ferma e immobile”. Come si
potrebbe, sempre a uso ridere, far indossare al detective un enorme spolverino
che consenta alla stiratrice “ferma e immobile” di trascinarselo dentro
con un colpo d’aria fortuito che aggancia il cappottone a qualche suo
ingranaggio. Il mangano vive di questa doppia natura buffo-inquietante, che lo
accomuna all’altro “Grande” oggetto maledetto della pellicola: una ghiacciaia.
La ghiacciaia, retrò ma satanicamente insanguinata su una delle sue
bianchissime superfici, ha uno strano potere, probabilmente “mentale” che
spinge un bambino ad entrarci dentro per morire assiderato. Ma possiede anche
un curiosissimo potere “d’attacco di natura fisica”, che si basa in
pratica sul cadere addosso ai nostri eroi di sorpresa, sfuggendo dalle
mani di due facchini che la spostano, e saltuariamente emettere delle
scosse elettriche. L’effetto finale è ugualmente spiazzante e dona alla
ghiacciaia una simpatica personalità. Insomma, con il giusto appeal anche un
tostapane può fare la sua porca figura in uno slasher-movie e Tobe Hooper si
diverte un mondo a giocare con i mobili.
(L’atmosfera giusta) The Mangler vive di
incredibili scenografie ultra-dettagliate, opere dello stesso Tobe Hooper, che
non sfigurerebbero in un film di Tim Burton o Guillermo Del Toro. Il piatto
forte è ovviamente la fabbrica, la Blue Ribbon. Un piccolo inferno in terra di
valori e ingranaggi ai piani bassi, un eccentrico ufficio carico di teste di
alce sui muri, armi da taglio e libri misteriosi nella parte alta. Spazi che
confluiscono su una terrazza interna in ferro, dove ogni passo rimbomba nel
locale e indica che il proprietario si sta muovendo come un avvoltoio, sta
sorvegliando le sue operaie e le sta maledicendo perché sono troppo lente. Come
la magione di Crimson Peek, la Blue Ribbon non ha nulla di realistico, è un
quadro astratto sul tramonto dell’immaginario classico delle catena di
montaggio all’interno del cui perimetro si muovono moderne schiave, mentre al di
sotto, nelle sue fondamenta, c’è forse una struttura più antica, come il Titty
Twister di Dal Tramonto all’Alba. Meno scontato è che tutto il paesino del
Maine goda di scorci scenografici ugualmente eccentrici. L’austera villa dei
Gartley è piena di gargoiles, l’obitorio cittadino sembra la cripta in marmo di
una chiesa, alla casa del sensitivo si accede attraverso un ponte “metafisico”
circondato da alberi carichi di simboli magici e l’interno è sovraccarico di
statue e oggetti curiosi quanto l’appartamento londinese di Dylan Dog. Tutto
questo rende sospesa e onirica l’atmosfera di The Mangler, alimentando la
sensazione che qualcosa di magico possa effettivamente accadere da un momento
all’altro. Permettendoci di credere ancora di più in una stira-camicie
assassina venuta dall’inferno.
(chi sta intorno alla stiratrice) La
storia di The Mangler non potrebbe reggersi comunque così bene senza un
mattatore assoluto come Robert Englund, intento qui nel creare un personaggio
se possibile ripugnante quanto il suo celebre Freddy Krueger. William Gartly,
il proprietario del Blue Ribbon, è un corpo in putrefazione in eleganti abiti
“quasi steam-punk“, sorretto ostinatamente più dalla fame di potere che
dalle protesi metalliche che gli permettono di muoversi. È lui stesso una parte
degli ingranaggi della fabbrica, fuor di metafora. Di indole vigliacca,
libidinoso, grottesco nelle relazioni umane e dal fisico “lombrosianamente
martoriato”, Gartly catalizza tutte le scene in cui è presente con cosi tanta
fierezza e foga di “essere il cattivo”, da trasformarsi quasi nella versione in
carne ed ossa del Mad Doctor in stop motion di Nightmare before Christmas di
Tim Burton. Anche in questo aspetto il film insegue la favola nera più che il
realismo, trovando la prospettiva giusta per sospendere la nostra incredibilità
verso l’infinito e oltre. Ugualmente vincenti in questi contesto sono i
personaggi del detective e dell’esperto di occultismo, specie se siete fan di
Dylan Dog. Di fatto presentano un mix delle caratteristiche peculiari di Bloch
e Dylan, oltre a sviluppare tra loro un legame simile. Il detective abusa di
antiacidi quando deve arrivare sulla scena di un crimine particolarmente
cruento, cerca di essere sempre razionale “fino a prova contraria”, è vedovo (e nel racconto di King ha un figlio morto anche lui), i suoi superiori non
credono particolarmente in lui. L’occultista vive nella sua casa piena di mostri
scolpiti, ha un legame con il detective di tipo quasi familiare, ha senso
dell’umorismo, possiede un “quinto senso e mezzo” e qualche volta “sbaglia il
tiro”. Molto interessante anche il fotografo/detective interpretato
da Jeremy Crutchley, un piccolo ruolo indossato benissimo. Meno a fuoco
risultano le due figure femminili della pellicola, che in un paio di casi quasi
si confondono, ma possiamo dire che questo accada anche per precise esigenze di
trama.
(Non aprire quel tavolo da stiro ikea) Fare un film su una stiratrice satanica può essere bizzarro, ma il film di Hooper è così bizzarro da essere amabilmente scombinato, “fare il giro” e essere gradevole anche a distanza di 26 anni dalla sua uscita al cinema. Trattasi di b-Movie fatto con classe, un horrorino anche abbastanza sanguinolento ma dall’anima principalmente sarcastica, favolistica. Gli oggetti sono buffamente inquietanti, Englund furoreggia e tutto il cast è appropriato al ruolo. Non sempre tutto funziona, non è assolutamente un capolavoro, ma è un film davvero carino, da riscoprire, dove non è troppo strano esorcizzare seriamente un frigorifero, ragionando trasversalmente sulle catene di montaggio aziendali e su quanto “rubino la vita” a chi le frequenta ancora oggi. Seppur in modi diversi e meno “Steam punk”.
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