Wheelsy, nell’America del Sud, è un ridente paesino noto per la etilica “festa del cervo“ e poco altro, popolato da una ridente comunità locale amante della caccia (e pesca “con bombe a mano”), guidata del non amatissimo, esagitato e macchiettistico sindaco repubblicano Jack McReady (Gregg Hanry). Secondo lo sbruffone sceriffo Bill Pardy (Nathan Fillion), quel tipaccio di Grant Grant (che in inglese è una frase fatta che si traduce letteralmente “borsa di studio”), con nome e cognome uguali (Michael Rooker), è troppo vecchio, scorbutico, viscido e possessivo per meritarsi di stare con una donna giovane e bellissima come Starla (Elizabeth Banks). Ci saranno 15 anni di differenza tra i due, lui l’ha presa come fidanzatina quando lei era ancora minorenne togliendola da una brutta famiglia solo perché aveva i soldi e con quelli le ha permesso di finire gli studi (da qui il “Grant Grant” di cui sopra), le ha dato una casa e infine è riuscito a sposarla. Starla era povera ed è stata al gioco per necessità. Forse Pardy la vede così anche perché un tempo era il fidanzatino di Starla, che oggi sempre più angelica e felice insegna nelle scuole elementari locali, davanti a ragazzini già in preda di una crisi ormonale al suo passaggio, come del resto tutta la cittadina. Tu chiamala se vuoi “invidia”, sta di fatto che non funziona più bene come un tempo la relazione tra Starla e Grant. Lei si nega a letto, lui fa tardi sul lavoro, ci sono vari mosconi che gironzolano sul miele e una notte Grant, all’ennesimo ritrarsi della moglie, decide di andare ad ubriacarsi nello scalciato karaoke locale tra i campi. Ubriaco, con in sottofondo The Crying game di Boy George cantato da una signora corpulenta e depressa, al terzo bicchiere Grant vede “lo sbaglio” materializzarsi: la piccola Brenda (Brenda Gutierrez). Quando era piccola, Brenda amava segretamente Grant e ora gli è addosso con gli occhi a cuore. La fragilità del momento, l’alcool e l’amarcord fanno sì che i due finiscano nel bosco, dove da ragazzini avevano inciso su un albero le iniziali del loro nome, pronti a giocare alla cavallina. Cosa che in effetti fanno, con Brenda che sale sulla schiena di Grant che fa cavalluccio e corre al galoppo. Ma ecco che uno strano bagliore dal cielo, seguito da un forte impatto, attira la loro attenzione. Una specie di sasso spaziale fumante tra l’erba, con dentro qualcosa di organico si muove, una protuberanza che schizza un pungiglione verso la pancia di un Grant attonito che perde i sensi. Il giorno dopo Starla si pente di aver allontanato Grant, i due fanno la pace e il rapporto va anche bene, ottimamente, al punto da “far rientrare” la crisi di coppia. Ma Grant è cambiato e sta cambiando ancora, sta letteralmente “mutando”. Un alieno invasore è ora dentro di lui e si sta progressivamente facendo largo nel suo corpo e nella sua mente, chiedendo una quantità sempre più grande di carne cruda per alimentarsi. Grant prima fa incetta di chili di carne cruda, poi iniziano a sparire tutti gli animali della zona, infine il seminterrato dove vive diviene la sua dispensa personale. Sta diventando un uomo-vermone/lumacone a capo di vermi giganti in grado di infettare gli umani trasformandoli in zombie. Questo potrebbe far riaprire la crisi familiare. Riuscirà Grant a ricomporre il suo matrimonio mentre una parte di sé è impegnata nella conquista del mondo?
Slither è una Black Comedy in salsa horror dedicata, per ambientazione sopra le righe, livelli di splatter, sviluppo dei personaggi caricaturali e sense of humor dissacrante a Lloyd Kaufman e alle produzioni “Amabilmente sgangherate” di Troma, dove il regista James Gunn ha militato come sceneggiatore, dal1996, ai tempi di Tromeo and Juliet. Ma le citazioni non si fermano a Tromaville e dintorni (c‘è anche una Tv che trasmette il Toxic Avenger comunque). C’è immediatamente tutta una pioggia di vermi, che ci riporta alla fine degli anni ‘60, a Squirm - i carnivori venuti dalla savana di Jeff Lieberman, da poco rieditato da Midnight Factory. Nel make-up “mostruoso e vermoso“ si può scorgere l’influenza di From Beyond di Stuart Gordon quanto suggestioni forti da Society di Brian Yuzna, così che ci sentiamo quasi dalle parti di Re-Animator, con Rooker con gli occhiali squadrati che sembra quasi ricordare il mad Doctor di Jeffrey Combs. Slither sarebbe negli anni ‘70 il perfetto fil “da drive-in”, non lesinando su creature tentacolose venute dallo spazio amabilmente plasticose, belle ragazze che si fanno il bagno come la bellissima Tania Saulnier e la stessa Banks, scene con ultra-corpi che vagano per cittadine assediate. Ma alla fine, nonostante il divertimento, lo splatter così esagerato da fare il giro e l’azione a rotta di collo, Slither si rivela per essere anche e soprattutto una piccola, intima e crudele, storia sulla crisi di una coppia. Crisi che pur ambientata durante una invasione aliena non perde la sua “bussola emotiva”. Michael Rooker, attore feticcio e amico di Gunn, dà corpo a un personaggio burbero, mostruoso nel suo diventare progressivamente alieno, ma straordinariamente umano, capace di commuoverci, sotto chili e chili di make-up, grazie all’espressività che riesce a infondere all’unica parte di lui non coperta: un singolo occhio. Riesce a essere umano quando gli escono dal petto due protuberanze falliche aliene “eccitate”, nel modo in cui lui “le ritrae” con dignità. Ci comunica il suo disagio quando ha la testa resa idrocefala o grumoso e con due antenne lumacose “per riporto”. Non smette di parlarci con sincerità anche quando diventa una specie di muscolo gigante rosa simile a una palla di 3 metri da cui fa capolino la sua faccia, tra una serie imprecisata di protuberanze varie.
Come raccontava Peter Weller della sua esperienza in Robocop, non è facile e non è scontato lavorare sulle emozioni quando si è coperti di effetti speciali. Riuscire a essere espressivo così combinati dimostra quanto Rooker sia bravo e ingiustamente non valorizzato come meriterebbe dalla critica e star system. Quando Rooker è fuori di scena, incredibilmente, grazie a una felicissima intuizione narrativa, Grant rimane in scena, continuando il discorso della sua crisi di coppia con la Banks. Questo capita perché Grant diventa una sorta di “cervello-guida” in grado di far parlare con la sua voce tutti gli esseri umani che vengono “invasi/zombificati” dai suoi vermi spaziali (un po’ come i Borg, per fare una similitudine a uso dei Trekker come me). Così siamo a un certo punto nella variante di un film sugli zombie, con la protagonista/moglie in fuga tra i vicoli cittadini, in cui i mostri, in branco, invece di sbavare iniziano a parlare con lei e comportarsi nelle movenze esattamente come il marito. Tutta la città, grandi e piccini, “sono Grant” che cercando disperatamente di tranquillizzare e far ragionare Starla le dicono: “Torna da me”, “Possiamo ricominciare tutto da capo”, “Ho visto come parlavi con il tuo ex, non va bene”. È qualcosa di estremamente folle quanto straordinariamente antico, “elevato”: i “posseduti” funzionano come i cori nel teatro greco. Un teatro greco che raggiunge il suo top espressivo nella scena più mutuata dal classico di Brian Yuzna sopra citato, dove si fondono corpi e anime e di fatto “il coro greco” circonda il primo attore. Semplicemente geniale. La Banks dall’algida bambolina bionda in cui è “confezionata” dal make-up e dai vestitini impeccabili che “definiscono Starla”, riesce allo stesso modo di Rooker a sganciarsi dallo stereotipo e dare vita a un personaggio tridimensionale, per nulla banale. Nel calderone di Slither troviamo poi due “personaggi buffi”. Nathan Fillion interpreta il fanfarone e autoironico sceriffo Pardy, Gregg Henry dà corpo a un sindaco scalcinato quanto spassoso. Come tutti gli horror non manca una giovane e bellissima “final girl”, interpretata da Tania Saulter, che regala al pubblico la scena celebre della vasca da bagno immortalata anche in locandina. In Slither, del 2006, c’è tutta una cittadina impazzita, cervi zombie, vermoni, bubboni, teste che esplodono e “tromate” varie, come del resto ne erano pieni (anche se più contenuti) di tromate i due Scooby Doo sceneggiati da Gunn nel 2002 e 2004. Il salto grosso per il regista sarebbe arrivato con I Guardiani della Galassia, nel 2014, ma in Slither c’è già “una marcia in più” e tutta la classe e poetica nel gestire il micro e macro-cosmo narrativo che lo avrebbe contraddistinto in seguito. Grant in Slither non è dissimile in fondo, per poteri e “desideri” dal pianeta Ego (Kurt Russell) in Guardiani della Galassia 2. Anche lì quella che è un’enorme palla gigante con la faccia riesce a diventare quasi un personaggio shakespeariano.
Stither torna in home video in blu ray, per Midnight Factory ed è semplicemente imperdibile per chi se lo era perso finora o per chi si era fatto sfuggire il dvd Universal del 2006. I contenuti speciali sono i medesimi del vecchio dvd con il plus, graditissimo, del commento audio di Gunn e Fillion. È un piccolo cult che è bello rivedere sugli scaffali virtuali e reali dei negozi. Consigliato in double-Vision con un’altra opera da “coro greco moderno”: La dea dell’amore di Woody Allen. Sempre che un paio di effettacci splatter autoironici ed esagerati non vi impediscano moralmente questa “combo”.
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