- Due
parole di inquadramento: all'origine c'era un ragazzo orfano allevato dagli zii
del Queens, un ragno radioattivo, i grandi poteri e le grandi responsabilità.
Poi è arrivato un costume improvvisato in cantina, incrocio tra una tuta, un
pigiama e occhialini da saldatore ad accompagnare il tocco da vero genio, un
lancia ragnatele costruito tutto da lui. Stark lo ha scovato, in rete, nelle
sue prime imprese da vigilante, si è un po' intenerito e un po' appassionato,
da allora tutto è cambiato. Un costume nuovo hi-tech (che ricorda il
"giubbotto del futuro" di Ritorno al Futuro 2 ed è a tutti gli
effetti una versione light della tuta di Ironman), un numero di cellulare che
mette in contatto diretto con Ironman, la voglia di fare tantissimo dopo essere
stati lì, in prima linea, in quell'aeroporto a Berlino in cui si è combattuto
il più duro scontro della Civil War supereroistica. Peter Parker è pronto, già
due ore dopo lo scontro in cui ne ha date (poche) e prese (molte) da Captain
America. Peter Parker è carico a pallettoni, gasato all'inverosimile alla sola
idea di entrare nella serie A dei supereroi, magari con una stanzetta nella
Avengers Tower. La scuola, dove è più che bravino, viene dopo. Gli amichetti e
la bella Liz vengono dopo. Lui c'ha da fare le cose importanti, il cosiddetto
"stage alla Stark", che gli occupa ogni goccia del tempo libero, in
realtà è un autentico trainer da supereroe... o per lo meno questo è quello che
pensa lui, perché nessuno di fatto gli ha detto di "allenarsi a fare il
supereroe". Almeno non "troppo". Perché purtroppo è ancora un
"minchietta". Non ha ancora capito che non può lanciare la
ragnatela dove non ci sono i palazzi, non si è mai scontrato con gente che
vuole davvero cercare di ucciderlo con armi serie, non ha ancora fatto i conti
con la forza di gravità. Non basta aver ricavato una bat-caverna grande come un
armadietto segreto a scuola. Tony Stark, Ironman, suo "mentore",
sente che il bimbo pur molto promettente deve passare ancora un po' di tempo a
giocare nella primavera. Deve capire cosa fare da adulto, deve conoscere il
territorio dove vive, deve diventare prima grande e responsabile e poi, a
tappe, un amichevole Spiderman di quartiere per solo poi volare nei team-up ad
affrontare le minacce cosmiche. Stark sente il peso di essere diventato un
pessimo adulto, come lo era stato suo padre, sente e di aver deluso tutti con
la storia di Ultron, non vuole fare errori con il suo
"bimboragno". Un gps attaccato alla ragno-tuta, un "baby
monitor" per registrare dai suoi occhi quello che fa, il suo uomo di
fiducia Happy impiegato a tempo pieno a leggere i whatsapp di Peter, controllo
di scuola, amicizie, territorio. Iron Man ci tiene, ma è come un papà
iper-protettivo alle prime armi, un po' goffo e un po' troppo sensibile magari.
Non gli permette di fare niente di veramente supereroico e il ragazzo freme,
freme per entrare in azione. Pure la bella zia May, la milf più venerata del
Queens, si preoccupa perché Peter, da sempre un ragazzo intelligente e posato, ora salta le lezioni a scuola e non parla più con lei. Questo caos lo
avvertono anche i suoi amici di scuola, gli insegnanti, i conoscenti di
quartiere: il piccolo Parker ha la testa tra le nuvole. Il costume rosso e blu
è troppo importante però, il babyragno deve usarlo per combattere il crimine
con le sue ronde, la posta in gioco è alta, è bello aiutare il prossimo e c'è
anche un mostro meccanico volante da combattere nei cieli di New York. Una
nemesi seria e competente, forse troppo: l'avvoltoio. Adrian Toomes prima di
diventare l'avvoltoio era un costruttore edile serio e responsabile. Il
perfetto vicino di casa che ama la sua famiglia e da una mano con il giardino.
Quando i chitauri caddero dal cielo e si scontrarono con gli Avengers l'intera
New York era di colpo piena di resti di alieni e astronavi da raccogliere e
Adrian aveva un grosso contratto per lo smaltimento. Fino a che arrivò Damage
Control, di proprietà di Tony Stark, uomo più ricco della terra. Damage Control
aveva l'esclusiva su roba che evidentemente non era sua, ma burocraticamente sollevò l'impresa di Adrian dall'incarico e lui finì sul lastrico. Ma
Adrian non si arrese e anche lui, nella sua cantina, insieme al suo piccolo
gruppo, costruì un bel costume. Da allora decise di intascarsi quanti più possibile
dei ghiotti cimeli spaziali, magari sottraendoli a chi li aveva
"legalmente". Decise di studiarli, elaborarli, adattarli, diventando
il più Figo inventore/ricettatore/ladro di oggetti hi-tech alieni del creato.
Una giusta vendetta sociale che però sta sbracando nel crimine, in quanto nuovi
e strabilianti giocattoli sono ora a disposizione di una nuova classe di
delinquenti, i super-criminali. Solo Spiderman si è accolto dell'avvoltoio, ma
gli adulti non vogliono dargli retta o, per lo meno, non vogliono che si faccia
male. Riuscirà Peter a fermare l'avvoltoio e, soprattutto. a vivere una
regolare vita di adolescente del Queens? Perché oltre ai super criminali c'è la
scuola, una Morte Nera di Lego da assemblare con il suo migliore amico, il
concorso dei cervelloni, il bulletto da sopportare, una splendida ragazza da
conquistare e la dolce Zia May da non deludere. Ma tutto questo è ordinaria
amministrazione, se sei Spiderman.
- Uno
Spiderman a cui "puzzano i piedi": prendo in prestito questa
espressione da Francesco Alò, uno dei critici cinematografici italiani che più
ammiro. Quando arrivi a sentire il sudore di un personaggio cinematografico,
quanto arrivi a sentirgli pure la puzza dei piedi, hai toccato un livello di
realismo importante, anche se magari un po' sgradevole all'olfatto: hai un
elemento di verità in più, tutto diventa tridimensionale. E questo Spiderman,
ispirato alla versione su carta ringiovanita e "ultimizzata" di Bagey
e Bandis (una delle run più longeve e amate dopo quella di Lee/Kirby sui
Fantastici 4), è così: tutto sudato e sporco come sanno sporcarsi solo
gli adolescenti, tutto carico di febbrile mobilità ed entusiasmo, di endorfine.
Tom Holland suda, salta come un grillo, sgrana gli occhioni per lo stupore,
affronta stoicamente la sfiga di cui è permeato l'arrampicamuri ma soprattutto
sa rialzarsi. Cede allo sconforto ma sa sempre rialzarsi, più forte, più
eroico. E soprattutto è ironico e con i piedi per terra, a chilometri dallo
sbagliatissimo, bidimensionale e bulletto Spiderman di Garfield. È vero come
adolescente come è vero il Queens, lo scenario multi-etnico, colorato,
formativo, povero ma non privo di entusiasmo in cui Peter Parker vive. Senti
davvero che in quel negozietto all'angolo puoi trovarci i migliori panini di New
York, avverti l'afa della sala di punizione della scuola, il profumo della
compagna di classe carina, Liz, che in bikini ti si avvicina e ti invita a un bagno
notturno, la puzza di pesce che ti si impregna se cadi in acqua dal traghetto
locale. Spiderman Homecoming vive di un ambiente ricco, pulsante, abitato da
personaggi simpatici quanto credibili, ragazzini veri. Ed è anche un mondo
squisitamente "fringiano", in cui la tecnologia aliena, gli oggetti
mistici e le armi in vibranio esistono, dove gli accordi di Sokovia sono
studiati sui libri di scuola. L'universo Marvel "vive" e ha cambiato
la società, la tecnologia non è più esclusiva di super scienziati come Hank Pym
o Tony Stark, non è più rara e contesa tra società segrete come Hydra e Shield,
ma è alla portata di tutti, del tuo vicino di casa. Uno che ieri smaltiva auto
da rottamare, oggi giocherella con campi di forza che aprono pareti magiche,
con braccia di Ultron-cloni usate come saldatrici, con alianti alieni da cui si
possono ricavare ali come quelle di Falcon. E di colpo i super-criminali hanno
davvero un senso, i vigilanti come Spiderman hanno davvero un senso. Unendo i
puntini di tutti i film Marvel/Disney precedenti, spostando l'obiettivo dagli
eroi alla gente comune, ci troviamo davvero qui, per la prima volta, nel
mondo descritto da Marvels di Busiek e Ross. Ed è più che credibile e per nulla
macchiettistico il villain portato in scena da Michael Keaton, è pieno di
sfumature. È intelligente, curioso, veloce, ha un suo chiaro codice morale,
cuore e senso dell'onore. Non è per nulla un cattivo usa e getta e ci si trova
più volte a pensarla come lui, a giustificarlo e a tifare per lui. Il suo
costume è più corazzato e ha più gadget di Batman, ma è tutto intriso di
American Dream, personalizzato e pimpato, così come il magnifico giubbetto in
pelle da aviatore che decide di usare nelle sue scorribande al posto di più
seriose soluzioni hi-tech. Keaton, che ha in port-folio un arsenale di facce
da matto, ha qui il suo ghigno più cattivo da Beatlejuice, ma non eccede in
faccette, ti fulmina sollevando solo un sopracciglio ma ti convince ugualmente
quando parla della sua famiglia e il volto subito si illumina. Un'ottima prova.
Molto buona anche l'idea di usare Iron Man come mentore e Happy come cane da guardia
severo ma non troppo, anche perché pesca a piene mani anche dalle storyline che
il mensile Amazing Spiderman presentava nel pre, durante e post Civil War. Mi
sarei aspettato ad un certo punto il costume del Ragno Rosso, ma forse non è
ancora venuto il momento giusto. Nerdate a parte, Robert Dawney Jr, anche per
merito di un'ottima sceneggiatura, riesce in questa pellicola a meglio ricucire
e armonizzare il suo personaggio rispetto alle precedenti pellicole. Stark è
gigione come sempre, ma ha anche sfumature molto umane, paterne. Il film
funziona come perfetta parte 2 di Civil War dando una bella chiusa al suo
personaggio. Non si sa ancora se dopo i due nuovi film degli Avengers l'attore
confermerà il ruolo, ma questo è "per lui" decisamente un finale più
appagante di Iron Man 3.
Favreau , nel ruolo di Happy, gioca molto con
Holland, hanno una buona intesa e tempi comici e sono molto divertenti le scene
in cui battibeccano. Così come conquista il simpatico e cicciottello Jacob
Batalon nel ruolo del migliore amico di Peter, Ned. Ned, che è un personaggio
del tutto inedito, è davvero uno spasso. Logorroico, buffissimo, invadente
quanto fidato, sveglio, indispensabile. È il grande cuore ciccione del film e
non sbaglia una sola scena in cui è presente. Il fatto che lui sappia che Peter
è Spiderman permette al nostro eroe di raccontarsi e smitizzarsi, ammorbidendo
quell'aria malinconica propria dell'arrampicamuri classico che poco si
sposerebbe con l'età anagrafica dell'attuale bimbo-ragno. Ned è il suo assistente,
il "tizio alla scrivania" che spesso aiuta l'eroe con dati, mappe e
hacking. Tutte attività che risultano maldestre e buffissime ma sopratutto
originari e godibili da seguire. Non poteva mancare Flash Thompson, il bulletto
cattivo degli incubi del nostro eroe, anche se Tony Revolori invece che la
solita stupida montagna di muscoli lo presenta come un ragazzetto
simpaticamente acido e sopra le righe, cattivello ma non crudele... una specie
di Squiddy di Spongebob, in assenza di un paragone migliore che non mi viene. E
dopo aver parlato di tutti questi maschietti, passiamo all'altra "metà del
cielo". È magnifica e incantevole Marisa Tomei nel ruolo di zia May, una
donnina minuta e solare che insegna a Peter a ballare prima del ballo di classe
e che piange la notte se non ha notizie del nipote da troppe ore. È un mix di
forza e fragilità che conquista. Assomiglia un po' a Scarlett Johannson in Her,
Jennifer Connelly nel ruolo "vocale" (ovviamente nella versione
americana) di Karen, detta anche "lady tuta", un po' l'equivalente di
Jarvis per l'armatura di Iron Man. Più di una semplice "Siri" spersonalizzata, una vera motivatrice / psicologa che
riempie di complimenti e consigli sentimentali il nostro eroe e se vogliamo un
altro centrato artificio narrativo per permettere a Spiderman di raccontarsi
anche mentre si trova da solo a saltare di ragnatela in ragnatela. Funziona
bene, come funzionano bene anche la dolce Liz interpretata da Laura Harrier e
la strampalata ma intrigante Michelle, interpretata da Zendaya. A parlare di
loro due rischio il linciaggio per spoiler, mi limito quindi a dire che sono
dei bei personaggi che non rimarranno indifferenti per la vita futura del
nostro eroe.
- per
Millar il migliore film Marvel finora, ma per me? Per me uguale, ma con la
consapevolezza che se non ci fossero stati i film precedenti non avremmo mai
avuto un simile risultato. L'universo Marvel ritrova finalmente il suo centro
di gravità mettendo al centro di uno dei suoi film migliori un ragazzino: un
ragazzino inserito in una classe di ragazzini simpatici e credibili, autentici
come i milioni di lettori a cui sono principalmente rivolte le storie a fumetti
(che ci siano poi linee editoriali destinate agli adulti è cosa
secondaria) dei supereroi Marvel. Ed è qui come se idealmente Ironman, il
personaggio con cui tutto è cominciato, chiudesse il cerchio e cedesse un po'
il testimone alle nuove generazioni, ritagliandosi un ruolo futuro più
defilato, dopo aver costruito un presente che è ormai "altro",
distopico rispetto al nostro. Jon Watts conferma, dopo gli ottimi The
clown e Cop Car di essere un ottimo regista di storie per
ragazzi, come lo era Donner ai tempi dei Goonies. Ieri come oggi in scena dei
ragazzi veri, con il loro modo confuso di parlare, con la loro adrenalina, con l'entusiasmo e una voglia infinita di fare la loro parte in un mondo
in parte reale e in parte fantastico. Ieri sotto ad un faro nei pressi di
Astoria c'era un covo di pirati pieno di "tracobetti" e criminali,
oggi tra i cieli del Queens puoi scorgere un uomo ragno piccolo piccolo
appiccicato in modo sgangherato a un avvoltoio metallico. Questo è lo spirito
giusto di fare cinema che piaccia tanto ai ragazzi quanto ai bambinoni troppo
cresciuti che non vogliono dimenticare quanto era bello essere alle medie a
sfogliare in un pomeriggio assolato i fumetti. Poi i cinefumetti, esattamente
come i fumetti, possono essere anche "altre cose", possono parlare il
linguaggio degli adulti, fare satira, fare vera fantascienza e critica sociale.
Ma il fumetto di supereroi nella sua forma più semplice (ma mai banale) è
questo e Spiderman Homecoming lo incarna al meglio. Il sequel, già schedulato,
sarà il primo film Marvel post guerra spaziale contro Thanos. Chissà se ci
troveremo di nuovo in un mondo diverso. Chissà se al nostro bimbo-ragno di
quartiere saranno già comparsi i primi accenni di barba.
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