Troy (Nicholas Cage), Mad Dog (Willem Dafoe) e
Diesel (Christopher Matthew Cook). Tre
volti di tre piccoli criminali scontenti e sfigati, incapaci di gioire delle
poche vittorie della vita, destinati a servire il volto più grottesco della
commedia nera. Il loro rapporto si basa sulla fiducia, sul cameratismo
alimentato nel carcere di San Quintino. C'è la volontà di fare girare bene le
cose, coprirsi a vicenda, essere più professionali possibili, ma la testa è in
pappa. Troppo sballo da stupefacenti e poche coccole per Mad Dog, troppa
pignoleria e paura di sbagliare e essere inadeguato per Diesel, per Troy troppo
sentimentalismo e pessimismo cosmico che si traduce in un deleterio
"contratto con Dio", come direbbe Will Eisner. Che tutto finirà a
scatafascio si capisce già dopo i primi esaltanti minuti, in cui un Dafoe mai
così sballato e mai così patetico cerca di sopravvivere, completamente fatto,
a un pomeriggio nella casetta tutta rosa della sua cicciona e petulante
ragazzotta con figlia e fervente cattolica. Le cose non migliorano dopo che un
piccolo colpo potrebbe cambiare la vita dei tre, perché loro non sanno gioire,
stanno sempre a combattere contro i loro demoni interiori. Poi tutto si fa
confusissimo, lisergico, quasi mistico. I freni saltano e il viaggio
cinematografico diventa viaggio interiore e al contempo psichedelico. La
narrazione, già episodica, si fa criptica e ci sembra di stare guardando un
episodio di Breaking Bad parecchio sotto acido.
- ok,
cosa ho visto? È dai tempi di Paura e Delirio a Las Vegas o di Trainspotting
che non assisto a uno spettacolo così psichedelico su dei totali
"losers", divertenti quanto patetici ma in fondo titanici, eroici
nell'affrontare una vita che va tutta storta, forse per "punizione divina"
ai loro peccati. Gli attori si divertono e ci divertono nel descriverci
un'America mai così piatta e priva di prospettive, mai così ipocrita. Ed è un
film cattivo, sinceramente cattivo nell'animo, che non risparmia e non fa
sconti alle povere vittime del passaggio dei tre, vittime ree di essere degli
"inquadrati", di credere in qualcosa, di stare "a posto".
La satira che ne esce fuori è feroce e gustosa, ma il meccanismo pecca un po'
di limature.
Sarà la
produzione low-cost, sarà la natura episodica frammentata al punto da sembrare
una raccolta di barzellette nere, sarà l'empatia difficile da instaurare verso
personaggi che sono veramente border-line, ma la costruzione scricchiola. Si avverte davvero, soprattutto nel finale, l'assenza di scene di
raccordo, ci si sente persi in un mondo che è la riduzione eccessiva del
romanzo da cui è tratto, sempre dello stesso autore (autore che ama pure
Tarantino), in quanto non avendo già in testa la pagina stampata si perdono
molte sfumature. Cane mangia Cane è uno strano meteorite che cade in questa
oltre-soleggiata estate nelle nostre sale. Potente come una peperonata, ma al
contempo straniante per i 40 gradi percepiti a cui dobbiamo trangugiarla. Se vi
piace però il piccante, in un panorama di titoli per il cinema fin troppi educati
e laccati, avete forse trovato il ruvido, sconclusionato è un po' troppo
cattivo spettacolo di cui avete bisogno.
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