-Sinossi: Steven Grant (Oscar Isaac)
lavora nella sezione egizia del museo di Londra, è single e poco apprezzato dai
suoi capi, non ha molto successo con le ragazze. Perennemente bistrattato,
piuttosto goffo e insicuro, con un “mimo” come unico confidente fedele, Steven
ha pure un ENORME problema legato al sonno. Forse è sonnambulo, di quelli
gravi. Forse è peggio che sonnambulo e mentre dorme arriva a vivere la vita di
un’altra persona, per giorni interi. Per questo, prima di addormentarsi Steven
cerca di blindarsi in casa, legandosi una catena alla gamba, chiudendo la porta
con combinazioni complicate e ricoprendo di sabbia tutto il pavimento, per
cercare di comprendere “cosa fa” quando dorme. Ma spesso questo non basta e il
nostro eroe vive dei flash molto realistici in cui fa delle cose pazzesche in
qualche località amena del mondo, come fosse un agente segreto. Presto, a
complicare la routine, una voce misteriosa (in originale la voce
dell’attore Frank Murray Abrams), che dice di essere il dio egizio Khonshu,
inizia a perseguitarlo, chiamandolo alla lotta come suo “Avatar”, contro
creature misteriose e spaventose che iniziano a perseguitare il povero Steven
“per davvero”, mentre lavora nel museo. A partire da uno strano e
ultra-realistico sogno, il nostro povero commesso del museo inizierà pure ad
incontrare il misterioso “santone” Arthur Harrow (Ethan Hawke). Uno che sembra
sentire nella sua testa la voce della dea egizia Ammit e sembra intenzionato a
distruggere il mondo per salvarlo dal male. Sembra mettersi male per Steven, ma
in suo aiuto arriva una nuova “voce nella testa”. Una voce amica che si
prestata come il misterioso Marc Spector.
-Io e Moon Knight: Vi trovate, forse
inconsapevolmente, su un blog. Per questo come corollario alla disamina dei primi
episodi di Moon Knight di Disney Plus voglio raccontarvi anche il mio personale
approccio e amore per questo personaggio Marvel davvero “unico”. C’è stato un
tempo in cui pure io ero “anagraficamente” adolescente. In quella fase, tra le
medie e il liceo, passavo da Topolino a Dylan Dog, fino ai primi manga editi da
Granata Press, con nel mezzo una bella infornata di fumetto argentino ed
europeo grazie a un amico che collezionava Fumo di China ed Eternauta. E poi
c’erano i videogame dell’Amiga e quello stile alla Shadow of The Beast, i film
di Schwarzenegger e i Barbarians Brothers, l’amore per le Notti Horror
presentate dallo zio Tibia. I supereroi “canonici” erano per me all’epoca un
ricordo dell’infanzia. I cartoni dei “Superamici” e un Batman di Adam West che
animava uno show magari non troppo diverso dalla Melevisione o i Teletubbies in
anni più recenti. C’era stato da poco il Batman di Burton al cinema (si
contendeva le locandine con Indiana Jones e l’ultima Crociata nei cinema
locali, per almeno 3 mesi di programmazione) e mi ricordo un magnifico
special Tv, di Red Ronnie con il compianto Bonvi, che mi presentava un
Batman “di carta” che non conoscevo, citando Killing Joke del 1988 e il
nuovissimo ciclo si storie, Year One. Ma quelle perle non si trovavano in tutte
le edicole e i supereroi da edicola erano per me generalmente “troppo colorati”
e “troppo per bambini”, salvo un paio di meritorie eccezioni. Così i primi che
iniziai a seguire furono Lobo (quello di Keith Giffen e Simon Bisley)
e Il Punitore. Erano degli anti-eroi a tutti gli effetti, impegnati in storie
ad alto tasso di sparatorie, splatter, malavita, temi forti. Erano quello che
potevo “accettare” da adolescente anni ‘80, imbevuto di film come Robocop e
Terminator, di Nightmare e Demoni di Bava. Poi su quel numero del Punitore con
in copertina una camicia hawaiana, di maggio 1991, eccoti la sorpresa: Moon
Knight. Fu amore. Storie notturne, l’atmosfera di un jazz club con musicisti
simili a quelli disegnati da Sergio Toppi, idee grafiche forti come un numero
del fumetto tutto a base di pareti agghindate da inquietanti “graffiti di
bambini”, rosso sangue (lo specchio mentale della psicologia di un serial
killer contro cui doveva confrontarsi l’eroe), che quasi mi facevano tornare
alle atmosfere di Profondo Rosso di Dario Argento. Apparentemente Moon Knight
era solo un Batman vestito di Bianco, con tanto di bat-robe varie, vari
bat-veicoli e bat-maggiordomo (ma maggiordomo omosessuale, in un’epoca in cui
i comics non parlavamo ancora di omosessualità). Ma quell’eroe argentato viveva
in un contesto “hot” e amabilmente scorretto, rispetto a quel Batman di Adam West
e i superamici che ricordavo da piccolo in tv e sulla cioccolata (e le
gelatine). Erano storie di sangue e di pazzia, spesso truci, horror, rese a
volte anche più “dure e pulp” dalla stampa in quadricromia. Se Batman lo stavo
riscoprendo al cinema e grazie alla nuova serie animata prodotta da Sunrise (con la sigla di Cristina d’Avena davvero letale), rimanendo per lo più affascinato
dal grande lavoro sul lato psicologico, archetipico, dei suoi personaggi (il
mio amore per la psicologia si è affinato dalle nevrosi di Bruce, dall’indole
borderline del Joker, dal narcisismo del collezionista e dai mille altri pazzi
di Gotham), sulla carta stampata Moon Knight era il perfetto “corollario”. Un
eroe dalla personalità multipla, in grado di declinarsi in storie dall’animo
multiplo e contraddittorio, tra onirico e non. Come Batman, ma infinitamente
più duttile. Vuoi fare una storia nello spazio? Vuoi i licantropi? Vuoi una
detective story a base di vigilanti mascherati? Vuoi una storia sulle leggende
egizie? Sull’uomo nero che spaventa i bambini mentre dormono? Una storia sui
mercenari e le spie in medio oriente? Storie sulla follia? Sugli attori falliti
di Hollywood? Con Moon Knight potevi trovare di tutto, perché è un personaggio
creato libero e anticonformista a 360 gradi. Libero e condito con una amabile
salsa horror/psico/action. La palestra ideale per ogni disegnatore
e autore che voleva farsi conoscere da quegli adolescenti anni ‘80 come me e
dagli “adolescenti del futuro” in cerca di emozioni forti. Moon Knight per
questo è sempre stato un personaggio “a parte”, salvaguardato in una gestione
editoriale fieramente lontana dai supereroi mainstream della Marvel. Nei maxi
crossover lui appariva, faceva due battute e ciao, tornava nelle sue storie a
base di pazzi, demoni e mercenari. Hanno provato a metterlo negli Avengers
della West Coast, ma è durata poco e intelligentemente anche lì le storie hanno
alimentato dei dubbi sul personaggio, presentandolo a metà tra il villain e il
cialtrone, estremo e poco classificabile. Anni e anni dopo le prime storie scritte dai suoi “papà” Doug Moench e Don Perlin per i fumetti sui lupi
mannari, la formula e l’unicità di Moon Knight ha tenuto benissimo, passando alle storie di Dixon e DeMatteis fino ai recenti racconti di Brian
Bendis, Warren Ellis, Brian Wood, Jeff Lemire. Moon Knight negli anni è stato
guarda caso realizzato da molti dei più grandi (e originali) autori e
disegnatori contemporanei. Ogni nuova run a fumetti è tuttora accolta con
enorme interesse (almeno quanto sono temuti i crossover che vogliono
coinvolgerlo) e l’attesa per questa nuova avventura su Disney Plus
era tantissima, per me e molti quasi spasmodica. Una attesa che alla luce delle
prime puntate sembra non essere stata vana, regalando (per ora) uno dei più
riusciti adattamenti da fumetto di sempre.
-La serie tv: era difficile sintetizzare in un film le molte anime di Moon Knight e l’idea di farne una serie dal super-budget per il canale streaming di Disney Plus si è rivelata davvero vincente. Disney, come dimostrato nelle ultime serie di Star Wars, sceglie una messa in scena in grande stile, che non sfigurerebbe per niente sul grande schermo di un cinema. Il cast è sontuoso, annoverando molti attori di primo piano come Hawke e Murray Abrams, tra cui svetta però un incredibilmente versatile e convincente Oscar Isaac. Se già lo avevamo trovato molto simpatico nel ruolo di “Poe” della nuova serie di Star Wars, Isaac in Moon Knight riesce saldamente a tenere le redini di un personaggio folle quanto complesso. Un anti-eroe che piange, vive nel terrore, sa essere buffo e malinconico, sa essere tragico e autoironico, sa sdoppiarsi e reagire, combattere e inciampare, immaginarsi e reimmaginarsi, farsi vittima o carnefice. Uno, nessuno e centomila tratti e qualità, che coesistono nello stesso corpo, con personalità multiple che dialogano tra di loro, per mezzo di specchi e voci interiori, in una infinita ricerca del “sé“. C’è Belfagor il fantasma del Louvre alla base, naturalmente, ma anche più di un contatto con Un lupo mannaro americano a Londra. C’è Batman e una felice punta di Spawn. C’è il cuore tormentato del personaggio di James McAvoy di Split. Un mix poderoso di suggestioni e input che Isaac riesce a declinare benissimo e fare suoi, scindendosi in più anime e dando vita a uno dei personaggi più complicati di sempre, anche per merito della sceneggiatura chirurgica imbastita da Jeremy Slater, autore delle recenti serie The Exsorcist e Umbrella Academy, ma anche di horror riusciti come Pet e The Lazarus Effect (gli perdoniamo lo scivolone del Death Note targato Netflix…forse). Una sceneggiatura ricca di azione e approfondimento psicologico, che bene si unisce a una messa in scena visiva che attinge molto dall’horror moderno, citando a piene mani sequenze di Annabelle e Lights Out, insieme a qualche scena action esagerata dal sapore di Final Destination, integrandole bene ad alcune delle scene più iconiche del fumetto. La fotografia è curata da Gregory Middleton, che si è fatto le ossa sul Trono di Spade, e da Andrew Droz Palermo, che ha lavorato sul bellissimo A Ghost Story, come su You’re next. La colonna sonora del compositore egiziano Hesham Nazeh è molto evocativa, carica di inquietudini e riporta al meglio lo spirito da action/psico/horror che permea le storie di Moon Knight. Non manca l’ironia, ma risulta ben dosata, funzionale e spesso “nera”, come in quel Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis, con cui Moon Knight condivide la stessa “location” della capitale inglese: tra strade affollate e colorate che di notte, per contrappasso, possono tramutarsi di colpo in luoghi da incubo, fatti di infinta solitudine e silenzio. La famosa scena della metropolitana del film di Landis, qui sembra riecheggiare dietro a ogni cambio di inquadratura nelle scene più horror, fin dal famoso “specchio” del bagno (scena ultra copiata negli horror è proprio ideata da Landis in quel Film). Che ci troviamo dentro i bagni di un museo egizio dopo l’ora di chiusura o dentro un ascensore che non chiude le sue porte mentre qualcosa di sinistro ci cerca di raggiungere. Nel campo della tensione il lavoro svolto finora, alla luce dei primi tre episodi, è davvero lodevole, come frenetiche e gustosa sono le scene d’azione fisiche e di inseguimento, supportare da una regia molto dinamica e da buoni Stunt-man. Davvero niente male sul lato della effettistica e del trucco, e non era scontato come aspetto, anche il costume di Moon Knight. Un costume a fumetti da cui ha mutuato moltissimo anche lo Spawn di McFarlane e che per questo ci fa anche pensare a come potrebbe venire “bene” al cinema, oggi, un nuovo Spawn. In realtà con c’è un “solo” costume, e la serie riesce bene ad attingere anche da molta della produzione recente del fumetto in questo. Ma non vogliamo rovinarvi troppo la sorpresa, al di là di quanto non abbiano già fatto i trailer per lo meno. Ogni costume ha un suo “stile di combattimento” e gli scontri che si sono potuti gustare, fino ad ora, sono molto divertenti e originali.
-Finale, alla luce dei primi tre episodi: da fan di Moon Knight credo a mani basse che questo sia il migliore adattamento di un fumetto supereroistico in live action di sempre. È centrato lo stile, è centrato l’umorismo e la componente horror, gli attori sono in parte e il progetto sembra essere partito sui binari migliori, all’interno di una resa visiva che si sarebbe meritata al 100% la sala cinematografica. Svestendo per un attimo i panni del fan sfegatato, ritengo la nuova serie Disney Plus un’opera adatta a un pubblico più di adolescenti che di bambini, per via delle molte scene che potrebbero spaventare o confondere i più piccoli. Una serie che è ben avviata, ma che aspettiamo a giudicare più compiutamente una volta che saranno rilasciati tutti gli episodi, specie in riguardo a come verranno sviluppati gli altri personaggi. Fino ad ora è stato un “Oscar Isaac show”, convincente e divertente, ma ci aspettiamo anche uno sviluppo ulteriore del personaggio di Hawke, che qui gigioneggia alla grande, ma come attore sa dare molto di più. Se il buongiorno si vede dal mattino, Moon Knight è partito al meglio.
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