Siamo nella Milano anni ‘70, con la
“Milano da bere” ancora lontana ma non così tanto, perché c’è già “fermento”.
C’è un fermento simile (ma di diversa natura) anche in uno dei posti più
magici del mondo per iniziare una storia d’amore: la storica libreria Cortina,
davanti all’Università Statale (o almeno così pare dalla posizione). Lui si
chiama Maurizio, è un ragazzone magrolino dall’aria un po’ allampanata e gli
occhi buoni (Adam Driver). Vuole studiare legge per andare via da tutte le
beghe familiari: tra il malinconico e scostante padre/attore-mancato
Rodolfo (Jeremy Irons), lo zio d’America Aldo (Al Pacino) troppo distante per
capirlo e la fabbrica di borse “un po’ vecchiotte” che incombono sul suo futuro.
Lei si chiama Patrizia, è una gnappetta un po’ tarchiatella ma peperina, con
dagli occhioni enormi e così azzurri da sembrare Liz Taylor (Lady Gaga).
Lavora nell’ufficio dell’impresa paterna (il papà è interpretato da Vincent
Riotta) operante nel settore del trasposto gommato e sogna il grande amore,
intravisto di sfuggita alla maxi festa in maschera dai conti Serbelloni
Mazzanti (di fantozziana memoria) e scambiato sul momento per il barman. Quel
grande amore che ora è lì, davanti a lei, tra i mattoni polverosi di procedura
civile della Cortina (o così pare) e l’aria di uno che non riesce a sollevarli
con troppa convinzione. I due si presentano come si deve, si piacciono e
scappano in vespa direzione lago di Como, trovandosi subito davanti alla più
classica e romantica delle giornate sul lago di Como (per chi lo conosce e lo
vive): in barchino a remi in due con nebbia totale a visibilità zero, acqua
gelata e rischio concreto di cadere negli abissi, dove non troveranno mai più i
corpi. È amore vero, anzi “l’Amore”, quando poi lui decide di andare via dalla
“casetta paterna di migliaia di metri quadrati” dopo che il genitore, ex attore
borioso, non vuole saperne della sua nuova tresca, che rischierebbe nel breve
periodo di vedere legato il suo nome, altisonante dal glorioso passato, con una
famiglia di “camionari”, come quella di Patrizia. Maurizio si fa le ossa
lavorando insieme a quei camionari, vivendo con loro e giocando a gavettoni
mentre puliscono i mezzi, in canotta, fino a che i due si sposano, con i nobili
Gucci che disertano in toto la cerimonia. Ma lo zio Aldo poi ci ripensa e cerca
di riagganciare i ponti. Suo figlio Paolo (Jared Leto) è troppo naif per
ereditare l’impresa di borse, lui è anziano, Rodolfo misogino e Maurizio rimane
l’unico degno erede possibile. Aldo troverà un assist importante proprio da
Patrizia, che si rivelerà donna ambiziosa quanto abile stratega, in grado non
solo di ricucire i legami familiari ma pure di rilanciare in alto il marchio
verso nuove vette, con nuove idee e un sincero coinvolgimento per la causa comune. La donna un tempo “gnappetta” appare di colpo a Maurizio bellissima bellissima (scrivo due volte per rafforzare), anche sotto la
pioggia di una New York autunnale in bianco e nero, da ammirare come una diva
del muto. I “gucci” con lei stanno per diventare i “Gucci”. Poi accade il
“patatrac”. Beghe di soldi e finanza, casini e burocrazia presi sotto gamba, un
po’ di cattiva gestione. Maurizio scappa in moto in Svizzera scoprendo che a
Patrizia preferisce la bella Paola Franchi (Camille Cottin), l’amica di tante
vacanze sulla neve di gioventù: bellissima, altissima, biondissima e con il
naso strano. Di colpo ritrovata e subito riportata nella sua vita, insieme a
tutta la vecchia cumpa degli amici fighetti, pronti a nuove sciate tutti
insieme con in sottofondo Last Christmas dei Wham!. Patrizia raggiunge il
marito sul set di questa specie di cinepanettone dopo aver cercato di spegnere
i casini economici, ma appare subito fuori posto. Troppo gnappetta, nera come Calimiero, picchietta il cucchiaino sulla tazzina di caffè come un martelletto (e ha pure le sue ragioni dopo aver scoperto questo improvviso “volto
galletto” del marito) ed è così poco “fashion”. Maurizio scappa e cambia tutti i
lucchetti delle ville, si mette in casa la bionda dal naso strano, inizia a
sognare in grande e arriva a chiamare Tom Ford per trasformare la sua azienda
in qualcosa di enorme, dando fondo quasi a tutte le risorse nella realizzazione
dell’impresa. Patrizia cerca di riaggiustare le cose, chiama e lui non
risponde, lo segue e lui la tratta male, fino a che lei sceglie di servirsi dei poteri spiritici (e non) della medium Pina (Salma Hayek),
conosciuta in passato durante una trasmissione televisiva notturna in cui
leggeva le carte. Aldo intanto sarà in piena balia del figlio naif. Finirà
“a schifio”, ma prima il marchio Gucci volerà alto come non mai.
Se James Wan ha preso Argento e lo ha
riletto stilisticamente in Malignant, se Tarantino ha preso Castellari,
Corbucci e Leone e li ha fusi nelle inquadrature dei suoi ultimi film post-spaghetti-western,
il Ridley Scott di Blade Runner e Prometheus, di Alien e Thelma e Louise, dei
Duellanti e The last duel, per House of Gucci ha preso a piene mani dalla
nostra commedia all’italiana. Lo ha fatto non con un atteggiamento di sfida o
supponenza, perché ha trovato che fosse il modo più corretto per leggere
questa sceneggiatura.
Più una variante de Il vedovo di
Dino Risi che Game of Thrones.
Forse Scott ha fatto uno “sgarro”, per
chi cercava dalla pellicola una celebrazione dello stile italico quanto Nine di
Rob Marshall o si aspettava per lo meno la algida Grande Bellezza di
Sorrentino. Qualcuno si sarà sentito deluso per la componente “gialla” della
vicenda, ben lontana pure da “un giorno in pretura”, che nasce e si risolve non
esattamente come un dedalo inestricabile di indizi, inseguimenti, thriller.
Possiamo dare salomonicamente la colpa di queste “delusioni” in parti uguali al
libro di Sara Gay Forsen come alla sceneggiatura di Backy Johnson e Roderto
Bentivenga, ma House of Gucci, se si ha la voglia di “passare oltre”, è
davvero gustoso. Crudele quanto basta. Più sarcastico che malinconico. Un po’
come quei villoni sfarzosi sul lago di Como, che il destino ha voluto spesso
coperti dalla nebbia e maltempo, con Paolo Villaggio che li guarda e ci guarda
dal cielo e ride, con noi che dovremmo ridere con lui e insieme a Scott di
questa cosa.
La pellicola ha una durata abbastanza
imponente, ma non ho avvertito in modo negativo questo aspetto. Bravi tutti gli
attori, Gaga e Pacino straordinari, umani e avvolgenti. Driver misurato quanto
etereo, Irons crepuscolare quanto tagliente, una menzione speciale a Jared
Leto, che si è totalmente trasformato nell’aspetto e nella voce per
interpretare il ruolo di Paolo.
Molto divertente, ben confezionato, potrebbe non piacere a chi si aspetta qualcosa di diverso da una commedia nera.
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