Sinossi fatta male: Un agente della CIA
(Washington) si infiltra in un commando armato che irrompe al teatro
dell’opera di Kiev per portare in salvo un agente sotto copertura. Le cose
finiscono malissimo, il nostro agente si “risveglia” su una nave dove scopre di
essere stato reclutato da una misteriosa agenzia di nome Tenet per una indagare
sul traffico di un nuovo e fantascientifico tipo di armi che si basano sulla
manipolazione della entropia degli oggetti. Viene affiancato presto da un
misterioso agente segreto (Pattison) e i due iniziano a crearsi una pista
verso il misterioso Andrei Sator (Branagh). Forse un modo per avvicinarlo può
essere la moglie infelice di quest’ultimo, Kat (Elizabeth Debicki ).
Nolan e la declinazione cinematografica
del tempo: un tempo che viene “rubato” agli altri (nel thriller The following),
scomposto in puzzle (nello psicologico Memento), dilatato in un eterno giorno
senza notte (Nel noir Insomnia). Il tempo per la necessaria formazione
individuale (Il supereroistico Batman Begins), il tempo di una vita per
creare l’illusione, l’arte, di un istante (Il drammatico The Prestige). Il
tempo che obbliga a prendere scelte importanti solo sacrificandone altre (Batman - Dark Knight), il tempo che si allunga da istante a infinito nei
sogni (il film di rapine Inception), il tempo che obbliga l’eroe a stare in
panchina mentre il mondo va a rotoli (Il cavaliere oscuro - il ritorno). Il tempo “privato” che dedichiamo ai nostri cari, che si scontra contro il tempo
inesorabile che impone il resto del mondo, facendoci vivere e invecchiare
lontani (il fantascientifico Interstellar). Il “tempo di percorrenza”,
l’attesa tra l’inizio e la fine di un viaggio che si allunga o contrae a
seconda che lo intraprendiamo a piedi, su una nave o in aereo, che cambia la
percezione e la durata di una storia (Il film di guerra Dunkirk). Nolan è un
“sacerdote” del concetto di tempo, un’ossessione che rende i suoi lavori in
larga misura riconoscibili tanto sul piano narrativo che estetico. Il tempo è
argomento principe a prescindere dal genere cinematografico della pellicola,
visivamente tutto è geometrico e preciso, quanto intimamente
complesso, come il quadrante di un orologio svizzero, con il rischio calcolato
di apparire spoglio. La scena si riempie di orologi, lancette, quadranti, led,
palesi o nascosti nelle forme di enormi pale eoliche, torri verticali simili al
Big Ben, infiniti numeri che scorrono su qualche marchingegno. Nolan costruisce “orologi cinematografici“ magnetici e austeri. Oggetti
spesso “difficili” da classificare come da “godere”, alle volte poco empatici o
troppo concettuali, troppo estetici, da contemplare più che da capire, ma
non per questo meno attraenti e assolutamente “suoi”, d’autore. Tenet è il suo
film numero 11 anche se per qualcuno doveva essere il decimo, in quanto nome e
trama spesso giocano sul numero 10, e Tenet come parola sembra giocare con il
numero 10, “ten” in inglese, riportandolo nel modo corretto e al
contrario. Ma Tenet è anche una parola misteriosa, integrata nel
cosiddetto cosiddetto “Quadrato di Sator”, una nota ma ancora criptica
iscrizione ricorrente su epigrafi, palazzi e monumenti fin dal 79 d.C., al punto
che Nolan ha voluto costruire la trama del film prendendo spunto da questa.
Infine Tenet è una parola per la grammatica “palindroma“ che si legge allo
stesso modo da sinistra a destra, ma anche alla rovescia, e offre per questo
da subito il senso più immediato e la sfida, ambiziosa, che Nolan si pone con
la pellicola: un film che può essere visto anche alla rovescia. Nolan in Tenet
vuole giocare nuovamente con il tempo, indagando sulla “direzione” dello
stesso. Se è possibile nel mondo reale per l’uomo passare dal tempo presente al
futuro, la fantascienza di Nolan vuole “rendere il tempo palindromo”,
permettere all’uomo di muoversi al suo interno, partendo da un punto fermo (realizzabile grazie a dei fantascientifici “tornelli” e da “armi entropiche”), in ambo le direzioni. Non una ripetizione infinita sul modello del Giorno della
Marmotta, quanto un’influenza dinamica uomo/ambiente in ragione dell’entropia
interna insita in particolari oggetti. Esempio: Se hai sparato un proiettile
speciale in un muro, con una speciale pistola puoi riprendere quel proiettile
dal muro al caricatore e sparare da un’altra parte. Un concetto che se vogliamo
ha già trovato una sua forma nelle dinamiche dei videogame da anni, tra Prince
of Persia Le sabbia del tempo a Singularity, passando per i mondi a specchio di
Zelda e un piccolo e travolgente gioco indipendente come Brain. Ma una
suggestione che per la narrativa cinematografica era ancora così complessa da
sviluppare che ci aspettavamo che solo un matto come Nolan si sarebbe gettato
nell’impresa, magari prendendo a prestito giusto qualcosa da Rian Johnson,
raccogliendo la sfida e portandola ad un livello estremo.
Così Nolan sceglie come base narrativa
lo Spy-Movie, di cui subito, nel suo modus operandi classico, “desertifica” quasi
tutti i principali topoi (chi sono gli schieramenti Geopolitici? Come si
svolgono le indagini? La sensualità della vita della spia? La preparazione
della spia?) mettendo i protagonisti (al punto che il protagonista
principale, interpretato da Washington, non ha un nome, se non che in una scena
si autoproclama “il protagonista”) al centro di una gara per il controllo
di questa rara tecnologia fantascientifica che permette di infrangere le regole
del tempo. Si parte da piccoli oggetti che si possono “usare al contrario” ma
si arriva presto a dei fenomeni su ampia scala che sarebbe un delitto
anticipare.
Cast e tecnici: Washington Jr, già
apprezzato come giovane Lando in Solo, è un ottimo eroe action e un attore
carico di sensibilità, pure troppo. Non è un Bond, non è uno Xander Cage, è una
spia che quando serve sa menare mooolto bene le mani, ma dall’animo gentile,
forse fanciullesco. Mi ha ricordato un po’ l’XXX di Ice Cube, che piuttosto che
fare il marpione va da McDonalds. Kenneth Branagh è un villain un po’ gigione
ma regale, minaccioso ma carico di una malinconia che lo rende interessante,
umano.
Elizabeth Debicki dopo tante particine
un po’ sfigate e in ombra assurge qui, con il suo chilometro e mezzo di gambe e
gli occhi azzurri a nuovo riferimento dell’immaginario sexy cinematografico.
Elegantissima e malinconica pure lei, interpreta una donna dal sapore
hichcockiano. Ma la sorpresa del mazzo è lui, quello che presto sarà
chiamato dal mondo, alla milanese, come “IL” Batman (dall’originale The
Batman, che suona pari a “La” Lalla, “Il” Pucci, “Il” Giangi e “La”
Raffa... perché a Milano tutti i nomi hanno un articolo davanti, tra gli sbarbati
che contano). Parliamo di Pattison, anzi “Del” Pattison, che in Tenet oltre ad
avere un ruolo molto interessante e misterioso riesce ad esibirsi
splendidamente nelle molte scene action, cosa che finora non sapevamo sapesse
fare così bene, ed è pure simpatico. Davvero bravo!
La colonna sonora è firmata da Ludwig
Goransson, vincitore dell’Oscar per Black Panther, e non fa rimpiangere per
sontuosità il collaboratore storico di Nolan, Hans Zimmer. Anche qui
corni e trombe a profusione.
Dopo Wally Pfister, che lo ha
accompagnato dall’inizio, Nolan prosegue la collaborazione, iniziata con
Interstellar, con il direttore fotografia Hoyte van Hoytema, che qui dimostra
la consueta passione maniacale per il dettaglio.
Allora, è bello?: Non sono uno che
disquisisce in genere di “giudizio oggettivo” o “soggettivo di un film“, specie
se ho davanti un’opera di un regista come Nolan, che spesso ama piegare le
regole della logica all’arte, come precisa espressione artistica. Per questo
qui sopra l’ho paragonato a un creatore di orologi, una persona amante dei
meccanismi.
In Dunkirk molte critiche hanno
riguardato il fatto che i soldati stessero fermi in coda ad aspettare le navi
per la ritirata, un po’ come si sta in coda in posta, invece che prendere le
armi e combattere i tedeschi. Ma i soldati di Nolan si comportavano così perché
Dunkirk è un film sull’attesa e quelle code simboleggiavano al meglio l’ansia e
impotenza davanti a una attesa estenuante. Un ansia che anche il pubblico
poteva “empatizzare”, perché tutto il pubblico ha condiviso l’esperienza
dell’essere in coda ad aspettare, più che la possibilità di sparare ai
nazisti.
In Interstellar si espone la teoria secondo cui più chi si avvicina ad un buco nero più il ritorno a casa si prolungherebbe di anni, perché il tempo “gira più velocemente”. Logica vorrebbe che gli astronauti evitassero una missione suicida di salvataggio che li spinga verso un pianeta che sta per essere ingoiato da un buco nero, ma volete privarvi della bellezza di mostrare al cinema quello che accade su questo sfortunato pianeta? Specie se su quel pianeta le regole del tempo sono infrante e tutto suona come un film al rallentatore?
Nolan vuole farci vedere al cinema
queste cose anche a dispetto del realismo, “perché è bello” e può essere pure
profondo, trascendente. In Dunkirk le colonne di uomini in coda ordinata, in
Interstellar gli astronauti ultima speranza del genere umano che vanno quasi ad
ammazzarsi in un buco nero.
In 22 Jump Street quei ragazzacci di Miller e Lord fanno entrare i protagonisti con l’auto in una fabbrica di fuochi d’artificio in auto, durante un inseguimento, senza girare una singola scena dentro la stessa. Quando escono, e noi in sala non abbiamo visto niente, i protagonisti dicono: “Wow! È stato fighissimo!!”. Ecco, Nolan non ci avrebbe mai fatto mancare quella sequenza; avrebbe guardato al differente timing dello scoppio di ogni mini-cicciolo a seconda del tempo di percorrenza di ogni veicolo coinvolto nell’inseguimento.
Non si tratta di amore per l’effetto
speciale o l’esplosione più grossa in stile Bayhem, è qualcosa di più
“ossessivo”, autorale.
Cosa fa Nolan in Tenet?: Semplifica tutto
quello che non è l’azione, vuole che ci occupiamo unicamente di quello che
accade visivamente su schermo, perché è conscio che sarà comunque complesso
seguirlo. In questa operazione saltano del pezzi di “logica interna”, allo
stesso modo in cui succede in tutte le sue opere, ma forse qui la situazione
viene amplificata, laddove vengono liquidate in poche parole delle linee
narrative che dovrebbero essere centrali. Ci sono buchi sulla trama di fondo,
buchi sullo stesso uso della tecnologia, buchi sul comportamento di alcuni
personaggi. Se queste mancanze ogni tanto si sentono e fanno alzare
l’asticella dei dubbi allo spettatore, Tenet riesce per me a far soprassedere
più o meno su tutto, in quanto visivamente è uno degli action più spettacolari
degli ultimi anni, carico di intuizioni visive e dotato di una inedita e
complicatissima struttura narrativa che lo rendono uno spettacolo davvero unico
nel genere, imperdibile per ogni fan del cinema che si rispetti.
Finale: Tenet ha ottimi attori, effetti speciali, fotografia e musiche. Una sceneggiatura forse più criptica della media, ma una resa visiva e una originalità della messa in scena da infarto secco, che ne fanno un’opera semplicemente immancabile.
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