giovedì 24 settembre 2020

Tenet - la nostra recensione de nuovo film di Christopher Nolan

 


Sinossi fatta male: Un agente della CIA (Washington) si infiltra in un commando armato che irrompe al teatro dell’opera di Kiev per portare in salvo un agente sotto copertura. Le cose finiscono malissimo, il nostro agente si “risveglia” su una nave dove scopre di essere stato reclutato da una misteriosa agenzia di nome Tenet per una indagare sul traffico di un nuovo e fantascientifico tipo di armi che si basano sulla manipolazione della entropia degli oggetti. Viene affiancato presto da un misterioso agente segreto (Pattison) e i due iniziano a crearsi una pista verso il misterioso Andrei Sator (Branagh). Forse un modo per avvicinarlo può essere la moglie infelice di quest’ultimo, Kat (Elizabeth Debicki ). 

Nolan e la declinazione cinematografica del tempo: un tempo che viene “rubato” agli altri (nel thriller The following), scomposto in puzzle (nello psicologico Memento), dilatato in un eterno giorno senza notte (Nel noir Insomnia). Il tempo per la necessaria formazione individuale (Il supereroistico  Batman Begins), il tempo di una vita per creare l’illusione, l’arte, di un istante (Il drammatico The Prestige). Il tempo che obbliga a prendere scelte importanti solo sacrificandone altre (Batman - Dark Knight), il tempo che si allunga da istante a infinito nei sogni (il film di rapine Inception), il tempo che obbliga l’eroe a stare in panchina mentre il mondo va a rotoli (Il cavaliere oscuro - il ritorno). Il tempo “privato” che dedichiamo ai nostri cari, che si scontra contro il tempo inesorabile che impone il resto del mondo, facendoci vivere e invecchiare lontani (il fantascientifico Interstellar). Il “tempo di percorrenza”, l’attesa tra l’inizio e la fine di un viaggio che si allunga o contrae a seconda che lo intraprendiamo a piedi, su una nave o in aereo, che cambia la percezione e la durata di una storia (Il film di guerra Dunkirk). Nolan è un “sacerdote” del concetto di tempo, un’ossessione che rende i suoi lavori in larga misura riconoscibili tanto sul piano narrativo che estetico. Il tempo è argomento principe a prescindere dal genere cinematografico della pellicola, visivamente tutto è geometrico e preciso, quanto intimamente complesso, come il quadrante di un orologio svizzero, con il rischio calcolato di apparire spoglio. La scena si riempie di orologi, lancette, quadranti, led, palesi o nascosti nelle forme di enormi pale eoliche, torri verticali simili al Big Ben, infiniti numeri che scorrono su qualche marchingegno. Nolan costruisce “orologi cinematografici“ magnetici e austeri. Oggetti spesso “difficili” da classificare come da “godere”, alle volte poco empatici o troppo concettuali, troppo estetici, da contemplare più che da capire, ma non per questo meno attraenti e assolutamente “suoi”, d’autore. Tenet è il suo film numero 11 anche se per qualcuno doveva essere il decimo, in quanto nome e trama spesso giocano sul numero 10, e Tenet come parola sembra giocare con il numero 10, “ten” in inglese, riportandolo nel modo corretto e al contrario. Ma Tenet è anche una parola misteriosa, integrata nel cosiddetto cosiddetto “Quadrato di Sator”, una nota ma ancora criptica iscrizione ricorrente su epigrafi, palazzi e monumenti fin dal 79 d.C., al punto che Nolan ha voluto costruire la trama del film prendendo spunto da questa. Infine Tenet è una parola per la grammatica “palindroma“ che si legge allo stesso modo da sinistra a destra, ma anche alla rovescia, e offre per questo da subito il senso più immediato e la sfida, ambiziosa, che Nolan si pone con la pellicola: un film che può essere visto anche alla rovescia. Nolan in Tenet vuole giocare nuovamente con il tempo, indagando sulla “direzione” dello stesso. Se è possibile nel mondo reale per l’uomo passare dal tempo presente al futuro, la fantascienza di Nolan vuole “rendere il tempo palindromo”, permettere all’uomo di muoversi al suo interno, partendo da un punto fermo (realizzabile grazie a dei fantascientifici “tornelli” e da “armi entropiche”), in ambo le direzioni. Non una ripetizione infinita sul modello del Giorno della Marmotta, quanto un’influenza dinamica uomo/ambiente in ragione dell’entropia interna insita in particolari oggetti. Esempio: Se hai sparato un proiettile speciale in un muro, con una speciale pistola puoi riprendere quel proiettile dal muro al caricatore e sparare da un’altra parte. Un concetto che se vogliamo ha già trovato una sua forma nelle dinamiche dei videogame da anni, tra Prince of Persia Le sabbia del tempo a Singularity, passando per i mondi a specchio di Zelda e un piccolo e travolgente gioco indipendente come Brain. Ma una suggestione che per la narrativa cinematografica era ancora così complessa da sviluppare che ci aspettavamo che solo un matto come Nolan si sarebbe gettato nell’impresa, magari prendendo a prestito giusto qualcosa da Rian Johnson, raccogliendo la sfida e portandola ad un livello estremo. 



Così Nolan sceglie come base narrativa lo Spy-Movie, di cui subito, nel suo modus operandi classico, “desertifica” quasi tutti i principali topoi (chi sono gli schieramenti Geopolitici? Come si svolgono le indagini? La sensualità della vita della spia? La preparazione della spia?)  mettendo i protagonisti (al punto che il protagonista principale, interpretato da Washington, non ha un nome, se non che in una scena si autoproclama “il protagonista”) al centro di una gara per il controllo di questa rara tecnologia fantascientifica che permette di infrangere le regole del tempo. Si parte da piccoli oggetti che si possono “usare al contrario” ma si arriva presto a dei fenomeni su ampia scala che sarebbe un delitto anticipare.  

Cast e tecnici: Washington Jr, già apprezzato come giovane Lando in Solo, è un ottimo eroe action e un attore carico di sensibilità, pure troppo. Non è un Bond, non è uno Xander Cage, è una spia che quando serve sa menare mooolto bene le mani, ma dall’animo gentile, forse fanciullesco. Mi ha ricordato un po’ l’XXX di Ice Cube, che piuttosto che fare il marpione va da McDonalds. Kenneth Branagh è un villain un po’ gigione ma regale, minaccioso ma carico di una malinconia che lo rende interessante, umano. 

Elizabeth Debicki dopo tante particine un po’ sfigate e in ombra assurge qui, con il suo chilometro e mezzo di gambe e gli occhi azzurri a nuovo riferimento dell’immaginario sexy cinematografico. Elegantissima e malinconica pure lei, interpreta una donna dal sapore hichcockiano. Ma la sorpresa del mazzo è lui, quello che presto sarà chiamato dal mondo, alla milanese, come “IL” Batman (dall’originale The Batman, che suona pari a “La” Lalla, “Il” Pucci, “Il” Giangi e “La” Raffa... perché a Milano tutti i nomi hanno un articolo davanti, tra gli sbarbati che contano). Parliamo di Pattison, anzi “Del” Pattison, che in Tenet oltre ad avere un ruolo molto interessante e misterioso riesce ad esibirsi splendidamente nelle molte scene action, cosa che finora non sapevamo sapesse fare così bene, ed è pure simpatico. Davvero bravo!



La colonna sonora è firmata da Ludwig Goransson, vincitore dell’Oscar per Black Panther, e non fa rimpiangere per sontuosità il collaboratore storico di Nolan, Hans Zimmer. Anche qui corni e trombe a profusione.

Dopo Wally Pfister, che lo ha accompagnato dall’inizio, Nolan prosegue la collaborazione, iniziata con Interstellar, con il direttore fotografia Hoyte van Hoytema, che qui dimostra la consueta passione maniacale per il dettaglio.

Allora, è bello?: Non sono uno che disquisisce in genere di “giudizio oggettivo” o “soggettivo di un film“, specie se ho davanti un’opera di un regista come Nolan, che spesso ama piegare le regole della logica all’arte, come precisa espressione artistica. Per questo qui sopra l’ho paragonato a un creatore di orologi, una persona amante dei meccanismi.

In Dunkirk molte critiche hanno riguardato il fatto che i soldati stessero fermi in coda ad aspettare le navi per la ritirata, un po’ come si sta in coda in posta, invece che prendere le armi e combattere i tedeschi. Ma i soldati di Nolan si comportavano così perché Dunkirk è un film sull’attesa e quelle code simboleggiavano al meglio l’ansia e impotenza davanti a una attesa estenuante. Un ansia che anche il pubblico poteva “empatizzare”, perché tutto il pubblico ha condiviso l’esperienza dell’essere in coda ad aspettare, più che la possibilità di sparare ai nazisti. 

In Interstellar si espone la teoria secondo cui più chi si avvicina ad un buco nero più il ritorno a casa si prolungherebbe di anni, perché il tempo “gira più velocemente”. Logica vorrebbe che gli astronauti evitassero una missione suicida di salvataggio che li spinga verso un pianeta che sta per essere ingoiato da un buco nero, ma volete privarvi della bellezza di mostrare al cinema quello che accade su questo sfortunato pianeta? Specie se su quel pianeta le regole del tempo sono infrante e tutto suona come un film al rallentatore? 

Nolan vuole farci vedere al cinema queste cose anche a dispetto del realismo, “perché è bello” e può essere pure profondo, trascendente. In Dunkirk le colonne di uomini in coda ordinata, in Interstellar gli astronauti ultima speranza del genere umano che vanno quasi ad ammazzarsi in un buco nero. 

In 22 Jump Street quei ragazzacci di Miller e Lord fanno entrare i protagonisti con l’auto in una fabbrica di fuochi d’artificio in auto, durante un inseguimento, senza girare una singola scena dentro la stessa. Quando escono, e noi in sala non abbiamo visto niente, i protagonisti dicono: “Wow! È stato fighissimo!!”. Ecco, Nolan non ci avrebbe mai fatto mancare quella sequenza;  avrebbe guardato al differente timing dello scoppio di ogni mini-cicciolo  a seconda del tempo di percorrenza di ogni veicolo coinvolto nell’inseguimento. 

Non si tratta di amore per l’effetto speciale o l’esplosione più grossa in stile Bayhem, è qualcosa di più “ossessivo”, autorale. 



Cosa fa Nolan in Tenet?: Semplifica tutto quello che non è l’azione, vuole che ci occupiamo unicamente di quello che accade visivamente su schermo, perché è conscio che sarà comunque complesso seguirlo. In questa operazione saltano del pezzi di “logica interna”, allo stesso modo in cui succede in tutte le sue opere, ma forse qui la situazione viene amplificata, laddove vengono liquidate in poche parole delle linee narrative che dovrebbero essere centrali. Ci sono buchi sulla trama di fondo, buchi sullo stesso uso della tecnologia, buchi sul comportamento di alcuni personaggi. Se queste mancanze ogni tanto si sentono e fanno alzare l’asticella dei dubbi allo spettatore, Tenet riesce per me a far soprassedere più o meno su tutto, in quanto visivamente è uno degli action più spettacolari degli ultimi anni, carico di intuizioni visive e dotato di una inedita e complicatissima struttura narrativa che lo rendono uno spettacolo davvero unico nel genere, imperdibile per ogni fan del cinema che si rispetti.

Finale: Tenet ha ottimi attori, effetti speciali, fotografia e musiche. Una sceneggiatura forse più criptica della media, ma una resa visiva e una originalità della messa in scena da infarto secco, che ne fanno un’opera semplicemente immancabile. 

Talk0

Nessun commento:

Posta un commento