venerdì 18 settembre 2020

Crescendo - #makemusicnotwar - La nostra recensione del film di Dror Zahavi



Breve sinossi: La dottoressa Karla de Freis (Bibiana Beglau) della “Fondazione per l’altruismo concreto“ ha per le mani un progetto, finanziato dai fondi europei, che può unire politica e cultura in modo rivoluzionario. Il direttore di fama mondiale Eduard Sporck (Peter Simonischek) dirigerà, per un solo concerto di musica classica, che si terrà nel Sud Tirolo, un’orchestra formata da giovani palestinesi e israeliani, da lui scelti personalmente a un'audizione che si terrà il 16 agosto all’auditorio di Tel Aviv, alle ore 9.00. L’evento sarà accompagnato a delle trattative di pace tra i due popoli ed è previsto che come “seme” generi una scuola di musica in Cisgiordania. Sporck è sulle prime un po’ combattuto. I suoi genitori avevano contribuito attivamente allo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale e si trova a disagio a trovarsi a Tel Aviv per quel provino. Non è neanche sicuro di riuscire a realizzare, come auspicato dagli organizzatori, un'orchestra di israeliani e palestinesi in stesso numero. Il suo provino dovrebbe premiare i migliori musicisti, se dovrà poi esserci un concerto da lui diretto. Così decide che le audizioni saranno “alla cieca”, con gli aspiranti che si esibiscono dietro a uno schermo che ne nasconde la fisionomia. Sporck è un genio e i musicisti accorrono. Da Qalqilya, in Cisgiordania, passando per l’hot spot di confine, arrivano la violinista Layla (Sabrina Amali) e il clarinettista Omar (Mehdi Meskar). Layla suona con determinazione da otto anni e il giorno prima dell’audizione suona a casa, in una zona in cui risuonano colpi di arma da fuoco e tumulti in modo incessante, cercando una concentrazione impossibile schiacciandosi una cipolla in faccia. I familiari le dicono di stare attenta, che all’hot spot il violino può essere scambiato per un’arma, ma Layla ribatte sicura: "Lo è", e continua a suonare. Mentre Layla suona con rabbia, a Tel Aviv il violinista Ron (Daniel Donskoy) prova lo stesso brano, nella pace di un pomeriggio assolato e nella certezza che i suoi diciotto anni di studio decreteranno che lui è il migliore. Rimbalzando tra gli accordi dei due violini, nelle strade di Qalqilya invece non ha dubbi su chi sia il migliore il padre del clarinettista Omar (Mehdi Meskar), al punto che quando ha compreso il talento del figlio ha cambiato il nome del gruppo familiare con cui suona ai matrimoni in “I tre fratelli con Omar”. Ma il ragazzo è timido e il giorno dopo non sarebbe riuscito a superare l’hot spot e arrivare all’audizione se non trascinato a forza da Layla prima e motivato da Shira poi. Shira (Eyan Pinkovich) che è di Tel Aviv, suona il corno francese e a differenza del 90% dei musicisti di origine ebraica non guarda Omar in cagnesco. Forse è amore, Sporck premia il talento di tutti ma l’orchestra non va avanti, non c’è integrazione e allora il gruppo si trasferisce in sud Tirolo, a Vipiteno. Qui forse i musicisti, costretti a usare tutti un’uniforme comune, riusciranno a vedersi come “solo musicisti” e non come appartenenti a due fazioni in perenne conflitto.



La musica come linguaggio comune: Se fosse un film americano su una squadra di basket multietnica guidata da un insegnate idealista, sapremmo già come potrebbe finire. Invece ci troviamo in una pellicola di Dror Zahavi che guarda dritto all’origine dell’odio tra i popoli, senza riuscire a dare una soluzione finale confortante, seppur provandoci. Così invece di motti per unire il gruppo verso l’impegno comune, il direttore d’orchestra vola basso, invita giusto a “correre il rischio, almeno per cinque giorni, di pensare che il proprio nemico in fondo non abbia cattive intenzioni”. Prendendo anche qualche cantonata (deliziosamente satirica), come quando invita Ron a considerare come “un nemico è qualcuno di cui non hai ascoltato la storia”, sentendosi ribattere: “Conosco la loro storia, ho la CNN”. Dove il buon Sporck non è granché a parole come motivatore, interviene la musica classica, imponendosi come un linguaggio universale, così come interviene la Storia. La sua paura di essere considerato anche lui come un nazista a Tel Aviv viene subito sfumata, così come la paura di rivedere dei fantasmi del passato in sud Tirolo. Con sua sorpresa, nessuno guarda a lui come un figlio di persecutori di ebrei, ma solo come un musicista. E allo stesso modo la musica riesce subito a rendere l’orchestra un gruppo. Un gruppo che “finalmente unito” si appresta a esplorare una “nuova prospettiva” sulle note del Secondo Movimento della Sinfonia del Nuovo Mondo di Dvorak. Guarda malinconico il futuro con l’Inverno di Vivaldi e trova una possibile e straordinaria “resurrezione”, dopo un tragico evento, grazie al Bolero di Ravel. La musica accorda ogni stato d’animo, non necessita di altre parole e tra un preludio di Bach e il canone in Do maggiore di Pachelbel, trova il suo “Crescendo”, scatena l’urgenza di appianare i conflitti per pensare ad altro, mettere le persone prima delle nazioni di appartenenza. Con tutta la forza e imprudenza della gioventù, espressa al meglio da un gruppo di attori spontanei, genuini quanto per nulla addomesticati, lontani dalle trappole semplici della retorica da film americano sulla squadra di basket. Sarà anche per le strade polverose di Qalqilya, l’opprimente atmosfera dell’hot spot, la follia lussureggiante di un paesaggio alieno come il Sud Tirolo. 
Finale: la musica forse non salverà il mondo, ma è bello sognarlo grazie a questa pellicola piena di lirismo. Per nulla accomodante, carica di passione, con la forza di prendere anche delle vie polemiche e riflettere, più di quanto si faccia realmente nel cinema odierno, sul peso dell’eredità dei popoli. 
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