lunedì 15 giugno 2020

La rivincita: la nostra recensione del nuovo film in esclusiva sul canale RaiPlay dal 4 giugno



"Non possiamo permettercelo", "è meglio rinunciarci adesso, quando ancora non siamo affezionati a lui". Con queste parole dure come pietra un agricoltore, Vincenzo (Michele Cipriani), chiede alla moglie di interrompere la gravidanza. Mancano i soldi. Il campo presso cui lavorava è sequestrato dal comune per diventare parte della nuova autostrada, per cui sono stati messi sul lastrico la maggioranza dei contadini della zona. Il fratello dell'agricoltore, il fioraio Sabino (Michele Venitucci), gli ha chiesto di firmare un assegno scoperto per salvare il suo esercizio commerciale, oramai disertato dai clienti, dai creditori non pagati. Le cose non sono finite bene, c'è una spirarle negativa a segnare i sogni di una vita "normale" dei due fratelli. Non ci sono altre vie, i figli "costano". Il figlio di Sabino è una spesa unica e presto diventa la tomba del suo matrimonio. La moglie Angela (Sara Putignano) odia il bambino con rabbia e minaccia di volere andar via di casa pur di non averci più a che fare. La moglie dell'agricoltore, Maia (Deniz Ozdogan), si darà pace, lui pensa, ma quel "tarlo" di diventare padre inizia a pesargli, al punto che l'uomo dopo qualche tempo di lavoretti sottopagato e sacrifici, riducendosi agli incarichi più ingrati e pericolosi, decide che è giusto riprovare ad avere un bambino. A tutti i costi. Magari arrivando pure a fare brutti affari con uno strozzino, pur di permettersi un medicinale che curi un'impotenza dovuta proprio al suo nuovo lavoro nei campi con fertilizzanti illegali. 


La rivincita è una storia amarissima, pervasa di humor nero, che potrebbe benissimo essere stata scritta da De Filippo per il suo teatro, ancora oggi moderno e in grado di "rinascere a cinema" come dimostra un'altra e sorprendente opera, di recente arrivata nel catalogo di RaiPlay, Il sindaco del rione Sanità di Mario Martone, interpretato da uno straordinario Francesco di Leva. Anche nel caso de La Rivincita la base è una storia per il teatro, ad opera dello stesso Muscato, diventata poi un romanzo di successo scritto da Michele Santeremo e ora opera prima cinematografica di Muscato in collaborazione con lo scrittore. Forse in futuro sarà anche una graphic novel, suggeriscono gli autori. Il film ha i colori caldi e l'accento morbido della persone della Puglia, ma racconta benissimo una delle più diffuse, terribili e forse irrazionali "paure" del nostro Paese, quella di avere dei figli senza possedere una casa di proprietà, un lavoro sicuro con stipendio adeguato, una macchina, una moglie fedele e dei soldi, tanti, in banca. Se "dall'interno" del Paese-Italia la paura di avere figli è quasi uno stigma sociale, questo non accade in paesi che "se la passano peggio" di noi, dove si vedono ancora i figli, in un'ottica che i sociologi e psicologi sociali definiscono come "generazionale", sempre e comunque come risorsa, come necessario slancio naturale verso il futuro e stampella per il passato. Questa paura generalizzata discende dai media, che spesso a fini politici dipingono l'Italia come un paese allo sbando popolato da irresponsabili che vivono al di sopra delle loro capacità. Discende dai troppi esperti di psicologia e di questioni legali, che legano a infiniti manuali d'uso, spesso """introvabili sul mercato"""",  l'essere "buoni genitori". Questa paura discende dalla fiducia verso l'amministrazione pubblica, che soprattutto  oggi, in un momento di pandemia da Covid19, non sembra riuscire ad ascoltare i bisogni del Paese. Come risposta a questa paura, se la natura ci dice, come Italiani, che è corretto anche per l'umano "germogliare", produrre frutti e futuro, è emblematico che già alla prima scena della pellicola Vincenzo utilizzi dei veleni agricoli sotto la protezione di una maschera antigas. Quello di Vincenzo è un lavorare di sterilizzanti che, potenzialmente, rende per sua natura gli operatori sterili, anche se la paranoia di avere figli ha già fatto più danni del veleno, ha già "sterilizzato" quel sogno. Anche il fratello fioraio, che vive di fiori recisi, sta a suo modo "morendo", allontanandosi dalla serenità familiare, da quando nel pieno disinteresse dello Stato al suo esercizio commerciale in crisi è costretto per sopravvivere a mettersi in affari con dei malintenzionati, interpretati dai buffi ma letali Domenico Fortunato e Francesco Devito. Traffici loschi dove anche in questo caso fanno capolino veleni agricoli. Se i fratelli vivono un personale conflitto con una natura (per loro e colpa loro) matrigna (per dirla con Rousseau e Leopardi) che lega inesorabilmente il loro destino, tra campi sottratti dallo Stato e fiori che non compra più nessuno (sempre la stessa metafora sociale su un piano diverso, più generalizzato, se vogliamo) al punto da chiedere aiuto agli strozzini, anche le loro mogli affrontano un uguale conflitto, con la loro natura interiore di (poter) essere madri (matrigne). Il personaggio di Angela è madre, di un bimbo cicciotto e buffo che ama i balli latino americani, ma essendo stata allevata da orfana dalle suore vive un conflitto con la madre mai conosciuta. Questo la spinge a non riconoscersi in quel ruolo, la fa agire con crudeltà pensando che quelli sia il modo giusto di fare, si sente lei stessa un "fiore reciso" e per questo improduttivo, si sente incapace di allevare dei figli. Maia dal canto suo è di origine straniera, un "fiore innestato" in terra italica, pervaso da una solare positività ma condannato a non avere frutti, a non avere figli,  per via del "campo" sfortunato dove è capitata. Se i personaggi patiscono tutti una natura immutabile delle cose, il film parla però di rivincita e non di condanna, acquista valenze positive nella ricerca di un cambiamento. Le nostre due coppie affronteranno la loro "natura" cercando dolorosamente e disperatamente di ribaltarla, per ottenere quanto si percepisce come "una vita normale". Le modalità di agire sono pericolose quanto titaniche, spesso divertenti ma mai al di sopra di un piano di concretezza. 


Come Il sindaco del rione Sanità, i personaggi de La Rivincita sono espressione della quotidianità meno enfatica, che si esprime cinematograficamente nel ricercare un "nuovo cinema neo realista". I dialoghi sono costruiti a partire dei piccoli problemi di tutti i giorni, seppur tale realismo venga addolcito da una struttura teatrale che sa trovarne tra le voci sottili ironie. La messa in scena ha poche concessioni ai voli pindarici, i non-luoghi di scena sono recinti-gabbie in cui si può osservare più che partecipare emotivamente a quanto sperimenta chi vi è confinato. Risulterà interessante per chi si appassionerà alla pellicola rivolgersi in seguito al romanzo, in grado di esplorare un tema ulteriore, l'azzardo, in grado di scombinare ulteriormente le meccaniche relazionali tra le parti. Muscato usa una buona lente di osservazione per farci provare empatia per i suoi personaggi. L'universalità delle situazioni che mette in gioco è in grado di colpire molti spettatori, che non faranno fatica a riconoscersi o riconoscere situazioni a loro note, dietro la storia di Vincenzo e Sabino.
Ottimi gli attori, molto suggestiva la fotografia, di impianto parzialmente teatrale i dialoghi e un impianto sonoro di stampo naturalista, con poche ma mirate concessioni alle musiche. Il ritmo ogni tanto subisce delle inflessioni, soprattutto in una prima parte che all'inizio può apparire sfilacciata, ma nel complesso su arriva a fine visione senza problemi. 
Il film di Muscato ci è piaciuto e forse oggi è la pellicola più appropriata, quella di cui "abbiamo bisogno" per riflettere su quello che davvero conta in ragione a ciò che stiamo vivendo nel post lock-down, tra poche certezze sul futuro e bonus monopattini. È bello che un film del genere, che avrebbe meritato la sala, sia oggi disponibile sulla piattaforma RaiPlay come segnale di un cinema "diverso", lontanissimo dagli sceneggiati televisivi della nostra emittente nazionale, anche perché in grado per la sua natura "streaming" di essere fruito non solo dopo le canoniche 21.50, orario oramai "standard" e forse già viziato dai primi sintomi di sonnolenza per lo spettatore-tipo dei classici canali televisivi. 
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