lunedì 10 dicembre 2018

Colette : la nostra recensione





Siamo in Francia, agli inizi del '900. Parigi è una calamita per la cultura e l'arte, per le strade si parla di progresso, moda, emancipazione, sessualità. La nostra protagonista (Keira Knightly) è francese, sarà nota come alle cronache (e parecchio gossip) come Sidonie-Gabrielle Colette, come scrittrice, attrice, performer, femminista, ambasciatrice del "gender", musa e voce della rivoluzione sessuale e di costume, divenendo l'incarnazione stessa dello spirito della Belle Epoque. Ma facciamo un passo indietro, quando la nostra eroina era giovane e non abitava proprio a Parigi, ma in una non troppo distante provincia francese coloratamente bucolica e un po' noiosa, nella città di Saint-Sauveur-en-Puisaye. E non sembrava all'epoca neanche un'eroina, quanto la classica ragazzina della porta accanto. È la figlia di un militare che abita in una bella casetta con granaio, ha gli occhi castani, è un po' imbranata, caruccia ma assolutamente nella media, unico segno distintivo estetico di rilievo una massa di capelli lunghi/stopposi/orribili/invadenti girati a trecciolona gigante. Pare una pigotta, la pigotta di una damina del secolo precedente. Lui (perché in tutte le storie arriva a un certo punto un lui) è Henry Gauthier-Villars, per gli amici Willy (Dominic West), per i suoi lettori il "grande Willy", un po' dandy, più maturo di lei, affascinante e sciupa femmine, seduttore e seducente per passione, decisamente moderno. È uno scrittore di talento di Parigi, pure con casa editrice propria, appassionato di del bel vivere, del gioco e della seduzione in tutte le sue forme. Willy vede questa pigotta con trecciolone a casa del suo amico commilitone in Saint-Sauveur-vattelappesca. Scopre che in fondo è un tipo interessante, una che ama scrivere dei raccontini anche con forse del talento e in fondo non è bruttina, così le tira un amo piuttosto economico: le regala una palletta triste con la neve finta con la Tour Eiffel da articoli per turisti. Lei pensa: "Beh, perché no?". E così Willy la seduce, vince un paio di evoluzioni nel granaio, la sposa e la porta a Parigi, dove lui "mentre scrive" continua a giocare ai cavalli e a frequentare ragazze più carine, sputtanandosi pure la casa editrice. Lei, non proprio felice, scopre di non amare poi molto un marito che per indole "scherzosa" per lo più diserta il talamo nuziale e ama scorreggiarle da vicino, ma come ogni donnina pigotta del secolo scorso fa spallucce e tira avanti. 


A un certo punto la creatività che ha reso famoso Willy è in un momento non fantastico, zero incassi. Poi l'illuminazione. Willy prende la pigotta  e le dice: "Ma tu non scrivevi quelle cosine buffe che mi hai fatto leggere ed eri pure bravina? E se ti do una mano? Se coltiviamo insieme una tua nuova coscienza artistica? Tu mi parli delle cose buffe che mi raccontavi che facevi quando eri piccola, cambiamo i nomi e creiamo un libro che anticipa di 100 anni la moda dei social? Che ne pensi?" E lei, un po' sorpresa e un po' motivata, sicuramente incosciente, risponde tranquilla: "Beh, è perché no?". Lui vede che la trappola è tesa e come nei più rinomati corsi di scrittura creativa la butta in una stanza con un block notes e una penna, la chiude a chiave e le dice: "Ora per quattro ore scrivi roba da best seller sulle tue buffe avventure adolescenziali o di qui non esci più". E lei lo fa. Il primo tentativo non soddisfa l'autore. Willy, che è preveggente sulla moda dei social del secolo successivo, sa che ci manca il dato della maialaggine. Il secondo, complici i debitori alla porte di casa, vede Willy collaborare di più a creare il personaggio principale "davvero social". Quindi  di fatto prende la moglie e le istilla dentro più pepe, modernità e umorismo, spregiudicatezza e stile di vita senza freni. E via quel cacchio di trecciolone brutto che pare una pigotta: capello corto a caschetto. Nasce il personaggio letterario di Claudine ed è subito best seller, Claudine a l'ecole, che va così bene che da avvio ad una collana tutta sua e con tanto merchandising che pare Guerre Stellari. La moglie di Willy trova un nome d'arte, "Colette". Il personaggio piace, le piccole donne si immedesimano in lei, nasce un modo di tagliare i capelli alla Claudine, uno shampoo, la linea profumi, i vestiti, i pupazzi. I libri, un po' da retrogrado marito di Mary Shelley, li firma Willy. Perché anche se le storie sono vita vissuta della moglie in fondo è lui l'artista, è lui il proto-influencer, il marketing gira così, le tasse, il pubblico. La moglie abbozza: "Beh, è perché no?" e la vita continua. Ma le cose iniziano a girare in modo imprevedibile. Colette e Claudine iniziano a fondersi tra letteratura e riduzioni teatrali, realtà e finzione. Willy sfoggia in pubblico una moglie che è "troppo ricalcata" sul "suo" personaggio best sellers. La vuole più spregiudicata per appassionare il gossip, in competizione con l'attrice che interpreta Colette a teatro (Aiysha Hart) e lei: "Beh, è perché no?". La vuole oggetto di una storia lesbica (con una bella e disinibita donna altolocata interpretata da  Eleanor Tomlinson) e lei: "Beh, è perché no?". A un certo punto vuole trasformare la cosa in un rapporto a tre e lei:  "Beh, è perché no?" (anche se sulle prime si incazza). La vuole libera di esprimere un pensiero profondamente femminista e lei: "Beh, è perché no?". Willy crede di stare facendo una manipolazione, ma in realtà sta liberando tutti i freni inibitori di Colette, che diviene sempre più consapevole di essere un'artista, di avere molto da dire, di essere lei il vero talento, di amare le donne, in special modo la nobildonna Missy (Denise Gough). Sarà ora che i diritti di sfruttamento delle "Claudine" tornino alla legittima proprietaria?


Tra corsetti e cappellini, strade chiassose e salotti altolocati, Wash Westmoreland, regista del favoloso Still Alice con Julianne Moore, dirige Keira Knightley in una delle prove più complesse e riuscite della sua carriera. Il compito era arduo, il risultato finale nell'economia dell'opera è di rilievo. La Knightley si mette a nudo e rinasce in una delle personalità più complesse e affascinanti della letteratura e arte francese, abbracciando a 360 gradi il suo estro e multiforme ingegno. Una prova non dissimile per intensità dalla trasformazione in Freddie Mercury di Rami Malek nell'ultimo Bohemian Rhapsody di Singer. Anche Dominic West dimostra una complessità interpretativa per lui inedita e insieme la coppia funziona, come funziona anche il "triangolo", con la bellissima e sensuale Tomlinson, come funziona anche il "quadrato" con straordinaria, algida e aristocratica Gough. È un film sulla conquista del ruolo sociale della donna, un film sulla ridefinizione della lotta tra i sessi, un film sulla strabordante forza dell'arte. È un film che funziona anche al di là dell'affresco storico, che spesso si identifica in una sorta di documentario per far conoscere o riscoprire un talento come quello di Colette. Il film di Westmoreland tuttavia è uno "starting point" alla lettura e "cultura" delle opere di Colette, ha un taglio agile che sfoltisce  un certo "documentarismo" della narrazione, ma rinuncia a essere qualcosa di più "vicino" alle opere di Colette. Allora si può forse sognare come questa materia vulcanica, la vita di Colette, che ha il profumo delle migliori chine di Crepax e di Manara, poteva essere maneggiata da un Cronenberg, un Verhoeven, un Almodovar, un Jordan, un Fellini o, perché no, un Brass. Cosa avrebbero fatto le sorelle Wachowski? E Ryan Murphy? Come avrebbe lavorato sugli sguardi e pose ipnotiche della performer Colette (ho in mente la parte del teatro di cui si fa un veloce accenno nella pellicola), ancora vive in rari filmati d'epoca, una mano come quella di Lynch? Vorremmo "averne di più" del mondo elegante e per ora solo qui "sbirciato" di Colette, perché a livello epidemico lo riconosciamo, il suo fascino ci ha già attraversato per anni, grazie alle mille influenze che ha generato nel cinema e delle arti. Valentina di Crepax viene da lì, le pose di Betty Page vengono da lì, molta della passione per il trasgressivo e al contempo per la ridefinizione del gender, argomento modernissimo, viene da lì, pure la pulsione e possibilità di fare della propria vita una "forma d'arte", viene da lì. Ne vogliamo ancora. Ma questo "primo assaggio", con una Knightley mai in passato così tanto convincente e sensuale, ha saputo già conquistarci e farci sognare. 
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