Vita e opera di
Freddie Mercury e dei Queen, attraverso un film che interpreta alcuni degli
eventi principali in chiave di musical, attingendo direttamente dallo
straordinario portfolio musicale della band. Non è una biografia fedele ma una
rielaborazione, peraltro approvata dai membri della band, che ci spinge tutti
ad andare al cinema per sentire con l'impianto sonoro più grande che possiamo
immaginare le canzoni dei Queen, mentre un attore straordinario, Rami Malek, si
impossessa della fisicità e intensità dell'indimenticato ed indimenticabile
cantante Freddie Mercury. C'è una dolcissima Lucy Boytnon che da corpo e cuore
alla sua interpretazione di Mary Austin, donna amata da Freddie per tutta la
vita (in tutte le forme che l'amore può conoscere), c'è un carismatico Gwilym
Lee che dà una versione cazzuta e convincente dell'astrofisico Brian May. Il
resto è nella norma, ma tutto confezionato in modalità extra-lusso, con i
colori e ritmo delle produzioni di Brian Singer (regista che qui per divergenze
creative è stato sostituito quasi alla fine dal geniale Dexter Fletcher di
Eddie the Eagle, ma di cui il tocco non si è perso). Gli ultimi minuti, gli
ultimi 30 minuti, sono pura adrenalina e potenza fisica. Rami Malek è lì che dà tutto se stesso e quasi si trasforma nel Rocky di Stallone o nel Mohamed Ali di
Will Smith. Recita con il corpo e con le sue protesi dentali, sprigiona sudore
e impegno, non lesina in passione e coinvolgimento. È mimesi, passione e
resurrezione: la cifra irraggiungibile a cui deve puntare un attore che è
chiamato a interpretare un'icona. Una sfida impossibile dalla quale Malek esce
a testa altissima, coperto di applausi.
Appena finita la
visione ho avuto la voglia di buttarmi di nuovo in una sala. Appena sono
arrivato a casa ho avuto la voglia di tirare fuori il dvd di un famosissimo
concerto a cui hanno preso parte i Queen e rivederlo di nuovo, tre volte.
Forse ci troviamo
davanti ad un nuovo genere cinematografico. L'avevo già pensato ai tempi di The
Doors di Oliver Stone, lo ripenserò all'uscita di Rocketman di Fletcher (che
non a caso ha "completato" questo Bohemian Rhapsody), gli incassi
stratosferici al botteghino di questo Bohemian Rhapspdy mi danno fiducia
assoluta della mia convinzione. La Musica che diventa "Opera Rock
Filmica". Un modo diverso di celebrare la grandezza di un gruppo musicale,
che si affianca ai revival, alle tribute band e ovviamente a tutta la
produzione originale ben conservata, in triplice copia e su tutti i media
possibili. Forse è un'utopia.
Forse è un'utopia
perché, a giudicare dalla rete, è difficile dialogare con i fan che non
capiscono la ricchezza di questa nuova "forma di
celebrazione".
Rami Malek è
straordinario, ma non sarà mai Freddie. Basta ascoltare gli album e perché non
ascoltare direttamente gli album! La storia dei Queen è diversa da questo
"spettacolo ispirato agli eventi" (per altro molto diversi nella
realtà) di un paio di ore scarse e ci sono tonnellate di documentari
meravigliosi e libri ricchissimi di dettagli su ogni aspetto dei Queen!
Ogni tanto può
apparire favolistico, ogni tanto può sembrare semplificato, c'è di sicuro
l'intenzione di portare in scena la carica positiva e la forza di volontà di un
uomo complesso e unico, non potendo raggiungerlo in quanto irraggiungibile.
Questo che arriva in
sala però più che la storia dei Queen vuole essere appunto un trattamento di
"Bohemian Rhapsody" , una visione libera della vita della band in un
significato assimilabile al testo della canzone. In scena la vita del gruppo rock
dei Queen che "si fa" Bohemian Rhapsody. Una canzone che è un
autentico overture di stili e linguaggi musicali, diviene brano-guida e
summa espressiva delle molte anime e delle uniche abilità del gruppo,
accorpando così a sua volta, nella narrazione "musicata", molte altre
delle più importanti canzoni del gruppo (a loro volta geometricamente centrate
della personalità dei diversi membri della band). La vita dei Queen si aggancia poi al Faust di Goethe come parabola della ricerca dell'immortalità,
che qui si fa a tutti gli effetti autentica, abito dell'arte del loro frontman
Mercury e sua eredità. Un Freddie che rivive, giovane, su schermo, grazie
a al corpo di Malek e all'architettura energetica messa in scena da Singer per
descriverne la grandiosa e turbinosa esistenza, nonché gli accennati (ma
potenti) conflitti interiori. Un Freddie che rivive tutti i giorni mentre
intoniamo, magari sotto la doccia, le sue canzoni. Un omaggio sentito, che mi è
parso "di cuore" e che pertanto, per quanto patinato, imperfetto,
troppo sintetico e celebrativo, ha reso possibile, a me, il piccolo miracolo di
assistere a un'intera sala che felice se da un lato teneva il tempo della
musica e cantava i ritornelli di ogni canzone (perché sono sempre i Queen),
dall'altro si commuoveva per le buone interpretazioni degli interpreti e per la
ricercatezza delle ricostruzioni storiche. Persone che magari come me a fine
visione hanno tirato fuori i dischi e li hanno sentiti per una settimana o due.
Potenza dei Queen. Potenza di una buona messa in scena.
E questo, lo ripeto,
visto il successo è solo un inizio. Malek e Singer sono solo i primi che
affrontano Mercury e i Queen. Ne seguiranno altri, che con altre sfaccettature
e punti di vista non faranno che arricchire il mito di una delle band più
importanti della storia recente.
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