domenica 16 dicembre 2018

Bohemian Rhapsody: la nostra recensione



Vita e opera di Freddie Mercury e dei Queen, attraverso un film che interpreta alcuni degli eventi principali in chiave di musical, attingendo direttamente dallo straordinario portfolio musicale della band. Non è una biografia fedele ma una rielaborazione, peraltro approvata dai membri della band, che ci spinge tutti ad andare al cinema per sentire con l'impianto sonoro più grande che possiamo immaginare le canzoni dei Queen, mentre un attore straordinario, Rami Malek, si impossessa della fisicità e intensità dell'indimenticato ed indimenticabile cantante Freddie Mercury. C'è una dolcissima Lucy Boytnon che da corpo e cuore alla sua interpretazione di Mary Austin, donna amata da Freddie per tutta la vita (in tutte le forme che l'amore può conoscere), c'è un carismatico Gwilym Lee che dà una versione cazzuta e convincente dell'astrofisico Brian May. Il resto è nella norma, ma tutto confezionato in modalità extra-lusso, con i colori e ritmo delle produzioni di Brian Singer (regista che qui per divergenze creative è stato sostituito quasi alla fine dal geniale Dexter Fletcher di Eddie the Eagle, ma di cui il tocco non si è perso). Gli ultimi minuti, gli ultimi 30 minuti, sono pura adrenalina e potenza fisica. Rami Malek è lì che dà tutto se stesso e quasi si trasforma nel Rocky di Stallone o nel Mohamed Ali di Will Smith. Recita con il corpo e con le sue protesi dentali, sprigiona sudore e impegno, non lesina in passione e coinvolgimento. È mimesi, passione e resurrezione: la cifra irraggiungibile a cui deve puntare un attore che è chiamato a interpretare un'icona. Una sfida impossibile dalla quale Malek esce a testa altissima, coperto di applausi. 
Appena finita la visione ho avuto la voglia di buttarmi di nuovo in una sala. Appena sono arrivato a casa ho avuto la voglia di tirare fuori il dvd di un famosissimo concerto a cui hanno preso parte i Queen e rivederlo di nuovo, tre volte. 
Forse ci troviamo davanti ad un nuovo genere cinematografico. L'avevo già pensato ai tempi di The Doors di Oliver Stone, lo ripenserò all'uscita di Rocketman di Fletcher (che non a caso ha "completato" questo Bohemian Rhapsody), gli incassi stratosferici al botteghino di questo Bohemian Rhapspdy mi danno fiducia assoluta della mia convinzione. La Musica che diventa "Opera Rock Filmica". Un modo diverso di celebrare la grandezza di un gruppo musicale, che si affianca ai revival, alle tribute band e ovviamente a tutta la produzione originale ben conservata, in triplice copia e su tutti i media possibili. Forse è un'utopia. 
Forse è un'utopia perché, a giudicare dalla rete, è difficile dialogare con i fan che non capiscono la ricchezza di questa nuova "forma di celebrazione".  


Rami Malek è straordinario, ma non sarà mai Freddie. Basta ascoltare gli album e perché non ascoltare direttamente gli album! La storia dei Queen è diversa da questo "spettacolo ispirato agli eventi" (per altro molto diversi nella realtà) di un paio di ore scarse e ci sono tonnellate di documentari meravigliosi e libri ricchissimi di dettagli su ogni aspetto dei Queen! 
Ogni tanto può apparire favolistico, ogni tanto può sembrare semplificato, c'è di sicuro l'intenzione di portare in scena la carica positiva e la forza di volontà di un uomo complesso e unico, non potendo raggiungerlo in quanto irraggiungibile. 
Questo che arriva in sala però più che la storia dei Queen vuole essere appunto un trattamento di "Bohemian Rhapsody" , una visione libera della vita della band in un significato assimilabile al testo della canzone. In scena la vita del gruppo rock dei Queen che "si fa" Bohemian Rhapsody. Una canzone che è un autentico overture di stili e linguaggi musicali, diviene brano-guida e summa espressiva delle molte anime e delle uniche abilità del gruppo, accorpando così a sua volta, nella narrazione "musicata", molte altre delle più importanti canzoni del gruppo (a loro volta geometricamente centrate della personalità  dei diversi membri della band). La vita dei Queen si aggancia poi al Faust di Goethe come parabola della ricerca dell'immortalità, che qui si fa a tutti gli effetti autentica, abito dell'arte del loro frontman Mercury e sua eredità. Un Freddie che rivive, giovane, su schermo, grazie a al corpo di Malek e all'architettura energetica messa in scena da Singer per descriverne la grandiosa e turbinosa esistenza, nonché gli accennati (ma potenti) conflitti interiori. Un Freddie che rivive tutti i giorni mentre intoniamo, magari sotto la doccia, le sue canzoni. Un omaggio sentito, che mi è parso "di cuore" e che pertanto, per quanto patinato, imperfetto, troppo sintetico e celebrativo, ha reso possibile, a me, il piccolo miracolo di assistere a un'intera sala che felice se da un lato teneva il tempo della musica e cantava i ritornelli di ogni canzone (perché sono sempre i Queen), dall'altro si commuoveva per le buone interpretazioni degli interpreti e per la ricercatezza delle ricostruzioni storiche. Persone che magari come me a fine visione hanno tirato fuori i dischi e li hanno sentiti per una settimana o due. Potenza dei Queen. Potenza di una buona messa in scena. 
E questo, lo ripeto, visto il successo è solo un inizio. Malek e Singer sono solo i primi che affrontano Mercury e i Queen. Ne seguiranno altri, che con altre sfaccettature e punti di vista non faranno che arricchire il mito di una delle band più importanti della storia recente.  
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