mercoledì 24 ottobre 2018

The wife: la nostra recensione



C'è un futuro premio Nobel per la letteratura in famiglia! Dopo una vita di sacrifici, lacrime e sangue, arriva il riconoscimento massimo alla carriera, made in Svezia, nella forma di una telefonata ufficiale nel cuore della notte. Si risponde titubanti, si ringrazia in modo composto, si appende il ricevitore e si inizia a saltare sul letto come dei bambini di cinque anni carichi di gioia. È tempo di prenotare il volo, dirlo agli amici più intimi, soggiornare in un albergo mille stelle, pranzare con il re della Svezia e prepararsi alla cerimonia ufficiale, con i suoi tre inchini di cerimoniale obbligatori rispettivamente alla corona, a Nobel e al pubblico, magari condendo il ritiro dell'onorificenza con un sentito "grazie" e qualche parola di rito rivolta di cuore alla persona che più di tutte ha aiutato, confortato e spronato, durante la gestazione del nuovo capolavoro su carta del secolo. Così moglie e marito (Glenn Close e Jonathan Pryce, entrambi immensi), accompagnati da un figlio (Max Irons) pure lui scrittore, un po' tormentato, un po' fragile e un giorno forse pure lui autore affermato (se ci darà sotto), si incamminano in questo tour de force, seguiti a distanza dal classico corteo di valletti, nani e ballerine, ma soprattutto da un irritante e insistente scribacchino (Christian Slater) che vuole a tutti i costi realizzare la biografia del futuro premiato di famiglia. E lo scribacchino è certo di trovare gli scheletri che tutti nascondono negli armadi, a partire dal nome di chi è il vero genio, il Nobel, che si nasconde in famiglia. Riuscirà il vincitore a ricevere le meritate glorie e onori da tradizione svedese? Ma soprattutto chi è il vero genio della famiglia? L'uomo, estroverso e farfallone gigione adorato da tutti o piuttosto la sua taciturna, defilata e forse un po' rancorosa moglie?
Bjorn Runge, che noi tamarri ricordiamo per un interessante e crepuscolare film sui vampiri, dirige con ritmo svedese e paesaggio svedese un film basato sulla massima ricorrenza annuale svedese (dopo ovviamente la notte di Santa Lucia, anche in questa pellicola ricordata e celebrata secondo canoni svedesi). E se i paesaggi freddi e ordinati e svedesi, popolati da persone distinte e cordiali nonché svedesi, ci fanno subito tornare alla mente gli incubi "raggelanti" dei thriller di Stieg Larsson, dove dietro il tuo vicino di casa può nascondersi un sadico nazi-svedese, sappiamo già da subito che una pellicola svedese doc d'esportazione mondiale, sarà drammatica, intensa e probabilmente finirà in modo spiazzante (perché gli svedesi amano spiazzarci). Quindi mettetevi un cappotto pesante e andate in sala, sicuri che però ne varrà la pena, perché il dramma di Runge è un film straordinario, geometrico, rigoroso e dalla forte impalcatura teatrale, dove la diade Close-Pryce reagisce e combatte come una caramella Mentos all'interno di una bottiglia di Coca-Cola. Sono due leoni, la loro è una gara di bravura, la miscela precisa dei loro dialoghi, che si dipana come musica jazz, è semplicemente esplosiva. Se tutto lo svedese clima freddo sospende ogni gesto e cristallizza, gelandoli, la maggior parte dei personaggi in scena, Close e Pryce sono un unico vulcano in ferire che fiammeggia con aristocratico distacco dai loro occhi profondi e indagatori. In scena è la coppia, come fulcro delle passioni, cura per i figli, tomba dei sogni in luogo dei mille compromessi della vita comune. Tutte prove complesse e crudeli, che si fanno diaboliche quando nella coppia non c'è uno che si tira indietro o uno che non ringrazia il compagno per essergli stato accanto. Ed è in questo che il film può diventare davvero per lo spettatore uno strumento di aiuto per vivere meglio, un crash test di come una relazione possa resistere ai danni, oltre che il banco di prova della bravura di due delle personalità più eclettiche della settima arte. 
I tempi e dinamiche sono un po' lenti, perché siamo appunto in Svezia. Ma se superate il primo impatto, il film saprà conquistarvi. 
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