Un
regista un tempo felice e idealista, ormai depresso e relegato agli spot
pubblicitari (Adam Driver), per una strana combinazione del destino si
trova a girare in Spagna, tra le campagne in cui da ragazzo aveva
realizzato, come lavoro per l' università, un suo personale adattamento del
Don Chisciotte. Un film piccolo ma carico di entusiasmo, girato con pochi
mezzi, in cui aveva coinvolto nelle riprese anche gran parte degli abitanti di
un piccolo paesino, giusto a un tiro di schioppo dal suo attuale set per il
nuovo spot. Presa in prestito una moto per fuggire da una serie di sfortunati
eventi/equivoci/mariti gelosi, il regista si ritrova tra le vie di quello
stesso paesino, scoprendo che la sua giovanile avventura cinematografica in
realtà ha avuto effetti tuttora devastanti per i locali. Ragazze un tempo per
bene e ora diventate prostitute, gente morta di stenti e il caso più grave, il
ciabattino del borgo (Jonathan Pryce), che da quando ha indossato i panni di
Don Chisciotte non è più riuscito a uscire dal personaggio e ri-vive la sua
follia ogni giorno, sul palco improvvisato di una specie di freak show
dove viene confinato da sinistre aguzzine a colpi di scosse elettriche.
Una attrazione tra il tragico e l'orrido degna del mostro di Frankestein. Un'ulteriore serie di improbabili e mirabolanti eventi farà in modo che regista e
ciabattino inizino gioco-forza uno strampalato viaggio on the road, tra mito e
realtà, tra gli scenari più curiosi e quasi post-apocalittici della campagna
spagnola.
Lo abbiamo
atteso per tanto tempo, ha avuto una gestazione così contorta e problematica
che tempo fa hanno fatto sulla stessa un documentario, ma finalmente il Don
Chisciotte di Terry Gilliam è incredibilmente in sala, ed è bellissimo. Merito
di una coppia di attori principali straordinaria, merito di un messa in scena
fresca e surreale come i lavori più dissacranti e cinici dei Monty Python,
merito della cifra stilistica sempre ricercata, unica e riconoscibile di
Gilliam. Una cifra stilistica senza compromessi, carica di barocchismi e una
grammatica della messa in scena spesso teatrale, molto spesso onirica se non
psichedelica, il grado di sorprendere gli spettatori, a volte dividerli, ma
mai a lasciarli indifferenti. Il buon Gilliam qui sembra però mettersi al
riparo dagli eccessi visionari e scenografici del Barone di Munchausen, così
come sembra riuscire a gestire la sua arte con meno anarchia rispetto a un
Parnassus. Ritrovando in ottima forma Jonathan Pryce, l'interprete
straordinario del suo indimenticato Brazil, Gilliam sceglie di dirigerlo come
il Robin Williams de La leggenda del re pescatore, in un elogio della
"follia titanica" che trascina, converte e impreziosisce la
performance di un Adam Driver, sempre più interessante e poliedrico. Una follia
che rispetto a La leggenda del re pescatore ha però la forza di travalicare gli
argini e invade tutti i personaggi, nel magnifico e amaro "rito
collettivo" che viene inscenato nell'ultima parte. È complicato giudicare
questo Don Chisciotte senza subire il travolgente fascino e potenza di un Pryce
da applauso; si potrebbe schermarsi dietro al fatto che in fondo Gilliam
"gioca in casa" con i temi a lui più congeniali e che parte del
pubblico a lui non troppo avvezzo potrebbe trovare stordimento nella sua peculiare
messa in scena, a volte troppo dilatata e a volte troppo surreale, ma sono in
fondo argomentazioni deboli, pronte a convertirsi in punti di forza per chi si
appassionerà alla pellicola. Una pellicola che sa essere profondamente
autobiografica e centrata sul suo autore (che vi ricordano i
"piedoni" che fanno da elemento scenografico di sfondo nelle prime
scene? Che vi ricorda quel cavaliere nero coperto di lustrini? Il film è pieno
di rimandi diretti e indiretti a Gilliam e anche al suo periodo nei Monty
Python), ma è al contempo una delle traduzioni più illuminate e moderne del
capolavoro di Cervantes, un'opera imprescindibile per chiunque e che qui
diventa un corollario gradevolissimo alla visione.
Talk0
Non vedo l'ora di vederlo.
RispondiElimina