mercoledì 8 agosto 2018

Hereditary - le radici del male - la nostra recensione



È nato un nuovo grande autore del cinema horror? Dopo questa opera prima Ari Aster, regista e sceneggiatore, sembra avere già tutte le carte in regola per colpire l'immaginario degli appassionati più esigenti e sorprendere anche gli avventori occasionali del brivido. Una trama costruita sapientemente su più livelli interpretativi, una tecnica di ripresa, solida e rigorosa, in grado di trasmettere tensione quanto empatia per i personaggi, una direzione degli attori impeccabile e in grado di valorizzare al meglio le capacità di ognuno. 
Non ho contato le battute, ma sto sperticando fin dall'inizio lodi infinite per questo Hereditary (il titolo invero è "difficoltoso" e poco attraente, Aster su questo aspetto deve migliorare, ma su poco altro), senza spiccicare una sola parola sul contesto e intreccio. Voglio che questo film sia per voi una sorpresa assoluta e per questo vi invito a non guardare alcun trailer o anticipazione. È un Horror psicologico che esplora i limiti della "sanità mentale", al centro della vicenda c'è la anomala disgregazione progressiva di una famiglia sempre più afflitta da problemi di comunicazione, si parla del "supporto morale" che possono offrire (forse solo) gli estranei. C'è un grande rompicapo da risolvere, con indizi sparsi ovunque ma sempre in qualche modo nascosti, c'è la frustrazione, tipica degli horror migliori, di assistere a eventi terribili e inevitabili che lasciano personaggi e spettatori del tutto impotenti, arrabbiati e soli. Siamo quindi lontani dagli slasher, anche se l'elemento "cruento" è ben rappresentato, siamo lontani dal black humour di molte produzioni recenti, Hereditary non è un film "accogliente". Piuttosto idealmente viaggiammo, per sceneggiatura e interpretazione, tra le migliori opere Horror di Polanski, De Palma e Hooper, cadiamo con le scenografie in incubi geometrici / psicologici degni del migliore Argento. Ritroviamo quindi molto della metrica della tensione, nonché la raffinatezza della messa in scena, delle pellicole tra la fine dei '60 e gli inizi degli '80. 


Tra gli attori è davvero difficile scegliere il più bravo. Da una splendida, agguerrita ma devastata, Tony Colette alla piccola, taciturna ma dolcissima Milly Shapiro. Da Alex Wolff, che "corazza" (per quanto riesce) con l'indifferenza la dissoluzione emotiva del suo staio d'animo, a Gabriel Byrne, che nonostante tutto e nonostante tutti cerca con affetto di tenere uniti i cocci della famiglia. Il personaggio della Colette è una donna che per lavoro (è un'artista) realizza case e personaggi in miniatura, che spesso usa per dare corpo anche ai suoi sogni e ricordi, attraverso un gioco di specchi tra realtà e finzione che mette vertigine. Ha un passato triste dal quale cerca di difendere la sua famiglia, ha molti rimpianti con cui non riesce a convivere e attraverso le sue opere cerca di "oggettivizzare", dando un ordine, la sua vita. Il personaggio di Milly Shapiro  è una bambina afflitta da un handicap che la fa apparire anaffettiva, ma i suoi gesti rivelano in lei molta tenerezza. Come la madre "plasma" i suoi ricordi con disegni e pupazzetti da lei creati, che nella realizzazione possono apparire anche inquietanti. Da quando è morta la nonna, che ha voluto accudirla personalmente, ha paura che nessuno si occuperà più di lei. Alex Wolff interpreta un adolescente che vorrebbe che la tragica realtà familiare che sta vivendo fosse solo un sogno, si sente come nel corpo di un altro e vive esprimendo sentimenti che non gli appartengono, arrotolandosi emotivamente su se stesso nel più classico "dilemma del porcospino". Il personaggio di Byrne è un "monolite benigno", un uomo che vuole venire incontro alla sua famiglia per consolarla, ma che non riesce davvero ad ascoltare e comprendere i problemi, rimane quindi "bloccato", diventando di fatto il personaggio con cui lo spettatore può più sentirsi in sintonia, trovando lo stesso spaesamento davanti alle vicende della pellicola. Su tutti i personaggi aleggia il personaggio della nonna "assente ma presente in ogni momento", dolce quanto sinistro, misterioso. Con questi personaggi Hereditary colpisce duro lo spettatore e colpisce al cuore, facendo riflettere su cosa sia davvero la "vera ricchezza", l'eredità, di cui una famiglia può disporre. 
Se amate l'horror, l'opera prima di Aster è una pellicola che DOVETE vedere, magari scansando le comitive di ragazzini che non sono più abitate a questo tipo di cinema e, non sapendo emotivamente "come rispondere", inizieranno in sala a fare "ridolini  a caso" (dall'inizio alla fine nel mio caso) in attesa che il film gli regali un "reale momento di humour nero" che SPOILER DA DUE SOLDI non arriverà mai. L'horror non è sempre le montagne russe e questo è un film che ti macina sotto la pelle. Se amate i jump scare preparatevi ad averne in quantità ad ogni modo (e non saranno di quelli "forzati", fidatevi). Cercate quindi sale silenziose ma fatevi un piacere e guardate Hereditary. È una bella sorpresa. 
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