- Love story con poco love: Lui (Parker Sawyers) è tutto
sgarrupato e "baraccato". Guida una macchinaccia giapponese ultra carcassona con il fondo bucato. Fuma in continuazione, pontificando su
ogni argomento e ammette soavemente (in modo trendy ) di aver fatto uso di
marijuana, racconta di essere vissuto in Africa con i coccodrilli e voler forse
diventare uno scrittore. Lei (Tika Sumpter) è precisina e perfettina.
E' perennemente concentrata sul suo lavoro e con le unghie sguainate per
difendere quello che è diventata, decisamente acida per via della corazza
emotiva che si è imposta. Lui si trova a fare la pratica estiva ad Harvard
presso lo studio legale in cui lei lavora. Lei e il suo supervisore. Entrambi
sono giovani e motivati a cambiare il mondo e un giorno saranno il 44esimo
presidente degli Stati Uniti e la sua First Lady, Barack Obama e gentile
Signora. E questa è la storia di come si sono conosciuti, scontrati e infine
amati. Certo che se fossero realmente come ce li racconta questo indigesto polpettone...
Mamma mia!!! Perché lui sembra davvero la persona più noiosa e retorica del
mondo, peraltro seguito in ogni dove da un insostenibile "presepe
vivente" rigorosamente all-black che lo venera come fosse un novello Gesù
Cristo. Perché lei, scusate il francesismo, sembra un'isterica ed egocentrica
arrivista con la convinzione di rappresentare la perfezione in terra. Insieme
paiono una coppia di alieni anaffettivi che invece di fare quello che due
ragazzi farebbero a un appuntamento, cioè pomiciare, si dilungano e dilungano
e dilungano nello scambiarsi improponibili e non richiesti frammenti di
biografie autorizzate sulla loro idea di Stato Sociale, sull'importanza delle
radici etniche, sul complicato ruolo della donna nella società moderna, sul rispetto
della autodeterminazione come leva per arrivare al noto "Yes we
Can!". E quando non parlano loro, lo fa il presepe vivente con esiti così
reverenziali che nemmeno nel Confucio di Chow Yuan Fatt girato nella Cina più
integralista di inizio millennio. Ve lo ricordate? Lì il presepe diceva:
"Maestro Confucio, quella volta voi diceste quella cosa xy e ci cambiaste
la vita, la ringraziamo ancora". E Confucio rispondeva: "Sì, avete
ragione, dissi proprio così!!". E l'effetto finale non può che essere
involontariamente comico! Il film sui primi sbaciucchi degli
"Obamas" fa gridare vendetta per tutto l'ammasso di parole che ci
vomita addosso. Si diventa subito intolleranti, nonostante il biglietti pagato,
e non aiuta la visione lo stereopaticissimo tour de force sui principali topoi
della cultura afroamericana che ci viene crudelmente inflitto negli
interminabili 84 minuti della pellicola. E via, come se non ci fosse un domani:
con le mostre d'arte africana che ripescano le atmosfere dei bar jazz degli
anni venti, con gli insopportabili tamburelli africani nel parco, con il muro
che racconta la vita e la morte delle persone più povere del ghetto, con
l'immancabile riunione in chiesa per discutere della comunità, con il film di
Spike Lee. Questa pellicola vuole essere così intelligente e socialmente
importante che oltre a risultare una palla inenarrabile e micidiale fallisce
totalmente sul suo target minimo: mostrare il cuore, i sentimenti di questi due
ragazzi. Non vi aspettavamo Love Story, non volevamo evoluzioni di lingua, ci
bastava avvertire un po' di complicità e affetto anche se simulato,
squisitamente cinematografico. O almeno non vendetemelo con "Ti amo
presidente". E non basta la scena del gelato (quella sì una scena
ben fatta e che racconta bene i personaggi... sarà forse perché non parlano per
otto secondi?) per convincerci del fatto che questa operazione sia più simile a
un comizio fuori tempo massimo piuttosto che un film sentimentale. Perché anche
registicamente è statico come una puntata di Porta a Porta, con l'aggravante
che qui mancano del tutto quel tipo di domande piccanti che possano almeno,
trivialmente, farci godere un po' di gossip.
- Ma forse sbaglio io: Però potrei sbagliarmi su tutto quanto detto
finora. Lo ammetto candidamente, non riesco a calarmi fino in fondo negli
importanti temi sociali che vengono evocati, probabilmente per un mio gap
culturale. Mi sento come quei due (due di numero!!!) bianchi che si vedono
in tutta la pellicola, nella scena che segue la conclusione della pellicola di
Spike Lee. Due che "non hanno capito il film" (quello di Lee) e si
chiedono perché in fondo gli afroamericani siano tanto incazzati. Forse perché
non hanno vissuto direttamente quello che hanno vissuto loro. E Forse era
importante per gli americani sentire gli infiniti panegirici di cui è pregna la
pellicola, anche se certi passaggi noi li avvertiamo come scontati (perché
certi diritti non li abbiamo mai conquistati). C'è quindi un significato
maggiore, più didattico e meno di svago, dietro ad alcune scelte. Un valore che
bisogna saper cogliere per apprezzarlo, con uno studio mirato che va oltre al
materiale fornitoci in questa pellicola.
Ma visto che io infine "vengo dalle caverne" e mi ostino a cercare in
quello "che è un film", e non un documentario, certe regole
narrative, non posso che trovarmi parecchio in disaccordo su questa messa
in scena. Non è un film sviluppato bene. Il Barack cinematografico assomiglia
all'originale, ma vive il contesto narrativo come una infinita e pallosissima
intervista a Uno Mattina. Comprendo il "timor reverentialis", ma
anche Obama sorride, piange e guarda la tv (è un grande fan del Trono di Spade)
come tutti gli altri esseri umani. La Michelle cinematografica è una creatura
così piena di se stessa da scatenare risate isteriche quanto un odio cieco nei
suoi confronti. Prendiamo un dialogo a caso. Michelle: "Ho imparato a
suonare pianoforte a quattro anni, ma mia madre era più brava: ha imparato a 3
anni". Ed è detto con una serietà raggelante. E' così concentrata nel
rendere Michelle come una persona forte che l'attrice, nel momento in cui
l'armatura emotiva dovrebbe incrinarsi, mostrandocela per un secondo come un
essere umano, si dimentica di sottolineare il passaggio. In una scena i
due si paragonano a Dumbo e alla regina cattiva delle favole. E la loro
comicità emotiva nasce e finisce in quella battuta. Un po' pochino. Il
"presepe vivente" quando cerca per un istante di simulare una reazione
divergente rispetto agli Obamas, anche solo per questioni narrative, è
imbarazzante e offensivo della propria intelligenza. Veniamo alla fotografia e
scenografia, alla musica. C'è molto verde e molto sole in scena, ci sono dei
brani pop e gospel che cercano di intonare la pellicola quasi sul sentimentale,
lo scarcassone giallo su cui si ostina a muovere Barack è simpatico e dona
meccaniche on the road. Lo sforzo di fare qualcosa di leggero anche se
sofisticato si avverte. Ma è tutto troppo poco, perché ti aspetti di provare
dei sentimenti, ma questi "non arrivano mai", così come sono annacquati
da dialoghi che sembrano più usciti dall'ufficio comunicazioni con il pubblico
che da un cuore. Ma, come detto sopra, probabilmente "quello che
manca" gli americani lo sapranno già dai molti libri e interviste e
"vissuti" della loro storia recente. Spero comunque che gli
"Obamas" reali siamo persone diverse da queste. Non ci andrei a
prendere neanche un tè...
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