Kochi, da qualche parte nel Giappone, nella prima metà degli
anni novanta. A quanto ci dicono (lo dice il film) il modo di parlare
dei "Kochesi" è tutto particolare, almeno per l'abitante di Tokyo
medio, in quanto "si esprimono come nei romanzi storici". Di contro
per il "kochese" medio il modo di parlare di Tokyo è troppo
super-veloce e inquisitorio-snervante. Tuttavia, sia vera o meno 'sta cosa,
questa, di 75 minuti a opera Ghibli è la commovente (?), dolcissima (?) e
profonda (?) , divertente (?) love story (?) adolescenziale tra un
"kochese" e una "tokyese". E i punti di domanda non sono un
errore di capslock o roba così, ma chiari segni di sconforto del
vostro blogger preferito (io, immodestamente) nel constatare, anche in questa
pellicola, i più drammatici topoi dell'adolescenza giapponese media, come
tradottami da un numero sempre più cospicuo e quasi quarantennale di
"prove audiovisive" da me raccolte e fornitemi da letteratura, tv e
cinema orientale. Da osservatore occidentale con il cuore "latino" (e quindi con un punto di osservazione esterno-sbagliato) per me è un assoluto
mistero, sulla base di ritenere vere le informazioni fornite da pellicole come
questa e in genere di tutta la produzione recente di Makoto Shinkai (che qui
richiamo per vicinanza tematica), comprendere come la razza giapponese non si
sia ancora estinta. Ma procediamo con ordine.
Un "kochese" e una "tokyese", a Koiche, nell'ultimo anno
del liceo. Poiché la vita scolastica è tremenda al punto che il fallimento
comporta l'impossibilità di trovare un'università e conseguente lavoro
dignitoso, lo studente giappo medio "sa" che il tempo del cazzeggio a
quel punto della vita è finito. Bisogna dire addio all'adolescenza e buttarsi
sui corsi di preparazione universitaria. Tutti i manga ad ambientazione liceale
sono drammaticamente univoci in questo: senza l'ingresso in una università prestigiosa
a fine anno o si diventa atleti professionisti come nei manga sportivi (e la
cosa in genere non succede) o si sfonda nel teatro-musica-cinema-disegno
grazie alle attività del club liceale (e pure questo non accade... Sono
realisti i giapponesi) o si va a vendere il pesce nell'impresa di famiglia. A
meno che, come moda recente, fuori dalla scuola il mondo non stia implodendo per apocalissi zombie, invasioni aliene o fallout vari. Non c'è alternativa né scampo. La scuola è vita e LA vita è un doposcuola. In caso contrario l'emarginazione e gli istinti suicidi della condizione di
hikikomori. Per tagliare la testa al toro, per "sdrammatizzare ", i
nostri due piccioncini (?) ci vengono presentati come dei maledetti geni nella
graduatoria-voti nazionale. Delle infallibili macchine da dieci e lode senza
troppo impegno, a prescindere da qualsiasi uragano che travolge la loro
esistenza umana. Largo ai sentimenti, allora!
Morisaki è il nostro eroe (?), il classico protagonista da storia scolastica
tipo: inconsistente, privo di carisma, belloccio ma neanche troppo. Vorresti
dire "timido ma gentile" ma ti esce "anaffettivo e
bidimensionale" per la totale indifferenza con cui lo colpiscono gli
eventi esterni, per il non avere un difetto che sia uno, forse anche per il mio
gap culturale sopra rimarcato. Tuttavia per gli standard nipponici Morisaki è un "ribelle". Lo è a ragione perché una volta in terza media ha
battuto con forza i pugni contro il marcio sistema scolastico nipponico. In
pratica la sua scuola non è andata bene nelle medie-voto dei test nazionali
degli alunni del liceo e quindi gli insegnanti e genitori hanno deciso di non
far fare la gita di tre giorni agli alunni delle medie. Coerenza nipponica.
Morisaki, da novello Che Guevara, allora parte con una delegazione di
quattro-cinque studenti alla volta dell'ufficio della dirigente scolastica.
Bussa, entra e chiede gentilmente delucidazioni illustrando in modo sintetico
e pacato il suo disappunto. La qual cosa in Giappone in effetti è estrema, in quanto è vista come aggressione e danneggiamento dei locali del corpo insegnanti. La
dirigente scolastica alla sola vista dei quattro ragazzetti di
terza media infatti sbianca, è una situazione non contemplata nel manuale!!!
E' così in crisi che un collega lì nei pressi redarguisce democraticamente i
pischelli, vietando il diritto di parola a tutti coloro che nella stanza
non siano tra i primi cento migliori studenti della graduatoria nazionale nella
categoria scuole medie. Solo che Morisaki è un fiero 92 dei migliori del
Giappone, l'insegnante sbianca dinnanzi a tale primato superomistico e indice
un'assemblea in cui, molto democraticamente, chiunque fosse d'accordo
con Morisaki (implicitamente senza la protezione sociale fornita dalla sua media-voti)
potesse dichiararlo pubblicamente, ad alzata di mano sotto gli occhi adirati
del corpo insegnanti. Al che la rivoluzione entra nel vivo. Il drappello di
Morisaki, mentre il nostro eroe non si sottrae alla pugna alzando la mano, gli
fa vuoto intorno. Solo un ragazzo tra tutti risponde alla chiamata, Matsuno.
Anche lui un genio (e quindi intoccabile), ma appartenente alla categoria dei
character "misteriosi e intelligenti" perché portano gli occhiali.
Perché storicamente per la cultura dei giappi chi vede la vita con occhio
semi-chiusi in quanto "miope" è in realtà una persona molto acuta e
riflessiva. Morisaki e Matsuno vengono quindi invitati a una "riunione
esplicativa" ultra-democratica nella quale i due, in assenza di qualsiasi
insegnante o contraddittorio (strategicamente assenti), potranno scrivere su
un foglietto, con specificato nome e cognome e media-voto, i motivi del loro
disappunto. Morisaki viene profondamente colpito dalla risposta di Matsuno, che
scrive come la mancata gita potrà avere per lui ripercussioni negative quando
da lì a una decina di anni ci ripenserà. Matsuno è un ragazzo acuto, pensa,
non è solo miope. E da lì parte l'adorazione e "l'amicizia profonda", che si concretizza su schermo nel parlare ancora con Matsuno in almeno
quattro o cinque occasioni nel resto della sua intera vita, sempre in momenti
scazzati, non più di tre battute per volta. Vera bromance. Un giorno però a
guastare l'idillio arriva "la donna". Si crea subito tra lei e i due
amici un avvincente (?) triangolo sentimentale (le cui relazioni
interpersonali nell'arco dell'ultimo anno non credo sfiorino più dei 23 minuti
complessivi, salvo un evento particolare che deve essere di fatto molto
ridimensionato).
Lei si chiama Rikako, viene da Tokyo, è affascinante e
introversa e ha una media voto da genio. Matsuno vuole provarci (lo vogliono
tutti ma lui di più) ma siccome è miope-intelligente-introverso decide
di fissarla intensamente da lontano senza combinarci mai niente di niente,
guardando malissimo chiunque le si avvicini entro i trecento metri. Questo porta
Matsuno a odiare tantissimo l'amico Morisaki, che ha avuto solo la sventura di
frequentare (???) brevemente Rikako per una serie di circostanze strane
partorite dalla mente contorta della ragazza. Una frequentazione (?) che per
l'occhio inesperto del vostro blogger occidentale (sempre io) ha più a che
fare con la pietas umana piuttosto che con il trasporto amoroso.
Rikako ha dei grossi voti scolastici quanto grossi problemi a casa e non riesce
a integrarsi tra le sue invidiose compagnucce di classe di Kochi per il solo
fatto che è la ragazza più carina e intelligente della scuola e probabilmente
di tutta la prefettura. Morisaki sembra l'unico che non la giudichi ed è l'unico con una certa indipendenza economica (si direbbe il contrario per
quanto dirò da qui a breve, ma la ragazza ritiene che sia così) che conosce
a Koiche, anche perché oltre allo studio fa un secondo lavoro in un ristorante
(l'adattatore Gualtiero Cannarsi, qui comunque meno eccentrico del solito,
cosa di cui mi rallegro, regala al "secondo lavoro" di Morisaki il
termine "lavoretto". Ed è esilarante perché non usa mai un
termine diverso da "lavoretto" per descriverlo, con le assurde
ambiguità che tale espressione comporta per chi non sia davvero una "anima
candida"..."Morisaki, come è andato il lavoretto"; "Ho appena finito un
lavoretto", "Mamma esco, vado a fare il lavoretto"... Se non lo
vedevo nelle cucine di un ristorante a un certo punto iniziavo a pensare
male...). Peraltro il primo rapporto che la ragazza ha con lui consiste nel
chiedergli unicamente dei soldi, che la ragazza in un attimo ficca in borsa per
scappare via di soppiatto senza salutare o parlare con lui per i futuri quattro
mesi. Morisaki siamo convinti poi, per davvero, che non possa essere gay,
visto il modo, più "partecipe" con cui guarda Matsuno? Ma
sarà davvero amore? Come si evolverà il rapporto (???) dei tre? Cosa sarà di
questa amicizia e di questo amore quando le tre tappe classiche della
apocalisse adolescenziale nipponica (gita, golden week e festival scolastico..Tre eventi più traumatici che felici) saranno ormai storia passata? E alla fine
del film converrete con me sul fatto che, se i rapporti interpersonali tra nipponici
si limitano a quelli descritti, sia davvero un miracolo che il popolo di
Yamato non si sia ancora estinto?
Lucky Red sta ultimando la raccolta definitiva, l'adattamento e
traduzione per mercato italiano di TUTTE le opere dello studio Ghibli al netto
de "La tomba per le lucciole" (unico titolo fieramente nelle mani di
Yamato Video). L'orgasmo completistico massimo per l'appassionato del decaduto
ma sempre prestigioso studio animato di Totoro ma non solo. Una occasione
ghiottissima, unica e forse irripetibile al mondo per noi occidentali
"medi" per scoprire TUTTO ma proprio IL DANNATO TUTTO di quello che è
uscito nel corso in TUTTA LA COMPLETA STORIA di una casa di produzione
nipponica, TUTTO L'IMDB STRAMALEDETTO dal più famoso e amato film alla più
misconosciuto mediometraggio uscito solo Direct to video. Forse alla fine
mancherà il blu ray solo questo...
E ora, grazie alla wiki e anche al fondamentale documentario Il regno dei sogni e della follia, anch'esso uscito per Lucky
Red e per me a tutti gli effetti il "film horror del secolo",
sappiamo davvero il "perché e il percome" negli anni siano
arrivate le fortune avverse e i grandi trionfi, le sperimentazioni e le
conferme delle strategie produttive dell'arci-amatissima casa di Totoro,
dal suo inizio sfolgorante ad opera del genio di Miyazaki alla distruzione
perpetrata dal "terribile e autodistruttivo" (produttivamente
parlando ma forse non solo...) ultimo progetto dell'ugualmente geniale Takahata.
Quindi, oramai che i titoli più noti di Miyazaki e dello studio Ghibli in
genere sono già stati pubblicati, ecco che ci
capita tra le mani questo Si sente il mare, di Mochizuki,
produzione "minore" del 1993 ma pur sempre "produzione
Ghibli", dalle atmosfere vicinissime a quelle del pluri-osannato recente
nuovo genio dell'animazione nipponica Makoto Shinkai, con la medesima maniera
di trattare la delicata, quasi ectoplasmatica, natura sentimentale degli amori
adolescenziali nipponici. C'è un lui, c'è una lei, a volte c'è un terzo
incomodo ma non lo nota quasi nessuno. Ci sono tanti viaggi in auto,
treno, aereo in cui nessuno parla. Poi si fermano in un posto e stanno tutti
zitti per ore. Non ci sono dichiarazioni d'amore vere e proprie, mancano le
più innocue effusioni se non sfioramenti accidentali e assolutamente non
voluti. L'amore è visto nella sua accezione più pura, zen, nello "stare
insieme nei momenti che contano", soprattutto i più dolorosi. Tuttavia
il "fattore umano" per via della cultura orientale (così
rappresentata) non riesce mai (non vuole proprio farlo!!) a infrangere
quella parete spessa di incomunicabilità che le persone ergono altissima, un
po' l'emblema di quel "dilemma del porcospino" esposto da Anno in
Evangelion. Stare insieme è collegato sempre al comprendere le "giuste
distanze" tra le persone, cercare di non invadere troppo il privato altrui
(non pungersi con gli aculei per i porcospini) senza però al
contempo essere troppo distanti, navigando a vista quel tanto che
permette di captare fortunosamente dei segnali dall'altra parte. In qualche
modo è una buona cura questa visione del mondo per chi si nutre eccessivamente
delle melensaggini e smancerie infinite delle pellicole Hollywoodiane, ma qui
il sottile è così sublimato che davvero si fatica a vedere dove ci sia amore e
dove non ci sia.
I personaggi sono davvero poco empatici e il "non
detto" assume davvero spesso la forma del "non pensato". Non
voglio esagerare, ma se qualcuno davvero ritenesse di riuscire a conquistare il
cuore di una ragazza (pretendendo qualsiasi tipo di "segnale" da
parte sua) in ragione delle stesse azioni che, meccanicamente, compie il
protagonista di questa pellicola, starebbe davvero a un passo dalla follia e
presto sarebbe noto alle forze dell'ordine. Due parole "in più"
andavano necessariamente spese nella costruzione di un pur tanto platonico rapporto. Forse la caratterizzazione grafica, gradevole ma parecchio convenzionale, che
fa riferimento a un fumetto magari già conosciuto e famoso e "più
approfondito", non aiuta molto in questo. I volti dei personaggi passano
dall'allegro al cupo senza vie intermedia. Tuttavia non è difficile
"ritrovarsi" in questa Kochi del 1993, almeno per me che in quegli
anni avevo effettivamente l'età dei protagonisti e se non avevo il castello di
Kochi illuminato strano dai fari notturni avevo pure il Castello Sforzesco di Milano
illuminato strano dai fari notturni. Se la relazione tra i due - tre convince
poco (Shinkai in questo è più bravo) ci sono dei bei momenti di "slice of
life" adolescenziale. Sembra davvero di tornare ai banchi di scuola, di
partecipare a una gita vera (e quindi non divertente), di respirare la gioia
delle cose semplici come fare una camminata insieme a una persona amica o bere
in compagnia ricordando i tempi passati. La scena con il nostro protagonista
che dorme in una vasca da bagno, incurante del mal di schiena che avrebbe in
età adulta a fare la stessa cosa, usata anche nel menù del dvd e blu ray è splendida ed emblematica di una innocenza ancora non perduta alla quale, se
comunque non riusciremo mai a credere, ci fa piacere almeno poter "pensare".
Così alla fine riusciamo almeno con il nostro vissuto e la nostra immaginazione
a far quadrare i conti con la pellicola, temperando le peculiarità del
nipponico sentire e una certa omologata inespressività facciale dei
protagonisti. Riusciamo a fare nostra questa storia e c'è da ammettere che la
visione scorre via veloce nei suoi essenziali e non stiracchiati ottanta minuti
scarsi. Le animazioni come i fondali non sono impressionanti e il Ghibli Touch
si avverte solo in parte, il prodotto non nasconde una produzione più economica
del solito ma risulta gradevolissimo. Il titolo non ho ancora capito a cosa
cacchio si riferisca, ma comunque a Kochi c'è il mare e quindi pensare alla
gioventù per il nostro protagonista significa pensare anche al mare. Forse.
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