domenica 9 ottobre 2016

Go with Me (Blackway), il primo film americano di Daniel Alfredson - la nostra recensione



Sinossi: siano ai giorni nostri, siamo al confine tra America e Canada. Ma non è né Portland, che dicono essere molto carina, né Seattle. E' piuttosto un piccolo paesino dove si conoscono tutti, in un luogo circondato da alberi. Tantissimi alberi, ovunque. L'unico paesaggio disponibile è fatto da alberi. Alberi secolari in pianura, alberi secolari in montagna, case fatte da tronchi di alberi, giocattoli in legno ricavato da alberi, segherie, boscaioli che raccontano di aver fatto giochi strani con la vasellina e le cavità di alcuni alberi. Se a uno non piacciono gli alberi, fa prima a spararsi. Per di più il clima è rigido, non c'è una sola strada asfaltata, la gente parte la mattina già con la mosca al naso per via degli alberi e non ha voglia di litigare, non ha voglia di problemi. Non è un paese per vecchi, di sicuro è un paese di troppi alberi. Un paese in cui un giorno ritorna Lillian (Julia Stiles), che da quelle parti ci è solo nata. Torna per  accudire la madre anziana, perderla tragicamente subito dopo e infine convincersi che è lì il posto dove vuole vivere. Tra quegli alberi. Lavora part-time come insegnante presso la scuola locale. Lavora inoltre come cameriera presso la bettola più famosa della città ed è in quest'ultimo posto che incontra e si scontra con Blackway (Ray Liotta), un tipo losco che prova a sedurla, la percuote e comincia a seguirla ovunque lei vada. Mi pare di aver già espletato come con ci sia molto da fare in questo posto a parte giocare con gli alberi. Una sera Blackway esagera nello stalkeraggio e decapita il gatto a Lillian. Questa allora si decide ad andare dalla polizia, nella persona dello sceriffo Wingate (Dale Wilson), un tizio così annoiato che va al lavoro senza la divisa e in ciabatte e non è esattamente un eroe. Motivo per cui non appena Lillian nomina Blackway implorando un intervento dello stato di qualsiasi tipo, anche solo un "rimbrotto", lo sceriffo sbianca e prima le chiede se non può andare a vivere a Portland, che è pure più bello, e poi la dirotta presso la segheria locale, luogo dove forse la ragazza troverà qualcuno con la voce abbastanza grossa da dire a Blackway di smettere di importunarla. E quindi la ragazza va lì, dove i tanti segaioli della segheria stanno a raccontarsi per l'ennesima volta di quella volta che uno di loro ha infilato l'uccello in un un tronco secolare (accade proprio questo nel film). Uomini rudi temprati dal freddo e dalla fatica che quando sentono nominare Blackway diventano coniglietti e consigliano pure loro alla nostra eroina il trasferimento a Portland, che è pure più carina, iniziando a comporre anche il numero di Paola Marella. Lillian va via dalla segheria e inizia a lottare per far ripartire l'auto rimasta impantanata nel fango. I boscaioli fanno spallucce, non saranno certo loro ad asfaltare la strada nei prossimi quarant'anni, sono troppo annoiati. Figurati se hanno voglia di prendersela con Blackway, il bulletto locale. Ma qualcuno non è d'accordo con loro. E' Lester (Anthony Hopkins), vecchio boscaiolo che oggi vive ossessionato dall'intaglio di girandole in legno. Ne intaglia a milioni. Ha anche lui delle ruggini con Blackway e può contare sull'amicizia e supporto incondizionato di Nate (Alexander Ludwig), ragazzo poco sveglio ma di gran cuore che lo vede come un padre e lo segue ovunque. Lester andrà con Nate ad aiutare Lillian a togliere l'auto dal fango. E forse pure a trovare Blackway.


Un western crepuscolare moderno: il regista della prima trasposizione di Millennium, che ha portato alla ribalta la bellissima e bravissima Noomi Rapace arriva in America e si imbatte con uno dei più classici generi U.S.A., il western. Una storia semplice, di vendetta e riscatto, con elementi di road movie, in cui il focus è sul cercare di conoscere i personaggi mentre ci riempiamo gli occhi di paesaggi naturali incontaminati. E in Go with me si può quasi chiudere gli occhi e sentire nelle narici la corteccia del pino canadese, si ha quasi voglia di mettersi il maglione pensante per non avvertire il freddo nelle ossa. In un paesaggio così imponente e pregno di natura matrigna si muove, con passo infermo ma implacabile, alla maniera di Clint Eatwood ne Gli Spietati e di Jeff Bridges ne Il Grinta, lo stanco boscaiolo di Anthony Hopkins (che qui figura anche come produttore), avvizzito dalla vita ma ancora pronto ad accogliere il grido di aiuto di una damigella in pericolo. Il suo Lester è irrisolto, inquieto, nasconde qualche trucco. Non si muove certo come un eroe, e sarà protagonista di azioni anche piuttosto discutibili. Il suo nemico naturale è Blackway, un uomo "cattivo", un uomo più giovane e per questo più potente in un paese popolato da vecchi e pavidi. E quindi è Davide contro Golia. Blackway vive dei racconti su di lui. Appare inarrestabile e spietato come una tempesta di neve. Liotta, con una interpretazione "da matto" quasi auto-distruttivo, riesce forse a contenerlo, renderlo umano, privo di questo alone soprannaturale. E' interessante anche il boscaiolo tontolone dal cuore d'oro, Nate, interpretato dal vichingo televisivo Alexander Ludwig, che si dimostra in questo ruolo attore molto versatile, sempre simpatico e in grado di donare innocenza alla sua immane massa muscolare. Ne esce quasi uno Stallone/Rocky prima maniera, assolutamente amabile e che riesce a diventare il cuore emotivo della vicenda. Unica donna del gruppo, ma non per questo personaggio meno importante, è la Lillian di Julia Stiles. Sono decisamente passati i tempi di Save the last dance e la Stiles è qui una donna matura, poco truccata e con il viso segnato dal tempo. Una donna sola e sconfitta dalla vita che cerca solo un po' di dignità, la pretende con ostinazione come irrinunciabile esigenza umana. Un'eroina gentile. Accanto a questo piccolo gruppo di attori c'è un autentico coro da tragedia greca, quello costituito dagli anziani addetti alla segheria, sempre pronti a rimembrare i giorni fulgidi del passato, quando erano giovani e belli, ignorando l'impresa che sta compiendo Lester, che idealmente da questo coro si è staccato per essere ancora vivo, per compiere forse l'ultima impresa eroica, come il genere del western crepuscolare impone. 


Un film con un accompagnamento sonoro inconsueto: Go with Me patisce forse un po' troppo la colonna sonora ad opera di Anders Niska e Klas Whal. In completa antitesi con genere western, Niska e Whal ci portano in un incubo sonoro degno di un action movie anni '80 con Dulph Lundgren o Chuck Norris. La musica è pomposa, esagerata e sembra descrivere per toni un film diverso da quello a cui si sta assistendo. Con il tempo ci si abitua, ma in effetti la musica presenta un'invadenza che stride un po'.
Tirando le somme: Alberi, tanti alberi, troppi alberi per una storia semplice che però riesce ad appassionare grazie a un ottimo amalgama che si crea tra gli attori, che nonostante non si scambino tantissime parole riescono a sorprenderci e farci appassionare alle loro storie. Il ritmo ha una leggera flessione prima del finale, ma è un peccato veniale. L'accompagnamento sonoro è invece una bizzarria curiosa. Daniel Alfredson nel suo primo excursus americano omaggia al meglio il western, confezionando un film che soddisferà sicuramente gli appassionati del genere, risultando interessante anche per lo spettatore occasionale. 
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