Il
Boston Globe è uno dei giornali più fighi del pianeta e i suoi giornalisti sono
tenuti in altissima considerazione in tutto il mondo. E quando si parla della
sezione speciale di giornalismo investigativo del
Globe, "Spotlight", non abbiamo più a che fare con
incredibili/pazzeschi giornalisti, ma con autentici supereroi. Nessuno li
conosce, tutti li temono perché tutti hanno la coscienza sporca, per le strade
i cittadini innalzano uno "Spotlight-segnale" quando la situazione
si fa più critica e il supergruppo interviene, più forte di 1000 Gabibbo e 100
Gabanelli, più mordace delle Iene, più pignolo ed estenuante di Travaglio,
Vespa e Lerner messi insieme combinati in un super robot da inchiesta. Certo
per attivare il super-super gruppo serve tempo, i nostri supereroi escono con
un maxi-caso per volta per essere super-super certi della loro indagine, dalle
fonti agli atti processuali, dalle interviste all'eco politica che l'inchiesta
inevitabilmente scatenerà. Un giorno un cambio ai vertici del Globe fa arrivare
a Boston un nuovo direttore, che decide di proporre a Spotlight un'inchiesta
spinosissima. Pare ci siano in giro dei preti pedofili, ci siano da un sacco di
tempo, stiano preoccupantemente aumentando e non ne parla nessuno.
C'entrerà qualcosa il fatto che pure il Boston Globe ha un numero parecchio
alto di lettori cattolici che non vorrebbero leggere notizie del genere?
Possibile che un giornale di Boston non sia riuscito fino a quel momento a fotografare al meglio un problema così grave ed esponenziale di
Boston al punto da non averne mai parlato? E la Chiesa come si rapporterebbe
con i preti pedofili, cosa farebbe per arginare un fenomeno con dimensioni così
vaste da entrare (secondo alcune teorie supportate da dati di osservazione
clinica) quasi nel campo della patologia? Spotlight indaga, coinvolge
avvocati, scova gruppi di sostegno di persone molestate, porta a galla
"gente che sapeva", incappa in altri avvocati e tribunali pronti a insabbiare tutto per il quieto vivere e interesse personale. E affronta tutto e
tutti con una penna che fa ben più male di una spada. Quello che ne è scaturito
è Storia, anche se è una storia "troppo" scomoda che molti cercano di
dimenticare prima ancora di iniziare a comprendere.
Per questo è importante che ci siano film che parlino di queste brutte pagine
della Storia, perché l'essere umano tende a dimenticare rapidamente le cose e
se la Storia è "sponsorizzata" pure da un film che vince agli Oscar
magari qualcuno se la vede al cinema, a noleggio o in tv o in dvd anche se
ignora di cosa parli la pellicola. E non è fantascienza, magari lo fosse.
L'inchiesta oltre che essere importante sul piano storico è pure intrigante nel
modo in cui è stata condotta, per la catena di aiuti alle vittime di pedofilia
che ne è conseguita, per i dibattiti con la Santa Sede che occupano ancora oggi
i giornali (anche se non in prima pagina). E' una storia da conoscere, su
questo non ci sono dubbi e la visione del film spinge spontaneamente a
"volerne sapere di più".
Il problema per me della pellicola, aspetto che la accomuna a tante altre
pellicole basate su inchieste o biografie, è la messa in scena.
Andiamo oltre all'adagio "vero è bello". Un film deve funzionare
anche e soprattutto come, banale e brutale, "finzione scenica". Gli
attori devono sapermi coinvolgere nella vicenda narrata, darmi empatia, farmi
commuovere o arrabbiare, farmi pensare sulla vita e gli affetti dei personaggi
che interpretano. E qui non accade, come non accade in mille film per la tv con
Michele Placido o Beppe Fiorello: la storia è vera e importante, la
rappresentazione o "finzione cinematografica" non riesce a
trasmettere molto al di là del compito ben svolto. E naturalmente se dici
"certo che la recitazione di Fiorello è sempre la stessa, brutta e
piatta, anche in questo film sul magistrato xy" c'è gente che ti
carica di insulti perché è come se sputassi sulla tomba di un uomo eroico della
nostra Storia. Insomma, distinguiamo Storia e rappresentazione, è difficile ma
proviamoci. E quindi in cosa "sbaglia" la pellicola?
Diciamo che è nel bene e nel male "solo" la massima rappresentazione
della "Hybris" giornalistica... e poco altro. Come ironicamente
sottolineato a inizio post, i protagonisti della pellicola (lasciamo da parte
la Storia per un attimo, almeno "proviamoci"...) sono giornalisti -
supereroi al cui passaggio le persone si comportano come all'arrivo di Batman
in un film di Batman. C'è una scena con sventagliamento di tesserino
giornalistico che mi è parsa pure uscita da Dick Tracy, con effetti
involontariamente comici. E che poteri hanno i super-giornalisti? Il super -
intuito, che rende loro possibile lo svolgimento di super - indagini che al
contempo sono di matrice politico-sociale, clinica, giuridica e statistica. Non
mangiano, non dormono, stanno nei loro spazietti due metri per due sommerso di
carte e affrontano archivi polverosi incuranti degli acari, quando vanno allo
stadio non si interessano della partita di baseball, mangiano hot-dog e
ricordano alla perfezione tutti gli articoli usciti su tutti i quotidiani di
Boston degli ultimi 40 anni, dalla pagina politica alla festa del cane, a
memoria. C'è nel cast pure Mark Ruffalo e fa cose molto più straordinarie qui che quando
interpreta Hulk. A capo del gruppo c'è ... mi viene Adam West, aspetta che
controllo un attimo... si', c'è Michael Keaton... ho sbagliato di poco...
Insomma sono attori dal passato di supereroi a supergiornalisti! Il dramma è che
non se ne coglie differenza nella recitazione. E per via del super-intuito
parlano, parlano, parlano, parlano, parlano. E parlano sono dell'inchiesta dei
preti pedofili, ovunque, anche mentre sono a casa con i parenti, anche mentre
sorseggiano una birra al chiaro di luna, sono sempre "sul pezzo".
Noi a parte un paio di rapporti che si incrineranno a causa dell'inchiesta,
non sapremo mai niente di niente di loro, cose tipo se hanno amici, se la
moglie li cornifica, se hanno comprato una pistola spaziale a Natale per i
figli. I loro affetti sono "fuori campo"come gli adulti nei fumetti
dei Peanuts. Si ricorda giusto mi pare il marito di Rachel McAdams, che è
brutto e pelato, ma è decisamente poco. C'è oltre ai giornalisti solo
l'inchiesta e questa li trasporta così in profondità nella loro passione
lavorativa che tutto il film può essere rappresentato come un unico orgasmo
onanistico / giornalistico a due mani. E questo schiaccia e ricopre davvero
tutto, perfino le vittime di pedofilia, relegate a pochi minuti di scena; perfino i preti pedofili di cui la pellicola dovrebbe/vorrebbe principalmente
parlarci, relegati in un cantuccio, in una brevissima scena che forse è da
sola la cosa più suggestiva, spaventosa e davvero potente di 140
interminabili minuti. Fare la super notizia definitiva e mettere al centro del
film il super trionfo del super gruppo del super giornale più Figo del
pianeta sembra l'unico scopo del regista Tom McCarty. Manca giusto qualcuno che
urli "Fermate le rotative!!" e che da qualche parte spunti Robert
Redford a fare un sorrisetto di compiacimento. La "fotta" di fare la
notizia si mangia la notizia stessa. Ma come rendere al meglio il
super-intuito in pellicola? Cioè, come renderlo senza fare addormentare le
persone in sala in un maremoto costante di parole, tra (pur interessantissimo)
gergo tecnico legale/clinico/sociologico ed estenuanti procedure e contro
procedure di indagine, valutazioni a campione di dati ricorrenti in archivio e
ricorsi per aperture indirette di fascicoli di prove secretate et similia?
La
risposta è nel dotare i super intuitivi supergiornalisti della super corsa. Nel
film tutti parlano, ma sempre muovendosi, un po' come nei Transformers di
Michael Bay, ma senza Transformers che sparano e si trasformano. Telecamera
puntata sui giornalisti, frontale diametralmente opposta ad Elephant di Gus
Sant, pronti e... via! Marcia sostenuta nelle scene interne al Globe (dove
almeno venti persone vanno avanti e indietro come nel centro di Coruscat in
Star Wars), camminata veloce nei tribunali, sprint del jogging mattutino e
cento metri cronometro per raggiungere aeroporti o mete dell'ultimo secondo.
Medaglia d'oro a Mark Ruffalo, che corre più di tutti e a fine riprese potrebbe
per me partecipare a qualche maratona. Ma tutto questo correre
ossessivo-compulsivo aiuta la pellicola? Certo fa venire il fiatone anche agli
spettatori, è un effetto che stordisce più che aiutare al ritmo generale.
L'effetto finale è quindi: "wow, tra mille difficoltà e duro lavoro
abbiamo fatto la notizia", ma sulla notizia in sé non si scava
emotivamente a fondo quanto era lecito per rendere davvero potente il
messaggio. E ripeto, ribadisco e sottolineo con il pennarello grosso per
l'ennesima volta: parliamo di messa in scena, non del Valore Storico della vera
inchiesta. Se (per assurdo) togliamo ai 140 minuti della pellicola i 10
minuti in cui effettivamente vediamo fugacemente vittime e pedofili, possiamo
mettere al loro posto 10 minuti in cui si parla tipo dell'inquinamento marino
dovuto agli scarichi delle multinazionali e chiamare il film "il caso
tonno mutante". L'indagine avrebbe uguali problemi burocratici, legali, di
omertà e politica e ugualmente non affronterebbe al meglio, cioè
"direttamente", il problema . Ovvio che ogni giornalista sogni di
diventare un supereroe, in fondo anche Superman è un giornalista. E infine il
titolo stesso del film è "il caso Spotlight " e non "il caso dei
preti pedofili". E pertanto il tema da subito è sulla potenza dei media.
Potenza che si esprime solo grazie all'impegno e abnegazione dei giornalisti,
entità per virtù più simili a Dei benigni che a uomini, capaci di smascherare e
forse migliorare la realtà che li circonda. Giornalisti che saggiamente
imparano dai propri errori (pochi) e sacrificano la loro esistenza e affetti,
da veri cavalieri Jedi senza macchia, in virtù della massima verità di cronaca,
correndo di qua è di là per 140 minuti di pellicola, recitando di continuo dei
mantra fatti di tecnicismi multidisciplinari contorti, che ovviamente
padroneggiano con competenza assoluta.
Ma.
Che. Palle.
Va bene,
vi piace questa prospettiva, ma perché poi vedere il regista andare a
ritirare l'oscar come miglior film dicendo: "Lo abbiamo fatto per i
bambini che ancora oggi subiscono abusi". Ma dove??????
Per quei
10 minuti su 140 dove non è in scena il superomismo giornalistico?
Non era
piuttosto tutto il film un super elogio alla super "fava" dei
giornalisti ?
Questa è
ipocrisia.
Avesse
avuto le palle, il regista per rendere credibile questa dichiarazione avrebbe
dovuto mettere al centro della scena vittime e carnefici, con il giornalista di
Spotlight che prende appunti in un angolo, interviste con allegate davvero
scene di sopruso. A quel punto il giornalista si sarebbe dovuto schifare, fare
ricerca e infine andare a casa la sera e vomitare. Magari per tre minuti
sedendosi, astenendosi da una maratona che ha del demenziale, e riflettendo
"da fermo". Da essere umano. Chiamatela "retorica" ma per me è questo soprattutto che dovrebbe fare il cinema per distinguersi da dei
pur bellissimi documentari o inchieste (che è meglio che non scimmiotti se non
ne è capace): raccontare storie, anche brutte perché vere, che arrivino
a toccarci il cuore. Perché ci sono persone (e credetemi "esistono")
che si commuovono di più se muore una persona in un film piuttosto che la
propria zia nella vita reale. Il cinema ha
il potere di far commuovere e pensare perso e comunemente insensibili e
allergiche a quegli attentati al comune vivere tranquillo rappresentati dalle
notizie dei telegiornali. E queste persone (vi giuro che "esistono
e sono tante, troppe") vedranno la pellicola gioendo per la vittoria dei
super-giornalisti dimenticando in tre minuti "per cosa" hanno vinto. E
la pellicola avrà fallito nel trasmettere la Storia.
Come
conseguenza di questa impostazione da superhero movie poi, gran parte dei
giornalisti non si permetterà mai di parlare male di questa pellicola, che
presto arriverà nella spazzatura del dimenticatoio, salvo che qualcuno (sadico) la imponga in qualche corso universitario sul giornalismo. Anche perché
la recitazione è assolutamente nella media di una qualsiasi puntata di
Law'n'Order, sebbene interpretata demenzialmente su un infinito tapis roulant.
Anche perché la sceneggiatura straborda di incensate continue agli eroi di
Spotlight in modo stucchevole e compiaciuto. All'inizio si respira anche una
salutare aria di intrigo, ma è una brezza che si concretizza in niente già da
subito.
In
sintesi. E' importante e vitale che si parli di certi fatti di cronaca,
soprattutto di quelli scomodi che diventano enormi e arrivano a farci ripensare
alla nostra considerazione del mondo. La Storia può migliorare solo nel modo in
cui si può imparare (sempre che lo si "voglia fare"...) dagli errori
passati. Però un film come questo dovrebbe essere in grado di trasmetterci emozioni
più vicine ai fatti che analizza. E' un elogio della carta stampata più che di
quello che "c'è scritto sopra". Quando c'è un incendio siamo contenti
che arrivino i pompieri a spegnere le fiamme, ma ci sono spesso anche persone
che muoiono sotto le fiamme. La storia dei pompieri è una storia di coraggio
che riporta in equilibrio il modo come lo percepiamo. La storia delle persone
rimaste vittima dell'incendio è una storia che non si potrà mai archiviare e
per questo deve avere almeno lo stesso spazio. O almeno, io la vedo così. Se
avete visto il film o la vedete diversamente da me sarò ben felice di leggere i
vostri commenti e parlarne un po'.
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Non condivido il suo pensiero. Anzi apprezzo che un film che non vuole essere melodrammatico e affronta il problema in modo "non splatter" e arrivi comunque. Nessuno nella sala cinematografica ha applaudito dicendo: bravi, siete dei super eroi. Tutti i commenti che ho sentito erano a sostegno delle vittime e di contestazione ai carnefici e al sistema (ed evidenziare questo è stata la genialata di questi giornalisti). Se mai è lei che mi sembra abbia una visione cinematografica classica "all'americana", dove più c'è sangue e pianto meglio è.
RispondiEliminaPer aggiungere un esempio concreto di "non violenza ma altamente toccante e ricco di contenuto": la frase (non ricordo con esattezza le parole ma più o meno era in questi termini): "ma quando il vescovo diceva queste cose a sua madre lei cosa faceva?" la vittima: "gli offriva the e pasticcini. Non serve altro.
RispondiEliminaGentile Michela, la ringrazio per essere passata da queste parti ad esprimere il suo punto di vista. Sono contento che il film sia piaciuto a lei come alla platea con cui lo hai condiviso, uno dei miei principali dispiaceri in merito a questo film era che non avesse abbastanza "forza"da trasmettere il suo messaggio, finendo per essere presto dimenticato insieme alla Storia che racconta. In questo caso sono contento di sbagliarmi. Ci sono anche per me dei momenti della pellicola che colpiscono al cuore e riescono a farlo anche in modo elegante, non urlato. Da una pellicola di questo tipo in effetti non mi aspettavo nè pretendevo una rappresentazione della violenza e un tono melodrammatico che andassero oltre al "sussurrato". Tuttavia avrei volentieri sacrificato un mare di scene sui giornalisti e le loro indagini e sarei stato più tempo ad analizzare il personaggio del prete pedofilo che ragiona come un bambino di dieci anni. Avrei voluto vedere quella casa di cura di cui si accenna solo in una conversazione al telefono, magari anche in un flashback che, nella logica di un approccio realistico ai fatti, può per me essere comunque tanto vero o falso a seconda di chi lo "narra". Avrei voluto per un istante guardare in faccia il "vicino di casa"del giornalista (anche se può funzionare , e infatti funziona, come splendido uomo qualunque senza volto), quanto stare a contatto delle vittime di abuso con le loro crepe psicologiche. Avrei voluto, per assurdo e senza entrare nel merito, vedere l'atteggiamento della gente comune che muta nei confronti di un prete che non è pedofilo e che è del tutto estraneo, ignaro di questo scandalo e che viene "additato". E'vero, c'è la scena della nonnina che dopo che la nipote giornalista le fa leggere la notizia quasi non vuole più andare in chiesa. E'una scena intima quanto forte, sottile e "funziona". Avrei preferito un maggiore "equilibrio", anche puramente di "tempo sullo schermo" tra la narrazione della indagine giornalistica e l'analisi dei fatti, delle vittime e carnefici coinvolti. (continua)
Elimina(continua) Quindi più che una maggiore drammatizzazione emotiva (che per me poteva comunque starci bene, se non troppo urlata) mi sarei accontentato di questo maggiore equilibrio narrativo. Ciò non toglie per me che la parte dedicata ai giornalisti sia davvero bruttina e alla fine ciò che mi piace di meno. Un ibrido tra la cronaca,sintetizzata malino (ma qui si poteva fare effettivamente poco, la faccendaa era molto ingarbugliata), e il classico racconto (questo sì molto americano)sul giornalista integerrimo che, per me, forse per via dei tempi in cui viviamo, abbraccia fin troppo la moda del supereroistico. Probabilmente un'immagine che ai giornalisti e a chi sogna di fare giornalismo piacerà. Poi chiedo venia, mi cospargo di ceneri e genufletto in segno di perdono, ma vedere i giornalisti correre come maratoneti per dare una impronta cinetica a montagne di dialoghi,a me non convince per niente. Ma forse la mia è solo invidia, che a correre per due ore di fila non ce la faccio e a vedere questo film mi è venuto pure un po'il fiatone. Chiedo scusa per essere stato prolisso, ringrazio se ha avuto l'animo di seguirmi fino a questo punto, se vuole aggiungere altri elementi alla conversazione sono sempre qui e felicissimo di risponderle. E già che ci sono le invio virtualmente un mazzo di mimose. Buona Serata. Talk0
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