Che cosa fa un cane da
solo nel deserto marziano? Bobby Solo su Marte. È dalla seconda asilo che
volevo riciclare questa battutaccia che nei primi anni ottanta piaceva un
casino a tutti i "cinquenni" ingrati e ignoranti della bella musica
italiana. Quelli che si sparavano "bimbo mix" a manetta sul
mangianastri. Lo faccio con sprezzo dell'idiozia cospargendomi di cenere perché
la citazione ha senso, forse. Questo film parla di spazio e abbandono, di
sopravvivenza e coraggio ma anche e parecchio di musica ed "emozioni" del passato. Musica anni settanta - ottanta e disco music, omaggiata con
uno score da urlo. Vero, lo faceva anche I guardiani della Galassia, ma lì non
c'era il deserto e la battutaccia non mi era venuta. E quindi per me doveroso,
nel flusso dei ricordi, ora che sono cresciutello (pur rimanendo cretino per
la battuta di cui sopra) inserire immodestamente e virtualmente in questa
recensioncina brutta, nella track list stellare di The Martian, che annovera
giganti come gli ABBA, David Bowie e Gloria Gaynor, anche il membro più
carismatico dei "Robot". Così uno in futuro verrà a leggere questa
recensione e ci troverà un link (che i miei discendenti si assicureranno
sempre funzionante) a un video importante ma che non c'entra nulla con il
film, inserito così perché mi andava, lo ritenevo giusto e ci stava bene.
E poi ditemi che non ci sta bene sulle dune di Marte!!
E ora che vi ho spinto all'unisono al "facepalm" direi che
si può dire una parola o due su questa nuova pellicola di Ridley Scott.
Spazio, ultima frontiera. La missione Ares 3 della NASA punta dritta
alla colonizzazione di Marte spedendo degli omini direttamente sul pianeta
rosso. Tra di loro c'è Mark, un botanico, preso un po' di mira con il classico
#nonserviauncazzo. L'approdo sul pianeta funziona, hanno il classico veicolo
spaziale "rover", hanno l'astronavina di recupero, la base costruita, l'Ares 3 non manca di tutti gli accessori disponibili nei set spaziali della
Playmobil.
Sembra la classica giornata d'estate marziana perfetta e ovviamente
il casino e dietro l'angolo. Come sempre il colpevole delle nostre vacanze
rovinate quanto dei viaggi spaziali è lui.
E dire che su Marte fa sempre bello!! Una tempesta di sabbia può
capitare tipo una volta ogni cinque anni!! E infatti... Nel fuggi fuggi generale, tra l'ombrellone e l'aggeggio solare per l'abbronzatura lasciati per
terra, tutti scappano sulla scialuppa di emergenza che rischia di cadere di
lato per le raffiche di sabbia e poi "come cacchio facciamo a rimetterla
dritta". "Ma io ho un'idea!", si sente dal fondo della fila
degli astronauti in fuga. È la voce del saputello botanico. Tutti, un
po' scazzati e innervositi, si girano ad ascoltare l'ennesima "nerdata" di quel fallito. E qui, apro parentesi, ci sarebbe da dire che Matt
Damon non sembra esattamente il "corpo" da abbinare al personaggio che
interpreta. L'eroe del film, l'uomo che dovremmo vedere da solo gestire il
90% della pellicola dovrebbe essere più un soggetto di questo tipo...
Solo che passare due ore con Poindexter di Revenge of Nerds
virtualmente doveva essere devastante per il botteghino. E quindi c'è Matt
Damon, che è un po' la stessa cosa.
Chiusa parentesi "Matt Damon", torniamo al film, che oggi
scriviamo davvero un casino a rilento.
Dicevamo, tutti fuggono ma il botanico nerd li blocca e dice:
"Non potremmo legare l'astronave con l'antenna, con il domopack spaziale
con.." SBEEMM. Manco finisce la frase che una parabola lo colpisce in
faccia e lo butta lontano dal gruppo, mentre la tempesta diventa così fitta che
tutto fa buio e nessuno riesce più a vederlo. Dopo un paio di svogliati tentativi
di salvataggio, tutti vanno via e lasciano in botanico a morire su Marte. In
fondo il viaggio verso casa è di un paio di anni, anche migliori da
sopportare senza di lui. Se lo avessero salvato li avrebbe ammorbati con i suoi
continui discorsi e si sarebbe lamentato tutto il tempo di come lo stavano per
abbandonare su Marte, una palla. Cioè , ci rimangono male perché uno di loro è morto ma la vita continua, non piange "nessuno"... sarà
l'addestramento spaziale...
Certo se fosse sopravvissuto sarebbe doveroso andarlo a salvare,
perché è Matt Damon e già in Salvate il Soldato Ryan che in Interstellar
Hollywood ne impone forzosamente il salvataggio come sviluppo narrativo tipico
di un film, è roba collaudata.
E Matt-Mark-Poindexter, incredibilmente e come già ci dicono
trailer e titolo italiano è sopravvissuto. Con qualche ammaccatura ma ce l'ha
fatta. Ce lo immaginiamo esultare con quello che sarebbe il suo reale aspetto.
Non è l'immagine stessa della
"gioia"? Dopo di che il nostro si ricompone e fa quello che appare
più normale per uno che sta per morire nello spazio alla prossima tormenta di
sabbia killer, si mette a fare dei video giornalieri che i posteri vorranno a
tutti i costi caricargli sul suo canale di youtube. Ma non si limita a questo e
noi spettatori ringraziamo caldamente. Sfregando il suo prodigioso testone il
nostro eroe elabora un piano di lungo corso per sopravvivere degli anni su
Marte. Sfruttando pannelli solari, lezioni di chimica e fisica e affidandosi a
una razionalizzazione delle sue risorse, Mark è in grado di avere ossigeno,
acqua e pure coltivare qualche patata. Ogni giorno una sfida, ogni giorno una
vittoria o una sconfitta con cui fare i conti il giorno seguente. Fino a che,
forse, qualcuno riuscirà a mettersi in contatto con lui.
Lo sceneggiatore ultra cool Drew
Goddard, una grandissima penna e un ottimo regista con all'attivo Cabin in the Woods e un po' deluso dallo slittamento dei
suoi Secret Six prende in mano un istant -Classic del
web, il romanzo The Martian di Andy Weir e insieme al leggendario ma
ultimamente delizioso regista "vintage" Ridley Scott porta sullo
schermo una avventura spaziale che sta un po' dalle parti del Robinson Crusue
di Daniel Defoe, un po' sulle coordinate dell'Apollo 13 vera e cinematografica di Ron Howard.
Con un pizzico del nolaniano Interstellar, uno spruzzo del
cuaronian Gravity e una punta del Castaway di Zemeckis.
E in più si conferma l'adagio,
appunto da Guardiani della Galassia,
che se nello spazio nessuno può sentirti gridare, il silenzio cosmico è
perfetto per inondare le casse di canzoni vintage. Se quindi The Martian almeno formalmente ricorda questo e
ricorda quello, la sua spinta originale nasce tutta nel romanzo di Weir, con il
suo nerd che affronta con pigio enigmistico ogni sfida, dimostrando che nulla è
impossibile con l'impegno e l'entusiasmo, anche sopravvivere da soli nello
spazio. Se il crociato Orlando Bloom in Kingdom of Heaven, sempre di Scott,
riusciva a irrigare il deserto costruendo un corso d'acqua, qui Damon fa la
stessa cosa; modifica l'ambiente che mano a mano diviene più amico dell'uomo,
pur concedendosi qualche volta di deprimerlo un po'. Il romanzo come il film
sono così "forti" nella tematica di "problem solving" unita
alla matrice logorroica del nostro eroe che il film si permette di mettere in
primo piano solo la sopravvivenza pratica su Marte. Poco o nulla sappiamo dei
nostri personaggi al di là dei loro problemi pratici e più impellenti. Damon
parla e straparla solo di cose tecniche o cose assurde, Gloria Gaynor canta per
lui "i will survive". Il lato pratico di questo originale approccio è
che si parla solo di roba tecnologica spaziale, cercando magari di non escludere
troppo lo spettatore usando paroloni su paroloni e utilizzando infiniti esempi
visivi. Ogni tre minuti Mark o i tizi alla NASA che cercano di recuperarlo si
mettono a disegnare qualcosa sul muro o a spostare oggetti per descriverci
manovre spaziali, distanze, quantitativi di cose. Si arriva alle repliche degli
oggetti che Mark usa su Marte, ai modellini in scala. Presente il solito
esempio con penna e foglio piegato e bucato che si utilizza da Punto di non ritorno a Interstellar per descrivere i buchi neri? Tutta
roba così che vorrebbe spiegarci qualcosa ma che alla fine non ci riesce a
spiegare una sega di nulla. Almeno per spiegare la teoria della manovra a
"fionda" potevano usare l'esempio di Star Trek rotta verso la
terra... per una volta avrei capito. O forse no. In sostanza, tanti ma tanti
termini tecnici e spiegazioni "illustrative". Grazie al cielo però
alleggerite da un po' di humor, che ci rende l'esperienza più piacevole.
Funziona tutto a meraviglia nel primo tempo, il nostro naufrago spaziale grazie
a un Matt Damon in stato di grazia riesce a farsi voler bene anche quando si
lancia in noiosetti e continui spot sulla NASA. Ma già nel secondo tempo,
quando parte con una maxi Supercazzola ultra-nerd di tre minuti sul fatto che
stia per compiere una azione da "pirata" (roba di acque territoriali
e trattati spaziali) il pubblico preferirebbe vederlo morire o per lo meno che
alzasse il volume di Waterloo degli ABBA e stesse zitto. Perché nel secondo
tempo per me l'idillio si spezza un po'. I paesaggi marziali sono favolosi ma
un po' tutti uguali ed è un'ora buona che li abbiamo visti. Il coinvolgimento
emotivo per il nostro eroe c'è inversamente a quanto incominciamo
progressivamente a odiarlo. La vicenda stessa che è raccontata nella seconda
parte perde di mordente e si fa piuttosto lineare, pur soddisfacendo un numero
sindacale di colpetti di scena. E allora si sente di più la distanza tra Mark e
lo spettatore, vorremmo sapere davvero un po' di cazzi suoi, sulla sua famiglia
e amici, sogni e progetti, qualcosa che va oltre alla missione spaziale. La
Bullock in Gravity viveva una tensione tra terra e
spazio che si rifletteva sulla sua famiglia, sul rapporto con la figlia. Interstellar era un film sull'eredità, padri e
figli, Tom Hanks in Apollo 13 aveva qualcuno da aspettare a casa e
lo stesso valeva per Sigurney Weaver, sempre diretta da Scott, nel primo Alien. Con Matt Damon ho fatto
fatica a empatizzare al di là del suo umorismo, di un decadimento fisico volto
a manifestare progressivamente la sua malnutrizione e del suo malcelato odio
per la musica dance anni ottanta, che pur si ostina ad ascoltare per placare le
urla del silenzio cosmico. Quello che è l'approccio originale della pellicola
diviene con il minutaggio che si ingrossa forse un suo limite. Un limite che si
somma a una sequenza interminabile di situazioni "a tematica
spaziale" già viste nei film citati sopra e nei film di fantascienza in
genere.
Ottimi effetti speciali, una
recitazione buona per Matt Damon e abbastanza nella media per il resto del cast
coinvolto, una bella colonna sonora e una splendida fotografia. Uno sforzo
serio per rendere tutti gli aspetti scientifici plausibili il più possibile,
una sceneggiatura che sa giocare con lo humor, il miglior biglietto da visita
per la NASA e un ritrovato entusiasmo per le generazioni future che andranno
forse davvero nello spazio. La dimostrazione, in un momento di crisi
generazionale come il nostro, che il muscolo più potente dell'uomo è il
cervello, che lo studio è importante e che il futuro anche più cupo può essere
battuto se si riesce a credere in se stessi. Tuttavia una pellicola che arriva
al finale col fiato corto, che non ha abbastanza mordente per desiderare di
vederla una seconda o terza volta. Un film carino ma che non riesce in nessun
caso a essere memorabile, soprattutto per limiti concettuali già presenti nel
romanzo che qui si amplificano.
Forse se il protagonista avesse
avuto davvero l'aspetto di Poindexter, i suoi tic nervosi e la sua pettinatura,
la pellicola poteva avere una spinta in più. Il parlare del protagonista solo
della missione poteva contornarsi di prospettive mattoidi, ossessive. Potevamo
avere uno Spider di Cronenberg ambientato nello
spazio. Sarebbe stato più gustoso ma la pellicola avrebbe fallito sul piano
dello spot americano al programma spaziale, che era sicuramente uno dei goal
cui puntava la produzione. Insomma Poindexter non ci può andare davvero nello
spazio in un film così.
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