Testi: Barbato;
Disegni: Freghieri
Hollywood, intorno
agli anni '50 (ma non è così chiaro). L'attore Barry Melville è
perseguitato, qualcuno sta cercando di farlo fuori per colpa dei
troppi scheletri che nasconde nell'armadio. Potrebbe aiutarlo Monroe,
un detective privato risoluto, mono-espressivo e imbalsamato. Nella
lista dei probabili soggetti malevoli figura la starlet Rose Carlyle,
una vecchia fiamma dell'attore malamente abbandonata, ma c'è di più,
il disegno è più complesso. Pare proprio che Barry sia caduto nella
ragnatela di pericoloso nemico, pronto a tormentarlo lentamente, con
pazienza e metodo, fino a farlo impazzire. Un avversario che si
dimostra quanto più invisibile. Ma di fatto il detective Monroe ha
molta pazienza.
Paola Barbato, che
inaugurava Le Storie con il numero 1, chiude con il 12 volume la
prima annualità della testata insieme a Giovanni Freghieri, matita
storica di Dylan Dog nonché amatissima. Il genere prescelto è
chiaramente il noir americano classico e non è difficile
identificare nella silouette del detective Monroe i tratti somatici
del grande Bogey (come lo chiamava Crepax). Anche la copertina ad
opera di Di Gennaro è un omaggio, al celeberrimo dipinto Nighthawks
di di Edward Hopper, uno dei massimi capolavori d'arte americana.
Devo trovarmi un poster...
La Barbato mette
in scena una storia ingarbugliata in cui si avvicendano un gran
numero di personaggi spesso latori di pensieri criptici. Tutti fanno
doppio o triplo gioco e il caos che ne scaturisce disorienta prima e
irrita poi il lettore fino alla parte finale del racconto, dove i
fili della trama iniziano ad intrecciarsi e possiamo finalmente
intuire il quadro complessivo. Con questa chiave finale è quindi
possibile rileggere dall'inizio il racconto e dare il corretto ruolo
a personaggi ed eventi, godendo appieno di una architettura narrativa
complessa e intricata quanto razionale. Tuttavia la prima lettura
l'ho personalmente trovata piuttosto ostica e quando ho subodorato che
sarebbe arrivato il mega-maxi-spieghine di 30 pagine mi è calata la
classica depressione del dylandogofilo medio. Tuttavia alla luce di
una lettura completa tutto funziona abbastanza bene e i pregi saltano
fuori. Personaggi asciutti e ben congegnati per essere abbastanza
sgradevoli e poco empatici, preda di desideri per lo più egoistici.
Un'atmosfera claustrofobica e disperata, carica di spazi stretti tra
vicoli di mattoni, cantine, angusti camerini, piccoli bar. Un ritmo
narrativo che affronta con disillusione, con distacco
medico-paziente, le scene più raccapriccianti. Glaciale. Un glaciale
ben fatto. I disegni di Freghieri affrontano con coraggio il
difficile compito di illustrare senza evidenziare la linea d'ombra
tra bene e male. Un'occupazione che di fatto svolge da anni con il
massimo impegno e risultato su Dylan Dog. I disegni de “La pazienza
del destino” risplendono della glacialità e neutralità della
pagina scritta; attenti a non indugiare troppo in dettagli
“rivelatori”, i volti dei personaggi si adattano perfettamente al
compito di alimentare dubbi nel lettore. Laddove però è possibile
rappresentare senza indugi, il disegnatore scatena la sua abilità
nell'illustrare efficaci tavole dai forti contenuti drammatici e
sanguinolenti.
Anche questo
numero presenta quindi una storia affascinante e perfettamente
corredata da ottimi disegni. Se proprio devo imputarle un difetto
veniale, non posso che citare la lettura, a volte difficile e
macchinosa, delle prime pagine. Ma come già esposto è un problema
che a monte della lettura integrale facilmente scompare.
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