Delle vecchie amiche si ritrovano
insieme in una calda estate nel luogo dove vivevano e lavoravano insieme,
quando venivano chiamate “le favolose”. È l’occasione giusta, tra ironia e
malinconia, per ripensare al passato tornando a indossare gli abiti di un
tempo, riflettere sul significato di temi come la famiglia e l’amicizia,
tirarsi i capelli e piangere insieme. Nelle stanze e nei discorsi che si
rincorrono aleggerà la memoria delle amiche che non sono più tra loro e forse
il gruppo deciderà di evocarle in una seduta spiritica, facendo affidamento
sulla loro nomea di “streghe”.
C’è una canzone del passato che in qualche modo calza a pennello per offrire una giusta sintesi di questo film:
Quando più fitta l'oscurità
Scende sulla città
Lucciole ansiose di libertà
Noi lasciamo i bassifondi
Senza una meta c'incamminiam
E sotto ad un lampion
Quando la ronda non incontriam
Cantiamo la canzon
Noi siam come le lucciole
Brilliamo nelle tenebre
Schiave d'un mondo brutal
Noi siamo i fiori del mal
Se il nostro cuor vuol piangere
Noi pur dobbiam sorridere
Danzando sui marciapiè
Finché la luna c'è
Così iniziava Lucciole Vagabonde, celeberrima e celebrata (spesso come colonna sonora di molte trasmissioni televisive notturne a tema erotico) canzone cantata da Achille Togliani (poi anche da Milva), scritta da quel Bixio Cherubini che è stato autore anche di classici della canzone popolare italiana come Mamma e Violino tzigano. Cherubini parlava nel testo della vita delle donne di piacere, citando per l’occasione il titolo della famosa raccolta di poesie di Baudeleire dove ai “fiori”, simbolo della bellezza che si schiude attraverso l’arte, viene attribuita l’accezione “del male”, in quanto ritenuti “figli della corruzione del mondo”. Fiori che brillano solo nella notte, vivendo perennemente osteggiati dalle “ronde” della buoncostume e nella brutalità del mondo, lontani dalla gentilezza “dei giusti” e vicini alle passioni forti dei “peccatori”. Fiori colorati e dall’aspetto gioioso anche quando “il cuore vuole piangere”, davanti a una vita che appare spesso simile a una schiavitù, ma che può sempre essere sublimata e sconfitta attraverso l’arte, la fantasia e l’amicizia. Sopravvivere attraverso l’arte e il trucco, riuscendo a rialzarsi tenacemente ogni volta “finché la luna c’è”, sapendo cogliere il bello di questo mondo. Una vita che deve essere sempre degna di essere vissuta fino in fondo a testa alta e con positività perché, come diceva Marcello Marchesi, citato direttamente nella pellicola: “l’importante è che la morte (quando arriva) ci trovi vivi”. Essere “lucciole vagabonde” ed essere “vive e vitali”, è quanto viene raccontato dalle protagoniste del film come dictat in riferimento a un passato oscuro, molto diverso dal nostro presente. Un passato dove prostituirsi per molti transessuali una delle poche e possibili scelte per sopravvivere e avere un'autonomia economica, sebbene “all’ombra del mondo”, sebbene esponendosi a pericoli come violenze e abusi di sostanze stupefacenti. Chi non voleva prostituirsi era così osteggiato ed escluso dal mondo che poteva finire nella depressione e nell’abuso di sostanze. Spesso osteggiati sui luoghi di lavoro regolari e disconosciuti pure dalla propria famiglia, ritenuti “diversi” anche dalla religione, i transessuali vivevano in case ai margini della strada, contendendosi le piazze di lavoro notturno con le donne e spesso finendo a fare a botte con loro, quando la malavita immetteva nel territorio a ondate nuove ragazze provenienti dai paesi più poveri. Per lo meno i transessuali dal controllo di un “pappone” erano esentati, in quanto la criminalità non si occupava ideologicamente, per questioni di “machismo” di “gestire uomini di piacere”. Nella pellicola, per convivere con questo mondo, le protagoniste dicono che tra “il delirio e il dramma, abbiamo sempre scelto lo spettacolo”. Hanno scelto, in quelle notti da lucciole cariche di tensioni e botte, di trasformarsi, entrare sulla scena come sorridenti “vedette” dello spettacolo, tra tacchi vertiginosi, abiti luccicanti, piume di struzzo.
Mizia Ciulini ha lavorato come bid e documentation manager alla Olivetti e si è dedicata al rock punk, diventando una delle voci nel New rock italiano iniziato nel 1979. Massimina Lizzeri, che si definisce “la regina della festa” si occupa come animalista volontaria della colonia felina di Anzio. Mina Serrano è un'artista visiva, performer e modella, artista di cabaret e scultrice. Antonia Iaia ha studiato scenografia e danza classica e dagli anni ‘80 ha lavorato come attrice per grandi registi come Mario Martone. Nel film queste donne non sfoggiano il ricco curriculum che vi ho sopra menzionato (e che può essere invece il giusto completamento della loro conoscenza) ma parlano in modo intimo di se stesse, danno voce a istanze universali come la difficoltà di avere una figlia, la necessità di sopravvivere alla depressione, vincere l’odio e la paura di non essere amate da Dio, guardare al futuro senza vivere solo di ricordi. Sono testimonianze profonde che le mettono davvero a nudo, prima che con un artificio scenico le nostre eroine si ricoprano di trucco e piume di struzzo per tornare sul palcoscenico, da grandi attrici. Le favolose è un piccolo film fatto con tanto amore e onestà che è un vero e proprio inno alla voglia di vivere e combattere la vita con il sorriso. Una pellicola che balenerà nelle sale dal 5 al 7 settembre e che per chi è particolarmente sensibile alle tematiche trattate è una occasione da non perdere.
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