venerdì 2 settembre 2022

Le favolose: la nostra recensione del nuovo film di Roberta Torre in sala dal 5 al 7 settembre

Delle vecchie amiche si ritrovano insieme in una calda estate nel luogo dove vivevano e lavoravano insieme, quando venivano chiamate “le favolose”. È l’occasione giusta, tra ironia e malinconia, per ripensare al passato tornando a indossare gli abiti di un tempo, riflettere sul significato di temi come la famiglia e l’amicizia, tirarsi i capelli e piangere insieme. Nelle stanze e nei discorsi che si rincorrono aleggerà la memoria delle amiche che non sono più tra loro e forse il gruppo deciderà di evocarle in una seduta spiritica, facendo affidamento sulla loro nomea di “streghe”.

C’è una canzone del passato che in qualche modo calza a pennello per offrire una giusta sintesi di questo film:

Quando più fitta l'oscurità

Scende sulla città

Lucciole ansiose di libertà

Noi lasciamo i bassifondi

Senza una meta c'incamminiam

E sotto ad un lampion

Quando la ronda non incontriam

Cantiamo la canzon

Noi siam come le lucciole

Brilliamo nelle tenebre

Schiave d'un mondo brutal

Noi siamo i fiori del mal

Se il nostro cuor vuol piangere

Noi pur dobbiam sorridere

Danzando sui marciapiè

Finché la luna c'è

Così iniziava Lucciole Vagabonde, celeberrima e celebrata (spesso come colonna sonora di molte trasmissioni televisive notturne a tema erotico) canzone cantata da Achille Togliani (poi anche da Milva), scritta da quel Bixio Cherubini che è stato autore anche di classici della canzone popolare italiana come Mamma e Violino tzigano. Cherubini parlava nel testo della vita delle donne di piacere, citando per l’occasione il titolo della famosa raccolta di poesie di Baudeleire dove ai “fiori”, simbolo della bellezza che si schiude attraverso l’arte, viene attribuita l’accezione “del male”, in quanto ritenuti “figli della corruzione del mondo”. Fiori che brillano solo nella notte, vivendo perennemente osteggiati dalle “ronde” della buoncostume e nella brutalità del mondo, lontani dalla gentilezza “dei giusti” e vicini alle passioni forti dei “peccatori”. Fiori colorati e dall’aspetto gioioso anche quando “il cuore vuole piangere”, davanti a una vita che appare spesso simile a una schiavitù, ma che può sempre essere sublimata e sconfitta attraverso l’arte, la fantasia e l’amicizia. Sopravvivere attraverso l’arte e il trucco, riuscendo a rialzarsi tenacemente ogni volta “finché la luna c’è”, sapendo cogliere il bello di questo mondo. Una vita che deve essere sempre degna di essere vissuta fino in fondo a testa alta e con positività perché, come diceva Marcello Marchesi, citato direttamente nella pellicola: “l’importante è che la morte (quando arriva) ci trovi vivi”. Essere “lucciole vagabonde” ed essere “vive e vitali”, è quanto viene raccontato dalle protagoniste del film come dictat in riferimento a un passato oscuro, molto diverso dal nostro presente. Un passato dove prostituirsi per molti transessuali una delle poche e possibili scelte per sopravvivere e avere un'autonomia economica, sebbene “all’ombra del mondo”, sebbene esponendosi a pericoli come violenze e abusi di sostanze stupefacenti. Chi non voleva prostituirsi era così osteggiato ed escluso dal mondo che poteva finire nella depressione e nell’abuso di sostanze. Spesso osteggiati sui luoghi di lavoro regolari e disconosciuti pure dalla propria famiglia, ritenuti “diversi” anche dalla religione, i transessuali vivevano in case ai margini della strada, contendendosi le piazze di lavoro notturno con le donne e spesso finendo a fare a botte con loro, quando la malavita immetteva nel territorio a ondate nuove ragazze provenienti dai paesi più poveri. Per lo meno i transessuali dal controllo di un “pappone” erano esentati, in quanto la criminalità non si occupava ideologicamente, per questioni di “machismo” di “gestire uomini di piacere”. Nella pellicola, per convivere con questo mondo, le protagoniste dicono che tra “il delirio e il dramma, abbiamo sempre scelto lo spettacolo”. Hanno scelto, in quelle notti da lucciole cariche di tensioni e botte, di trasformarsi, entrare sulla scena come sorridenti “vedette” dello spettacolo, tra tacchi vertiginosi, abiti luccicanti, piume di struzzo. 


Negli anni ‘70, in piena rivoluzione sessuale, la prostituzione per i transessuali  era anche un'attività ricercata da molti clienti, che accorrevano sulle migliori piazze proprio in cerca della loro diversità, i vistosi abiti di scena, il modo gioioso di sposare la vita con la teatralità. Erano clienti che arrivavano, come nel caso del film, a tributare loro il nome di “favolose”. Un riconoscimento che era anche un elogio, che superava le altre voci cattive che le trattavano alla stregua di “streghe”. I clienti più gentili ogni tanto sembravano anche andare oltre il “gusto del proibito” ed essere sul punto di innamorarsi, ma spesso sul più bello si ritraevano, nascondendosi sotto il guscio della loro famiglia convenzionale, come una sorta di “uomini-paguro”. Costringendo le favolose innamorate a ritornare sul marciapiede un giorno ancora per innamorarsi di nuovo, con un nuovo abito colorato e un nuovo sorriso, potendo contare solo le une sulle altre. Così in piccole case ai margini della strada si creavano colorate famiglie allargate che vivevano sotto lo stesso tetto, condividendo vestiti, gioie e dolori. Sognando che l’armadio che raccoglieva paiettes e costumi “di scena” fosse come un’astronave, in grado di portare in un mondo lontano più bello, come l’armadio delle Cronache di Narnia. Certo oggi questa narrazione appare come di un’epoca lontanissima, quando i diritti per la parità di genere e i movimenti lgbtq+ erano all’inizio, ma in fondo parliamo di solo una trentina di anni fa. Motivo per cui 
Roberta Torre, regista dei geniali musical sulla mafia e su Shakespeare, Tano da Morire e Riccardo va all’inferno (ma anche tra le altre cose regista teatrale dell’Aida, nonché voce del documentario collettivo All human rights for all) vuole dare vita a un docu-film con al centro persone reali che hanno vissuto davvero quei tempi, senza rimanerci fagocitate, senza perdere lustrini e amore per la vita nonostante le mille difficoltà cui sono andate incontro. Persone che hanno trasformato questa forza interiore in arte, diventando figure importanti nel mondo del teatro, cinema e musica. Ma anche persone con un forte impegno politico, che hanno combattuto per dare la possibilità alle nuove generazioni, non solo appartenerti alla galassia LGBTQ+, di vivere una vita migliore, promuovendo un radicale cambiamento delle Pari Opportunità. Il film della Torre racconta idealmente una storia comune alle protagoniste con tematiche ricorrenti a molta narrativa che tratta della diversità e trova eco anche nel cinema di François Ozon, come il recente Estate ‘85, (recensito anche su questo blog) tratto da Danza sulla mia tomba di Aidan Chambers. Ma Roberta Torre va oltre alla narrativa e inserisce momenti davvero autentici, umanissimi quanto struggenti, dove le protagoniste parlano di se stesse a livello personale, autobiografico. Una delle protagoniste è Porpora Marcasciano, dagli anni ‘70 una attivista storica del movimento LGBT, presidente onoraria del MIT (Movimento Identità Trans) e attuale presidente della Commissione per le Pari Opportunità del comune di Bologna. Ha scritto molti libri tra cui Favolose Narranti, che è alla base della sceneggiatura di questa pellicola di Roberta Torre. Ha istituito il collettivo NARCISO, che nel 1983 con la fusione con il movimento Fuori della sezione romana costituirà il Circolo Mario Meli (figura politica e umana centrale nel movimento a cui è stato dedicato un bel film, recensito anche sul nostro blog, Gli anni amari). Dal 2016 Porpora è stata insignita come Human Rights Defender da Amnesty International. Nicole De Leo, presidente attuale del MIT di Bologna, dopo gli studi al Piccolo teatro di Bari e al Duse di Roma ha lavorato come attrice tra gli altri per Matteo Garrone e Alessandro D’Alatri. Sofia Mehiel, la più piccola le gruppo, ha rappresentato l’Italia come cantante e attrice all’Europride dì Amsterdam nel 2016. Veet Sandeh, diventata giovanissima presidente del MIT è stata attivista, ha lavorato nel mondo della musica house, dopo un percorso di studi in India ha insegnato tecniche di meditazione, ha creato nel '97 a Torino il primo Sportello Trans presso la CGL. Nel film dice: “il mio corpo è un atto politico. Ogni qual volta esco di casa mi espongo al giudizio, alla critica e alla violenza”. 



Mizia Ciulini ha lavorato come bid e documentation manager alla Olivetti e si è dedicata al rock punk, diventando una delle voci nel New rock italiano iniziato nel 1979. Massimina Lizzeri, che si definisce “la regina della festa” si occupa come animalista volontaria della colonia felina di Anzio. Mina Serrano è un'artista visiva, performer e modella, artista di cabaret e scultrice. Antonia Iaia ha studiato scenografia e danza classica e dagli anni ‘80 ha lavorato come attrice per grandi registi come Mario Martone. Nel film queste donne non sfoggiano il ricco curriculum che vi ho sopra menzionato (e che può essere invece il giusto completamento della loro conoscenza) ma parlano in modo intimo di se stesse, danno voce a istanze universali come la difficoltà di avere una figlia, la necessità di sopravvivere alla depressione, vincere l’odio e la paura di non essere amate da Dio, guardare al futuro senza vivere solo di ricordi. Sono testimonianze profonde che le mettono davvero a nudo, prima che con un artificio scenico le nostre eroine si ricoprano di trucco e piume di struzzo per tornare sul palcoscenico, da grandi attrici. Le favolose è un piccolo film fatto con tanto amore e onestà che è un vero e proprio inno alla voglia di vivere e combattere la vita con il sorriso. Una pellicola che balenerà nelle sale dal 5 al 7 settembre e che per chi è particolarmente sensibile alle tematiche trattate è una occasione da non perdere. 

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