lunedì 29 agosto 2022

Outcast - l’ultimo templare: la nostra recensione di un action pensato per il pubblico malesiano con protagonista un tristissimo Hayden Christensen e in un ruolo più piccolo il mitico Nicolas Cage


Chiariamolo subito, questo non è il seguito/spin-off/prequel/newquel/requel de L’ultimo dei Templari. Quindi niente streghe e Ron Perlman a questo giro e pure poco Cage, che viene relegato a un ruolo di margine, pur gustosissimo, per il quale sfoggia un codino da samurai. Questo film è comunque una pellicola in cui vediamo dei crociati/templari/cavalieri roteare le spade, ma è più dalle parti del wuxia che dell’horror e soprattutto è “l’Hayden Christensen show”, un film in cui l’ex interprete di Darth Vader è mattatore semi-assoluto per la gioia incontrastata di tutti i suoi fan. Fan che non credevo esistessero in numero così cospicuo in Malesia, paese che ha potuto godere in anteprima, sei mesi prima del resto del mondo, di questa stranissima coproduzione realizzata tra America, Cina e Canadan. Ma tale scelta distributiva può anche essere compatibile con il fatto che sia appunto un wuxia, genere di punta nei paesi asiatici. Un wuxia girato in Oriente, tra Pechino e la regione del Yunnan, arricchito da tante scene di lotta e un nutritissimo cast di attori asiatici, tra cui Bozhao Wang (da noi visto di recente nel fantascientifico action Bleeding Steel con Jackie Chan), Simon Chin (visto di recente in Snake Eyes e nella serie tv di Snowpiercer), Fernando Chien (visto in Fast Five, Shag-chi, Transcendence, la Mummia 3,  nel Warrior con Nick Nolte e Tom Hardy), la bella Liu Yifei (cantante e attrice molto famosa in patria, vista nel 2020 in Mulan), Andy On  (New Police Story, con Jackie Chan). Lo sceneggiatore è uno specialista nell’adattamento di “romanzi d’avventura classici”, nel 2012 ha realizzato una serie tv sui viaggi di Sinbad, nel 2014 insieme a questo Outcast realizzerà una serie sui Tre moschettieri, nel 2016 una serie su Beowulf e nel 2019 sceneggerà anche alcune puntate della serie tv italiana ispirata alla famiglia dei Medici. Le location, tra Pechino e Baoding, sono bellissime, suggestive, piene di una natura rigogliosa, castelli e fortini accuratamente ricreati. Molto belle le armature, bella la fotografia di Joel Ransom, già direttore della fotografia di X-Files, Deep Rising e soprattutto di un action come Pallottole Cinesi. Le musiche sono di Guillaume Roussel, che ha collaborato nel dipartimento sonoro dei Pirati dei Caraibi. La pellicola è firmata da Nick Powell, qui al suo esordio da regista  ma già coordinatore di stunt per film come Braveheat, Robin Hood principe dei ladri, Bourne Identity, Il Gladiatore, L’ultimo samurai. Powell aveva tutte le carte in regola per provare a dirigere oltre ai combattimenti anche ”un film intero a base di combattimenti”, ma la forma di proporre al mercato asiatico uno stile di action occidentale mischiando le maestranze sembra essere piaciuta subito ai produttori. Al punto che uno di loro, Jeremy Bolt, aveva prodotto tutti i film di Resident Evil di Paul W.S. Anderson e pure gli Underworld di Len Wiseman, era così galvanizzato all’idea di un wuxia con Darth Vader che subito si era messo a rilasciare dichiarazioni sul fatto che era in forno anche il capitolo numero 2 e che avrebbe diretto lui personalmente la pellicola. Riassumiamo: Darth Vader, Nicolas Cage in versione samurai, gente che si intende di film di combattimento e narrativa d’avventura e ha partecipato alla produzione di svariati blockbuster, nomi di richiamo per il mercato asiatico, location bellissime. Cosa poteva davvero andare male? Partiamo dalla trama.


Il giovane Darth Vader è un crociato che a seguito di un inaspettato rigurgito di coscienza per le “brutture delle crociate” va in Oriente, alla ricerca di un suo vecchio commilitone carismatico come Nicolas Cage che una volta gli ha detto: “quando vuoi vieni a trovarmi in Oriente. È un posto piccolo, prima o poi mi trovi per strada da qualche parte”. Certo avere un indirizzo sarebbe stato più carino, ma il giovane Darth Vader parte per “l’Oriente” e presto inizia a dedicarsi all’alcol e alla depressione. Finisce senza neanche capire come in una faida familiare in cui un matto principe asiatico vuole sterminare tutti i suoi fratelli per succedere al trono. Vader diventa guardia del corpo di uno dei “fratelli da eliminare“, trova un love-interest (per la bellissima Liu Yifei) e trova forse un po’ il suo posto nel mondo. Ma chi invece sembra aver fatto davvero centro è Cage, che si è creato nell’Oriente il suo personale esercito di predoni, ha vissuto una vita intensissima, si è pure fatto il codino da samurai e ora si fa chiamare “il fantasma bianco”. È così figo che ha pure una entrata in scene che pare Lando Calrissian nell’ultimo Star Wars. Riuscirà il giovane Vader a salvare la dinastia reale, se stesso, il mondo? Nel mentre un sacco di combattimenti a spadate contro crociati, guerrieri asiatici e predoni. 


La trama, al netto di alcune sfumature davvero interessanti, è storicamente gustosa seppur “vaga”, piuttosto lineare e familiare nella messa in scena di alcuni archetipi del wuxia (dai generali fedelissimi fino alla morte ai principi capricciosi, al classico underdog in cerca di redenzione), pecca forse di alcune lungaggini ma risulta funzionalissima ad un buon film di cappa e spada. Menare è una questione centrale e Powel dimostra di saper fare bene il suo storico lavoro di coordinatore di combattimenti. Outcast infatti decolla quando arrivano le scene d’azione, molto corpose e ben coreografate, dove sia Christensen che Cage che tutto il cast asiatico di stunt-man si dimostrano a proprio agio tra capriole, duelli e piogge di frecce. Tutti gli allenamenti con la spada laser si fanno sentire e Christensen è particolarmente bravo nelle pose, nelle proiezioni, negli affondi, nel tirare con l’arco, ma la sorpresa più grande è un Cage che, pure non sfoggiando un fisco da “zero per cento di massa grassa”,  quando gli si dà in mano uno spadone va in autentica estasi. Era successo nell’Ultimo dei templari di Dominic “Fuori in 60 secondi” Sena e qui si replica con gioia. Cage gioca un po’ su un modo di lottare e recitare a scatti, nelle intenzioni come nel celebre stile “dell’ubriaco”, sfoggiando un incedere indeciso e una bottiglia per quasi tutte le sue pose. È un po’ a livello trascendente come se avesse introiettato lo stile dell’ubriaco dalla sua interpretazione di un ubriaco da Oscar in Via da Las Vegas: un esempio plastico di quando l’arte marziale nasce e si evolve dall’arte recitativa. Si getta animo e corpo negli combattimenti uno contro venti, dà vita ad alcuni momenti in cui sa essere fragile quanto pericoloso, instabile quanto chirurgico negli affondi. Momenti tragici, umani e brutali, ma forse troppi risicati nel minutaggio finale. Se ne “vorrebbe di più” di questo strano “samurai ubriaco style” e per questo giustamente Cage tornerà sei anni dopo a brandire spade in Jiu Jitsu di Dimitri Logothetis.  


Quando non si menano le mani, Christensen purtroppo non riesce proprio a renderci simpatico il suo crociato, neanche quando è per esigenze di trama in zona da coma etilico, neanche quando è a fianco della bella Liu Yifei. Dicevamo di come Cage ci ha vinto un Oscar interpretando un alcolizzato innamorato, mostrandone la fragilità e l’impeto, l’auto distruzione e la malinconia. Christensen, che avrebbe dovuto studiarsi Via da Las Vegas a memoria, fa giusto per il suo crociato ubriaco l’aria imbronciata, per tutta la durata del film. Troppo poco. Cage dà corpo a un personaggio secondario, il “fantasma bianco”, che in poche scene tra paure e spavalderia trova umanità e redenzione. Christensen, nel ruolo del classicissimo eroe da cinema asiatico che ha reso grandi le carriere di attori anche non esperti di arti marziali come Chow Yun-Fet e  Nicholas Tse e (quello che durante la storia ha una evoluzione sia fisica che morale), rimane invece imbronciato, sempre imbronciato. Così continuamente imbronciato che il film necessitava di scene d’azione extra per sopperire e coprire di più  questo monolitico “fare l’imbronciato”. Alla fine della visione siamo così anche noi un po’ imbronciati, anche perché Cage, che quando è sulla scena se la divora, lo vediamo davvero per troppi pochi minuti e il resto del film, per questo assurdo “haydenchristencentrismo”, risulta al più abbastanza convenzionale, ben confezionato ma un po’ con il pilota automatico. Christensen si mangia “in negativo” tutta l’atmosfera e prosegue un po’ in sordina la stagione dei wuxia con attori occidentali, l’anno prima “inaugurata” dal non felicissimo 47 ronin con Keanu Reeves, ma che in seguito avrebbe portato a film molto godibili come Dragon Blade (con Jackie Chan, Adrien Brody e John Cusack) e The Great Wall (di Zang Yimou, con Matt Damon e Pedro Pascal). 

Ma le “botte” alla fine ci sono, l’ambientazione pure e anche un Nicolas Cage con spadone e codino da samurai. Outcast è, così sommando i pro e contro, un film divertente, anche se forse non diventa mai memorabile. Il produttore non ha ancora smentito l’idea di farne un sequel, anche se non ha dato aggiornamenti sulla questione da quasi 8 anni. Credo che in questo momento Hayden Christensen sia imbronciato. 

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