Chiariamolo subito, questo non è il
seguito/spin-off/prequel/newquel/requel de L’ultimo dei Templari. Quindi niente
streghe e Ron Perlman a questo giro e pure poco Cage, che viene relegato a un
ruolo di margine, pur gustosissimo, per il quale sfoggia un codino da samurai.
Questo film è comunque una pellicola in cui vediamo dei
crociati/templari/cavalieri roteare le spade, ma è più dalle parti del wuxia
che dell’horror e soprattutto è “l’Hayden Christensen show”, un film in cui
l’ex interprete di Darth Vader è mattatore semi-assoluto per la gioia
incontrastata di tutti i suoi fan. Fan che non credevo esistessero in numero
così cospicuo in Malesia, paese che ha potuto godere in anteprima, sei mesi
prima del resto del mondo, di questa stranissima coproduzione realizzata tra
America, Cina e Canadan. Ma tale scelta distributiva può anche essere
compatibile con il fatto che sia appunto un wuxia, genere di punta nei paesi
asiatici. Un wuxia girato in Oriente, tra Pechino e la regione del Yunnan,
arricchito da tante scene di lotta e un nutritissimo cast di attori asiatici,
tra cui Bozhao Wang (da noi visto di recente nel fantascientifico action
Bleeding Steel con Jackie Chan), Simon Chin (visto di recente in Snake Eyes e
nella serie tv di Snowpiercer), Fernando Chien (visto in Fast Five, Shag-chi,
Transcendence, la Mummia 3, nel Warrior con Nick Nolte e Tom Hardy), la
bella Liu Yifei (cantante e attrice molto famosa in patria, vista nel 2020 in
Mulan), Andy On (New Police Story, con Jackie Chan). Lo sceneggiatore è
uno specialista nell’adattamento di “romanzi d’avventura classici”, nel 2012 ha
realizzato una serie tv sui viaggi di Sinbad, nel 2014 insieme a questo Outcast
realizzerà una serie sui Tre moschettieri, nel 2016 una serie su Beowulf e nel
2019 sceneggerà anche alcune puntate della serie tv italiana ispirata alla
famiglia dei Medici. Le location, tra Pechino e Baoding, sono bellissime,
suggestive, piene di una natura rigogliosa, castelli e fortini accuratamente
ricreati. Molto belle le armature, bella la fotografia di Joel Ransom,
già direttore della fotografia di X-Files, Deep Rising e soprattutto di un
action come Pallottole Cinesi. Le musiche sono di Guillaume Roussel, che ha
collaborato nel dipartimento sonoro dei Pirati dei Caraibi. La pellicola è firmata
da Nick Powell, qui al suo esordio da regista ma già coordinatore di
stunt per film come Braveheat, Robin Hood principe dei ladri, Bourne Identity,
Il Gladiatore, L’ultimo samurai. Powell aveva tutte le carte in regola per
provare a dirigere oltre ai combattimenti anche ”un film intero a base di
combattimenti”, ma la forma di proporre al mercato asiatico uno stile di action
occidentale mischiando le maestranze sembra essere piaciuta subito ai
produttori. Al punto che uno di loro, Jeremy Bolt, aveva prodotto tutti i film
di Resident Evil di Paul W.S. Anderson e pure gli Underworld di Len
Wiseman, era così galvanizzato all’idea di un wuxia con Darth Vader che subito
si era messo a rilasciare dichiarazioni sul fatto che era in forno anche il capitolo
numero 2 e che avrebbe diretto lui personalmente la pellicola. Riassumiamo:
Darth Vader, Nicolas Cage in versione samurai, gente che si intende di film di
combattimento e narrativa d’avventura e ha partecipato alla produzione di
svariati blockbuster, nomi di richiamo per il mercato asiatico, location
bellissime. Cosa poteva davvero andare male? Partiamo dalla trama.
Il giovane Darth Vader è un crociato che
a seguito di un inaspettato rigurgito di coscienza per le “brutture delle
crociate” va in Oriente, alla ricerca di un suo vecchio commilitone carismatico
come Nicolas Cage che una volta gli ha detto: “quando vuoi vieni a trovarmi in
Oriente. È un posto piccolo, prima o poi mi trovi per strada da qualche parte”.
Certo avere un indirizzo sarebbe stato più carino, ma il giovane Darth Vader
parte per “l’Oriente” e presto inizia a dedicarsi all’alcol e alla depressione.
Finisce senza neanche capire come in una faida familiare in cui un matto
principe asiatico vuole sterminare tutti i suoi fratelli per succedere al trono.
Vader diventa guardia del corpo di uno dei “fratelli da eliminare“, trova un
love-interest (per la bellissima Liu Yifei) e trova forse un po’ il suo posto
nel mondo. Ma chi invece sembra aver fatto davvero centro è Cage, che si è
creato nell’Oriente il suo personale esercito di predoni, ha vissuto
una vita intensissima, si è pure fatto il codino da samurai e ora si fa
chiamare “il fantasma bianco”. È così figo che ha pure una entrata in scene
che pare Lando Calrissian nell’ultimo Star Wars. Riuscirà il giovane Vader a
salvare la dinastia reale, se stesso, il mondo? Nel mentre un sacco di
combattimenti a spadate contro crociati, guerrieri asiatici e predoni.
La trama, al netto di alcune sfumature
davvero interessanti, è storicamente gustosa seppur “vaga”, piuttosto lineare e
familiare nella messa in scena di alcuni archetipi del wuxia (dai generali
fedelissimi fino alla morte ai principi capricciosi, al classico underdog in
cerca di redenzione), pecca forse di alcune lungaggini ma risulta funzionalissima
ad un buon film di cappa e spada. Menare è una questione centrale e Powel
dimostra di saper fare bene il suo storico lavoro di coordinatore di
combattimenti. Outcast infatti decolla quando arrivano le scene d’azione,
molto corpose e ben coreografate, dove sia Christensen che Cage che tutto il
cast asiatico di stunt-man si dimostrano a proprio agio tra capriole, duelli e
piogge di frecce. Tutti gli allenamenti con la spada laser si fanno sentire e
Christensen è particolarmente bravo nelle pose, nelle proiezioni, negli
affondi, nel tirare con l’arco, ma la sorpresa più grande è un Cage che, pure
non sfoggiando un fisco da “zero per cento di massa grassa”, quando gli
si dà in mano uno spadone va in autentica estasi. Era successo nell’Ultimo dei
templari di Dominic “Fuori in 60 secondi” Sena e qui si replica con gioia. Cage
gioca un po’ su un modo di lottare e recitare a scatti, nelle intenzioni come
nel celebre stile “dell’ubriaco”, sfoggiando un incedere indeciso e una
bottiglia per quasi tutte le sue pose. È un po’ a livello trascendente come se
avesse introiettato lo stile dell’ubriaco dalla sua interpretazione di un
ubriaco da Oscar in Via da Las Vegas: un esempio plastico di quando l’arte
marziale nasce e si evolve dall’arte recitativa. Si getta animo e corpo negli
combattimenti uno contro venti, dà vita ad alcuni momenti in cui sa essere
fragile quanto pericoloso, instabile quanto chirurgico negli affondi. Momenti
tragici, umani e brutali, ma forse troppi risicati nel minutaggio finale. Se ne “vorrebbe di più” di questo strano “samurai ubriaco style” e per questo
giustamente Cage tornerà sei anni dopo a brandire spade in Jiu Jitsu di Dimitri
Logothetis.
Quando non si menano le mani,
Christensen purtroppo non riesce proprio a renderci simpatico il suo crociato,
neanche quando è per esigenze di trama in zona da coma etilico, neanche quando
è a fianco della bella Liu Yifei. Dicevamo di come Cage ci ha vinto un Oscar
interpretando un alcolizzato innamorato, mostrandone la fragilità e l’impeto,
l’auto distruzione e la malinconia. Christensen, che avrebbe dovuto studiarsi
Via da Las Vegas a memoria, fa giusto per il suo crociato ubriaco l’aria
imbronciata, per tutta la durata del film. Troppo poco. Cage dà corpo a un
personaggio secondario, il “fantasma bianco”, che in poche scene tra paure e
spavalderia trova umanità e redenzione. Christensen, nel ruolo del
classicissimo eroe da cinema asiatico che ha reso grandi le carriere di attori
anche non esperti di arti marziali come Chow Yun-Fet e Nicholas Tse e (quello che durante la storia ha una evoluzione sia fisica che morale), rimane invece imbronciato, sempre imbronciato. Così continuamente imbronciato
che il film necessitava di scene d’azione extra per sopperire e coprire di
più questo monolitico “fare l’imbronciato”. Alla fine della visione siamo
così anche noi un po’ imbronciati, anche perché Cage, che quando è sulla scena
se la divora, lo vediamo davvero per troppi pochi minuti e il resto del
film, per questo assurdo “haydenchristencentrismo”, risulta al più abbastanza
convenzionale, ben confezionato ma un po’ con il pilota automatico. Christensen
si mangia “in negativo” tutta l’atmosfera e prosegue un po’ in sordina la
stagione dei wuxia con attori occidentali, l’anno prima “inaugurata” dal non
felicissimo 47 ronin con Keanu Reeves, ma che in seguito avrebbe portato a film
molto godibili come Dragon Blade (con Jackie Chan, Adrien Brody e John Cusack)
e The Great Wall (di Zang Yimou, con Matt Damon e Pedro Pascal).
Ma le “botte” alla fine ci sono, l’ambientazione pure e anche un Nicolas Cage con spadone e codino da samurai. Outcast è, così sommando i pro e contro, un film divertente, anche se forse non diventa mai memorabile. Il produttore non ha ancora smentito l’idea di farne un sequel, anche se non ha dato aggiornamenti sulla questione da quasi 8 anni. Credo che in questo momento Hayden Christensen sia imbronciato.
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