giovedì 24 giugno 2021

Storm Boy - la nostra recensione

 


In una zona costiera dell’Australia del sud, nei pressi di una casetta sperduta a qualche miglia di barca da un piccolo paesino di pescatori, un tempo viveva un uomo, Tom “l’isolato” (Jai Courtney), insieme a suo figlio, il “ragazzo della tempesta“ (Finn Little). Questo curioso soprannome, “Storm Boy” venne dato al ragazzo da Bill Ditaossute (Trevor Jamieson), un vecchio aborigeno australiano che da tempo inenarrabile difendeva i pellicani della costa dai cacciatori. Per le storie tramandate a Ditaossute dai suoi antenati, la vita di un pellicano è legata all’arrivo di una tempesta e durante un giorno di tempesta il ragazzo era intervenuto per salvare la vita di tre piccoli pellicani, rimasti orfani dopo che la madre era stata uccisa dai cacciatori. “Storm Boy” li porta a casa e decide di crescerli insieme al suo scorbutico ma dolce papà. Impara da Ditaossute come dargli da mangiare, tritando il pesce con il motore della barca e servendolo semiliquido in provette. Impara a trattarli come animali di compagnia, al punto che i tre pellicani iniziano a girare per il villaggio di pescatori come mascotte locali. Imparerà  un modo per insegnargli a volare e ritornare nel branco dei pellicani e questa sarà la sfida più grande. Quella che lo farà sentire di nuovo solo, dopo averlo reso “adulto”. Ben presto i tre piccoli pellicani riusciranno a volare, ma uno di loro, Mister Percival, forse un giorno tornerà a trovarlo. Sono passati molti anni e Storm Boy (Geoffrey Rush) è diventato un uomo anziano e di successo, quando all’improvviso sente arrivare, dall’alto del suo palazzo, una forte tempesta. Una sorta di grido, che lo riporterà, insieme alla sua nipotina Madeline (Morgana Davies), sulla costa dei pellicani della sua infanzia. 

Shaun Seet, regista dello sperimentale e premiato serial poliziesco Underbelly, adatta il libro omonimo di Colin Thiele, una favola non troppo distante per temi dal tenero La Gabbianella e il gatto di Sepulveda. Si parla di “famiglia incrinata" e della necessità  di ricostruirla in assenza di una figura materna. Si parla della natura selvaggia come corretto ambiente di cura dell’animo umano ferito, come della impossibilità di non potersi isolare per sempre dal mondo e della “circostanza dolorosa“ di crescere, lasciare il nido e imparare a volare. Fino a quando non si è adulti e si viene costretti allo stesso modo a dover lasciare liberi i propri figli di prendere la loro strada. 

Storm Boy usa parole semplici e metafore chiare. Ci culla con la leggerezza della colonna sonora di Alan John. Ci riempie gli occhi con i paesaggi assolati e tranquilli del direttore della fotografia Bruce Young. Funziona bene ed è “radioso” nella parte dell’infanzia di Storm Boy, grazie all’alchimia che si crea tra il piccolo protagonista, il padre, i pellicani e il misterioso e sciamanico Ditaossute. Diventa crepuscolare e malinconico nella narrazione di Storm Boy da adulto, dove anche il cielo si riempie spesso di nuvole. Funziona un po’ a singhiozzo sulla tre quarti di durata, dove il pellicano Mister Percival viene coinvolto in imprese “eroiche” a metà tra il commissario Rex e il delfino Flipper. Ma è una parte che piacerà di sicuro ai più piccoli.

Storm Boy è una piccola fiaba sull'amicizia di un bambino con dei pellicani, che arriva con passo gentile al cinema, dopo essere stata posticipata a lungo per via della pandemia. È un’occasione per vedere un film in famiglia, soprattutto se con bambini piccoli, sognando un giorno di vedere da vicino quelle straordinarie coste australiane piene di pellicani, che ne fanno da magnifico scenario. 

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