In una zona costiera dell’Australia del
sud, nei pressi di una casetta sperduta a qualche miglia di barca da un piccolo
paesino di pescatori, un tempo viveva un uomo, Tom “l’isolato” (Jai
Courtney), insieme a suo figlio, il “ragazzo della tempesta“ (Finn Little).
Questo curioso soprannome, “Storm Boy” venne dato al ragazzo da Bill Ditaossute
(Trevor Jamieson), un vecchio aborigeno australiano che da tempo inenarrabile
difendeva i pellicani della costa dai cacciatori. Per le storie tramandate a
Ditaossute dai suoi antenati, la vita di un pellicano è legata all’arrivo di
una tempesta e durante un giorno di tempesta il ragazzo era intervenuto per
salvare la vita di tre piccoli pellicani, rimasti orfani dopo che la madre era
stata uccisa dai cacciatori. “Storm Boy” li porta a casa e decide di crescerli
insieme al suo scorbutico ma dolce papà. Impara da Ditaossute come dargli da
mangiare, tritando il pesce con il motore della barca e servendolo semiliquido
in provette. Impara a trattarli come animali di compagnia, al punto che i tre
pellicani iniziano a girare per il villaggio di pescatori come mascotte locali.
Imparerà un modo per insegnargli a volare e ritornare nel branco dei
pellicani e questa sarà la sfida più grande. Quella che lo farà sentire di
nuovo solo, dopo averlo reso “adulto”. Ben presto i tre piccoli pellicani
riusciranno a volare, ma uno di loro, Mister Percival, forse un giorno tornerà
a trovarlo. Sono passati molti anni e Storm Boy (Geoffrey Rush) è diventato un
uomo anziano e di successo, quando all’improvviso sente arrivare, dall’alto del
suo palazzo, una forte tempesta. Una sorta di grido, che lo riporterà, insieme
alla sua nipotina Madeline (Morgana Davies), sulla costa dei pellicani della
sua infanzia.
Shaun Seet, regista dello sperimentale e
premiato serial poliziesco Underbelly, adatta il libro omonimo di Colin Thiele,
una favola non troppo distante per temi dal tenero La Gabbianella e il gatto di
Sepulveda. Si parla di “famiglia incrinata" e della necessità di
ricostruirla in assenza di una figura materna. Si parla della natura selvaggia
come corretto ambiente di cura dell’animo umano ferito, come della
impossibilità di non potersi isolare per sempre dal mondo e della “circostanza
dolorosa“ di crescere, lasciare il nido e imparare a volare. Fino a quando non
si è adulti e si viene costretti allo stesso modo a dover lasciare liberi i
propri figli di prendere la loro strada.
Storm Boy usa parole semplici e metafore
chiare. Ci culla con la leggerezza della colonna sonora di Alan John. Ci riempie
gli occhi con i paesaggi assolati e tranquilli del direttore della fotografia
Bruce Young. Funziona bene ed è “radioso” nella parte dell’infanzia di Storm
Boy, grazie all’alchimia che si crea tra il piccolo protagonista, il padre, i
pellicani e il misterioso e sciamanico Ditaossute. Diventa crepuscolare e
malinconico nella narrazione di Storm Boy da adulto, dove anche il cielo si
riempie spesso di nuvole. Funziona un po’ a singhiozzo sulla tre quarti di
durata, dove il pellicano Mister Percival viene coinvolto in imprese “eroiche” a
metà tra il commissario Rex e il delfino Flipper. Ma è una parte che piacerà di
sicuro ai più piccoli.
Storm Boy è una piccola fiaba sull'amicizia di un bambino con dei pellicani, che arriva con passo gentile al
cinema, dopo essere stata posticipata a lungo per via della pandemia. È
un’occasione per vedere un film in famiglia, soprattutto se con bambini
piccoli, sognando un giorno di vedere da vicino quelle straordinarie coste
australiane piene di pellicani, che ne fanno da magnifico scenario.
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