giovedì 10 giugno 2021

I profumi di madame Walberg - la nostra recensione del film di Gregory Magne


Esiste una misteriosa professione in cui eccellono persone dalla spiccata sensibilità olfattiva. Li chiamano “nasi”. I nasi sono esperti di profumi e odori e operano per “normalizzare” un prodotto o un ambiente a quello che viene percepito come un livello olfattivo comunemente  “accettabile”. Se nei supermercati odierni, quando mettono le scarpe vicino al reparto pesce per una misteriosa tradizione pagana che risale all’alba dei tempi, non si sente più quel particolare e “avvincente” afrore, probabilmente è opera di un “naso”. Dalle creazione di fragranze per addolcire gli aromi di borse in pelle allo studio di sistemi di ventilazione, passando fino all’urbanistica e alla riqualificazione industriale, un “naso” opera all’interno di molteplici realtà ed è molto ambito. Certo per essere un “naso” serio bisogna vivere dentro profumi e puzze tutto il giorno, con il rischio di sviluppare uno specifico quanto complicato problema su come gestire gli odori a livello professionale quanto nella vita di tutti i giorni. Allo specifico “naso” protagonista della pellicola si aggiunge un poco edificante stress psicologico, dovuto a un recente quanto cocente fallimento lavorativo e ad una possibile malattia professionale cronica che inficerebbe la sua capacità di riconoscere gli odori. La nostra protagonista (Emanuelle Devos), Madame Walberg, è infatti nientemeno che la creatrice di un profumo di punta di casa Versace, pubblicizzato da Charlize Theron, che si vede nei cartelloni di tutto il mondo. Ma la vita l’ha condotta a diventare ora un “naso”. 

Un giorno il “naso”, che ha un po’ di problemi nel gestire le relazioni interpersonali, viene affidato alle cure di un autista e “accompagnatore tuttofare” (Gregory Montel). Un ometto volenteroso ma un po’ spiantato, con i cocci di un matrimonio da raccogliere, una figlia da crescere, troppe multe alle spalle. A fare da carico da novanta, sul nostro eroe grava il giudice della separazione, che si rifiuta di concedergli di vedere i suoi figli nei weekend se non prende una abitazione più grande per permettere una “cura adeguata della prole”. Per questo il nuovo incarico, che da subito si presenta come particolarmente ben pagato, sembra la soluzione a molti dei problemi dell’autista, ma riuscirà a gestire una persona abbastanza complicata come Madame Walberg? Riusciranno i due a imparare conoscersi, sopportarsi e forse diventare soci?



Che bel lavoro quello del “naso”! È un po’ un detective, un po’ uno scienziato, un po’ un artista. La malinconia e ironia di Madame Walberg ne fa quasi una sorta di Sherlock Holmes, con l’autista che subito diventa il prode Watson. Quando il dinamico duo interviene sulla scena di una “puzza”, si trascinano dietro questa fantastica valigia metallica carica di boccette di essenze. È poi tutto un susseguirsi di nomenclatura scientifica sulla natura di un odore e sul suo possibile “contrasto”. Poi arrivano i battibecchi, poi si arriva a fantasticare e ricercare i “sapori dell’anima”, dal legno di una casa di campagna che si frequentava nell’infanzia al profumo di un detergente per le mani che andava di moda negli anni ‘80. Davvero interessanti e profonde le riflessione sulla cera d’api e sul profumo dell’erba appena tagliata. È una narrazione altamente “sensoriale“ quindi, che voglio idealmente avvicinare alle imprese del detective culinario del fumetto Chew di Layman e Guillory. Cinema da annusare, fumetti da mangiare. Ideali in un periodo storico in cui dobbiamo tornare a riconoscere il profumo delle cose, dopo troppo autoconfinamento domestico, mascherine e gel igienizzanti. Ma il film possiede anche un’anima ulteriore, centrale, che posiamo legare agli effetti economici legati alla crisi sanitaria e economica che ha travolto questi ultimi mesi. Si parla della difficoltà di accettare una menomazione improvvisa. Si parla della difficoltà, e della gioia, di sapersi reinventare “nonostante tutto”. Il film decide qui di essere “pragmatico”, lesinare i  sentimentalismi, andare al cuore dei problemi. Un approccio alla vita diretto, quasi clinico, che al contempo è la cifra originale della narrazione della pellicola, che ogni tanto quando serve riesce comunque a commuovere attraverso le immagini e il montaggio. Come nella scena della gita al mare sotto la pioggia, che riesce a raccontare con garbo e sintesi un intero caleidoscopio di sentimenti.

Molto bravi gli attori. Un film originale per tornare in sala dopo tanto tempo. 

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