venerdì 9 aprile 2021

Skullgirls 2nd Encore è ancora vivo e lotta con noi

 

(Premessa) Dopo anni di silenzio torna a far parlare di sé uno dei più interessanti e fieramente indipendente picchiaduro “vecchia scuola”. Un titolo tecnico e visivamente irresistibile, a base di combattimenti tra infermiere-ninja, gatte-zombie, ragazze con tentacoli, suore con l’appeal della “Cosa” di Carpenter, strumenti musicali umani, cartoni animati sadici, mummie egizie, agenti segreti, danzatrici con indumenti nerboruti, robot kawai e immancabili eroi norreni esperti di wrestling. Ma da dove arriva tutto questo helzapoppin adorabile? Cosa è previsto per il futuro? Chi ancora non si è unito alle schiere adoranti di Skullgirls, sa a cosa andrà incontro? 

Facciamo un salto indietro di qualche annetto. 

(Un po’ di amarcord dell’ultima era delle sale giochi - lettura opzionale, saltare se non interessati) C’è stato un tempo in cui i picchiaduro bidimensionali regnavano quasi incontrastati sulle terre videoludiche “pubbliche”, le sale giochi, insegnando alle vecchie e nuove generazioni la “nobile arte” dello Street Fighting virtuale. Che ponessero il giocatore davanti a ondate di nemici da abbattere “per salvare il mondo dai cattivi”, come in Golden Axe, o lo facessero partecipare a tornei di arti marziali “gestite da organizzatori cattivi”, i picchiaduro distanziavano i platform alla Rainbow Island quanto gli sparacchini alla R-type, i giochi con il volante come Super Off Road quando, qualche volta (raramente), farsi preferire pure a Gals Panic! Certo poi in sala rimanevano seguitissimi i giochi alla NBA Jam e ovviante il calcio in ogni sua forma, ma questo era inevitabile, endemico nell’accezione di “italico”. Sta di fatto che il genere picchiaduro era riuscito, nella sua “golden age”, anche in ragione degli immensi ritorni economici, ad arrivare a vette artistiche quanto ludiche inimmaginabili. Il lavoro di case come Capcom e SNK, alzava sempre più l’asticella audio e video, introduceva nuove meccaniche, spingeva sempre più sull’agonistico. Poi lo spazio delle macchine da gioco a tema “picchia picchia” iniziò a popolarsi delle prime, visivamente orribili ma a loro modo affascinanti, “schifezze in tre dimensioni” di Sega. Questa tecnologia portava un approccio del tutto diverso al gaming a base di arti marziali. La fluidità, la “leggibilità” dei movimenti e il granitico gameplay frutto del genio di Yu Suzuki, fecero cadere l’occhio di milioni di persone sui cubettosi combattenti di arti marziali “standard“ e dalla caratterizzazione appena accennata di Virtua Fighter, distanti anni luce dalla coolness di un Ryu Hoshi, un Andy e Terry Bogart o del nuovo “arrivato in sala”: Dimitri Maximoff. Maximoff venne messo da parte insieme agli altri combattenti di quel picchiaduro a base di vampiri, lupi mannari, zombie e alieni dal titolo roboante di Darkstalkers,  sontuoso tanto per il lato tecnico curato dal veterano Junichi Ohno, quanto per il lato artistico curato dalla leggenda Akira “Yas” Yasuda. Solo che Ohno esprimeva l’evoluzione finale e più estremizzata di un genere codificato in anni che Suzuki stava innovando e riscrivendo alla luce di una nuova prospettiva. Si stavano “semplificando” le sacre regole di ingaggio che da International Karate plus si erano presto evolute ad  uno “standard Fantasy” a base di palle di fuoco e braccia che si allungavano, in ragione di una riscoperta della lotta virtuale dal sapore “simulativo”, più vicina ai movimenti dei combattenti umani. La velocità dell’azione a schermo, diventata negli anni sempre più “turbo”, per assecondare i riflessi evoluti dei giocatori professionisti, “frenava”, con i primi processori 3d che di fatto non riuscivano ad essere altrettanto veloci, ma che anche per questo facevano apparire i movimenti dei combattenti più “realistici e intellegibili”, più “correttamente lenti”. Coesistevano quindi due filosofie di picchiaduro distinte, con la più sviluppata e antica che stava calando di appeal per seguire i giocatori più esperti, con un’altra, diversa, che stava avvicinano un nuovo pubblico. Certo la “colpa” era anche di Darkstalkers e i suoi “ coin-op fratelli”, giochi picchiaduro vecchia scuola ma 2.0 se non 3.0 o 4.0, in cui anche le più semplici strategie di attacco corpo a corpo venivano rese ancora più astratte e roboanti, da un Yas in vena di trasformare la pixel art in cartone animato. Così un calcio, un pugno, una presa e una parata standard, nell’ottica di una lettura sempre più raffinata e automatica degli schemi di attacco ravvicinato o a distanza da parte dei player, venivano sostitute dagli “equivalenti”: attacco con arto-zombie mutato in motosega, colpo con mitragliatrice uzi della nonna di Cappuccetto Rosso, bacio succhiasangue del vampiro, evocazione del sarcofago protettivo della mummia. Proprio per il fatto di essere frenetico quasi più di uno sparatutto, pieno di mosse astratte da eseguire, raggi e barre energetiche misteriose da riempire, Darkstalkers era “troppo strano” per il giocatore medio. Bellissimo da vedere ma più vicino a un cartone animato alla Dragon’s Lair, anche se molto più giocabile e comunque “leggibile” con un po’ di esperienza. Poi la ruota è tornata a girare, la “luna di miele” per la nuova tecnologia è finita e anche i nuovi giochi 3d, passato l’effetto novità, vennero a loro volta percepiti come ostici e  ultra tecnici. E l’assurdo era proprio che Virtua e i suoi fratelli erano già dall’inizio ostici, tanto per i comandi della nuova telecamera virtuale che per l’approccio simulativo “spinto” alla base di ogni colpo, ma gli si perdonava quasi tutto “Per la grafica”. Tra i giocatori il dibattito era tipo: “oh, io non ci metto i soldi in quella roba senza senso (Darkstalkers) che pare di stare al circo!! Io faccio arti marziali e Virtua (fighters) è fedele, vero, arti marziali pure!! Ed è giusto che sia difficile fare quella mossa perché io per impararla ci ho messo 3 mesi, viva il treddi!!!”.

Darkstalkers: resurrection per PS3


In effetti diventare esperti nei picchiaduro, bidimensionali o tridimensionali, era tosto. Serviva avere a casa il titolo ed era ai tempi un’opzione non praticabile, a meno di possedere una conversione del cabinato molto buona. Cosa che era rara, sia in termini di velocità che di comandi, e quindi non ad appannaggio di tutti i computer o console. Oppure serviva avere un costosissimo Neo Geo con le sue ultra-costosissime cartucce, che alcuni temerari pagavano facendo i doppi lavori d’estate. La “sepoltura definitiva” delle botte bidimensionali arrivò così con Street Fighter 3. Il picchiaduro 2d a livello tecnico e artistico forse più bello di sempre, frutto del fantomatico processore CPS3 da sala giochi, che veniva supportato/relegato a livello domestico solo dal processore Naomi del Dreamcast. Il Dreamcast era una macchina cara, che non aveva nessuno in Occidente, oltre che difficile da programmare. La “coetanea” PlayStation, macchina economica e facilissima da programmare, rinunciava alle skills tecnologiche 2d del CPS3/Naomi per far girare i picchiaduro bidimensionali più da urlo, preferendogli una cpu grafica in grado di masticare poligoni. In sala giochi e su Dreamcast escono Marvel Vs Capcom, Marvel vs Snk, Street Fighters 3d Strike, su Neo Geo arrivano Last Blade e Garoo, King of Fighters è amatissimo, ma è tutto inutile. È la fine, gli amanti dei picchiaduro bidimensionali iniziano a estinguersi insieme alle sale giochi che chiudono e all’impero di SNK che crolla. Crolla Dreamcast, quando è ancora incompresa e poco diffusa. Sopravvive nell’era PSX solo un piccolo manipolo di duri e puri amanti del picchiaduro 2d, negli anni supportati “in endovena” dai pochi ma amatissimi prodotti Arc System Plus (Guilty Gear o il picchiaduro di Hokuto no Ken) o dalle “eccezioni meritevoli” dalla sempre meno prolifica Capcom (JoJo, Pocket Fighters, Street Fighters alpha 3). Fu la “grande toppata di Capcom” secondo Shinji Mikami, autore che avrebbe però traghettato la fama di Capcom su altri lidi con Resident Evil. Nascono leggende urbane di gente che negli anni 2000 si è trasferita in Giappone per godere nelle sale giochi di Street Fighters 3 Third Strike, lavorando sottopagati ma senza dover aspettare che vent’anni dopo il titolo uscisse in una collection ufficiale, e non importata, per PS4. Poi tutti si sono accorti dei limiti della grafica 3d “estesa” per i picchiaduro, come il fatto che girare intorno all’avversario per schivare era poco divertente, salvo che in Soul Calibur di Namco. Girare intorno all’avversario in ambiente 3d esteso, come si ostinano a fare tuttora molti giochi di stampo Anime, faceva sembrare i picchiaduro (anche quelli più riusciti) più vicini al gioco della “acchiapparella”. 

Acchiappami! (Soul CAlibur 6)


Cosi c’è stato un significativo ritorno alle meccaniche del picchiaduro bidimensionale, pur con “sviluppo estetico” in ambiente tridimensionale. Di questo aspetto fu precursore, all’epoca isolato, la saga di Tekken del mitico Harada, che provò nel quarto capitolo a volgersi 3d esteso ma poi ci ripensò. Grazie a Tekken possiamo oggi godere della soluzione videoluduca  “2D e mezzo”, quella degli ultimi Street Fighters (dal 2008) e Mortal Kombat (dal 2011 ). Nel frattempo, dai secoli bui all’era PlayStation3  Arc System rilanciava con Guilty Gear di Daisuke Ishiwatani, non a caso con passato nei bidimensionali SNK, e Blazblue di Toshimiki Tori, legato ai franchise di botte bidimensionali di Double Dragon e River City. Questi guru, insieme a pochi sparuti studi giapponesi di animo indie tipo Examu, Ecole, French Bread, Type-Moon, hanno fieramente ripreso la linea dei picchiaduro “a cartone animato”, in memoria di Darkstalkers e Street Fighters 3, disegnati ancora ardimentosamente a “mano bidimensionale”. Certo erano prodotti che uscivano dal Giappone una volta su 10, spesso facendo conto su progetti vicini all’animazione giapponese ed eroici importatori, ma che quando capitava sapevano trovare il loro vecchio pubblico di giocatori vecchietti, magari ancora assopito ma battagliero. Un po’ lo stesso pubblico di Golden Axe e Tower of Doom che avrebbe accolto, a fine era ps3, a braccia aperte e tante lacrime il Dragon’s Crown di Vanillaware. Con John Kamitani dietro sia a Tower of Doom che a Dragon’s Crown (se non lo avete recuperatelo in versione “pro” sui vari formati). Vanillaware e Arc System, come gli altri discepoli del pensiero bidimensionale, oggi di fatto impiegano in vari lavori anche prospettive di grafica 2D e mezzo, pur “a modo loro”: gli scheletri delle animazioni e dei livelli di gioco nascono in animazione tridimensionale, come in Tekken, per poi passare alla “ricopertura bidimensionale”, che avviene con disegni classici eseguiti a mano o elaborazioni artistiche del cell shading, strumenti volti a dare l’appeal della pixel-art capcomiana 2.0. Parliamo ovviamente degli ultimi Guilty Gear Xrd e Strive o del Dragon Ball Fighterz di sua santità Tomoko Hiroki, ma è un tema sul quale vi abbiamo intrattenuto già altrove. Torniamo però a quei giochi picchiaduro 2d dell’era Arc System prima maniera, a quel clima da sale giochi ancora mezze aperte nelle nostre città, ai titoli come Marvel vs Capcom e Darkstalkers dell’era CPS3/Naomi e troviamo facilmente, un po’ giocatori e un po’ eredi dei picchiaduro di SNK e Capcom, proprio i creatori di Skullgirls. Skullgirls che ancora oggi fa parlare di sé, come tutti quei gloriosi picchiaduro del passato che oggi potete trovare facilmente emulati su console e Pc.

Dragon's Crown Pro (PS4)


(Skullgirl: Fatto da appassionati delle sale giochi  per appassionati delle sale giochi) Skullgirls è uscito nel 2012, esce ancora con un Season Pass che è già pianificato inizi su tutti i formati a maggio 2021, ma i lavori iniziano di fatto intorno al 2007, con il disegnatore Alex Ahad che pensa a questi personaggi già dai tempi del liceo. La voglia di mettere su uno studio di videogame e conquistare il mondo parte perché Alex incontra Mike “Mike Z” Zaimont, un campione dei picchiaduro giapponesi (partito con gli Street Fighters, approdato ai Marvel vs Capcom e oggi campione di Blazblue), uno che “vince i tornei” in giro per il mondo quando in Italia pensavamo solo fossero cose che esistevano nel film Il piccolo grande mago dei videogame di Todd Holland, del 1988. Mike, che spesso su internet parla tutt’oggi con trasporto dei picchiaduro, come se Blanka fosse più espressivo di un pezzo dei Clash, svela ad Alex tutti i segreti e l’infinito amore che risiede dietro alla creazione di questi prodotti. La filosofia del colpo a mezzaluna che mima sul joystick (la “leva della gioia... scusate, mi perdo in romanticismi...) la tecnica di Wolverine in Marvel vs Capcom, dall’atto di accucciarsi a protendere gli artigli in avanti. Il cerchio a 360 di T.Hawk per afferrare l’avversario e rotearlo in aria in Super Street Fighter. Il caricarsi dal basso per due secondi di Guile di Street Fighters II, per darsi la spinta prima di lanciarsi in aria con un calcio rotante. I due si trovano, la poesia del picchiaduro bidimensionale scorre in loro, si convincono e insieme a qualche amico mooolto talentuoso, mettono su uno studio americano di videogame. Dopo le prime prove tecniche del 2008 e uno studio del motore grafico nel 2009 su impronta del Cps3, l’avventura del dinamico duo parte per davvero nel 2010 sotto la label “Reverge Lab”, un piccolo studio indipendente, prodotto dall’etichetta Autumn Games. Reverge Lab conta poco più di una decina di membri, ma è ricolmo di amore e passione infinita per il disegno tradizionale a mano, i picchiaduro e in genere tutto quello che è giapponese, da Gundam a Evangelion passando per Sailor Moon, ma con una certa passione (che nasce da Alex) anche per Burton e Mike Mignola. Come frequente in quel periodo, si dedicano alla grafica in ambiente Flash per iniziare a fare le prime prove di un picchiaduro 2d vecchia scuola. Come capita un po’ a tutti, esordiscono però con tutt’altro, un gioco karaoke sulla Scena Rap Americana, la Def Jam, ma poi trovano tutto il tempo che vogliono per dedicare gli anni a venire al loro picchiaduro, Skullgirls. Skullgirls, per fare un esempio più recente, sta idealmente a Darkstalkers di Capcom come Cuphead sta a Contra di Konami... e potrebbero quasi essere ambientati nello stesso mondo. 



Skullgirls gode di animazioni fantastiche e progettate nei dettagli In grado di rendere vivi i disegni “da liceo” di Alex. Le animazioni di ogni singolo personaggio  fin da subito appaiono più numerose, più di qualità, più ricche e dettagliate di quelle riservate ai prodotti analoghi giapponesi del periodo. Dal taglio quasi sinistro di alcuni di questi disegni, esplorabile al meglio solo per chi sa soffermarsi frame by frame sulle animazioni, emergono ancora più nettamente le contrapposizione tra l’aspetto esteriore dei personaggi (che in superficie omaggia lo stile noir e l’animazione di inizio ‘90, quanto le maghette tetre di Puella Magi Madoka Magica) e la natura “disturbante”, pur satirica, che emerge dei dettagli più sfuggenti che li animano. Uno stile creepy e sessualizzato, da animazione per adulti, che potremmo idealmente avvicinare  quasi di al Don Bluth di Cool World, variante adulta di Chi ha incastrato Roger Rabbit che la storia del cinema ha un po’ dimenticato. Uno stile che ha portato un po’ di problemi con la censura, al punto da dover essere limato, ma che a tutt’oggi dona ai personaggi una personalità unica, strabordante. Vi invito a cercare su YouTube i video frame by frame di Double o Eliza, per apprezzare lo straordinario lavoro espressivo dei grafici di Zero Lab 


Il gioco possiede un gameplay sfidante ma non frustrante, veloce e performante, frutto e sintesi della passione di Mike per la tecnica più cartoon di Capcom (molto Darkstalkers) e più kawai di SNK (molto Waku Waku 7), tanto nelle meccaniche di combattimento quanto nella possibilità di configurare i combattimenti contro gruppi da 1 a 3 personaggi (sullo stile della serie Marvel vs Capcom). Il cast delle eroine è ristretto all’inizio a 8 (+boss) anche perché la produzione è indipendente e il lavoro su ogni character immane e non riciclato. Ma il cast, davvero “molto Darkstalkeriano”, risulta vario, affascinante e “burtonianamente” stralunato. Il giocatore può muoversi tra scenari elegantemente vintage da Chicago anni '20 tra strade del centro, musei di storia e Night club, passare per ambientazioni steampunk come enormi dirigibili e laboratori pieni di ampolle e luci colorate. Può finire nelle classiche atmosfere scolastiche tra banchi di scuola e parchi autunnali, per arrivare a quadri apocalittici da fine del mondo, carichi di crateri, fulmini, tempeste, chiese maledette. Tutti ambienti coloratissimi e dettagliati che proprio nei dettagli raccontano delle storie, con personaggi sullo sfondo che presto potrebbero essere inseriti nel gioco o che di fatto compiono un ruolo attivo nella modalità storia. Scenari che possono essere scelti in fasi diurne e notturne, accompagnati da una colonna sonora frutto di uno spettacolare mix accattivante che spazia dai fiati dell’acid  jazz ai cori e organi “da film horror”, passando ai tamburi tribali. Le eroine con cui possiamo “combattere” sono ragazzine più o meno “sfortunate/eroiche”, spesso scolarette (da cui il gioco di parole tra Skullgirls e school girls) il cui corpo è zombificato o fuso con dei mostri, artificiale o maledetto, spesso mutante in forme terribili, tentacolari o metalliche. Non mancano però epigoni di Robocop e rappresentati di una forza militare non dissimili agli ispettori di Tokyo Ghoul, ma sono per la maggior parte piccole freak in cerca di vendetta, esperimenti da laboratorio finite male ed epigoni di Venom, che starebbero benissimo in un’opera di Tim Burton o Guillermo Del Toro, abitanti in un mondo folle, retro/splatter/dissacrante, ma che si può stemperare proprio grazie alla forte ironia che trasuda dalla narrazione e stile grafico. 



Un mondo sopra le righe diverso per epoca ma molto simile a quello di Darkstalkers, dove tutti i personaggi godono di enormi animazioni, volti spesso caricaturali e mosse ultra-eccentriche che puntano a deformare, stiracchiare, contorcere e far esplodere in mille proiettili e gadget stralunati ogni loro azione su schermo. Arc System e Konami hanno distribuito in oriente Skullgirls e le musiche hanno goduto dell’arte di Michiru Yamane, la compositrice di Castlevania. Dal 2012 a oggi Skullgirls, si è aggiornato con nuovi contenuti alla versione Encore all’epoca di Ps3 e poi alla 2nd Encore per il suo adattamento a PsVita e Ps4. È rimasto giocabile in cross-play da tutte le varie piattaforme e versioni dal 2012, passando le generazioni videoludiche rimanendo sostanzialmente invariato ma incrementando a 15 le combattenti giocabili, ha venduto quasi 2 milioni di copie. Il gioco partecipa tuttora agli eventi internazionali legati al gaming, tra cui il torneo Evo (recentemente sospeso per una storiaccia), in Giappone nel 2015 ha ottenuto un proprio cabinato da sala giochi (capitano solo in Giappone queste cose...) ed è fino a oggi così seguito che le fan Art, i fumetti, spin-off vari (tra cui il recente fumetto Skulldudes) e i cosplay, dedicati alle protagoniste e al mondo del titolo, riempiono ogni mostra del fumetto e siti internet dedicati. Reverge Lab nel tempo ne ha passate di tutti i colori, e con lei Skullgirls. La piccola Software House di Alex Ahad e Mike Z si è trasformata in “Lab Zero games”, si è staccata da Konami e Autumn, poi ha dovuto fermarsi. Poi è risorta con il crownfunding, si è riunita ad Autumn, ha stretto un nuovo sodalizio con Hidden Variable per la versione di Skullgirls su Mobile. Ora, roba di pochi giorni fa, dopo essere falliti come Zero Lab, moltissimi dei programmatori hanno fondato la neonata Future Club e si occupano insieme a Hidden Variable della Stagione 1 dei nuovi dlc di Skullgirls. Insomma, è successo un casino dal 2012 fino quasi a ieri, metà marzo 2021. Nel mezzo, più o meno dal 2012 fino a ottobre 2020, Zero Lab realizza l’ottimo metroidvania “Indivisible”, sempre con i disegni di Alex Ahad, che nel frattempo è esploso a livello internazionale e ha trovato il tempo per occuparsi anche del platforn Shantae di Wayfoward Tecnologies. 

Indivisible


Indivisible, altro illustrissimo omaggio ai videogame bidimensionali del passato, nella specie i platform, è un progetto ambizioso e di successo che gode di animazioni prodotte dallo Studio Trigger di Gurren Lagann e dimostra la stessa cura e impegno in ogni animazione e aspetto di gameplay. Nel frattempo il brand di Skullgirls si è espanso appunto in crossover mobile  anche se il progetto principale veniva “messo in pausa” nel 2015. È stato un blocco un po’ inaspettato, avvenuto mentre alcuni nuovi personaggi da sviluppare erano già stati scelti con una votazione dai fan del titolo. Ma i Lab Zero, per scelta precisa di indipendenza volevano rimanere un piccolo studio con pochi dipendenti che realizzano una cosa per volta e con “tutto il tempo necessario”. Nel 2017 ad ogni modo, grazie ad Autumn, Skullgirls rinasce in versione gioco mobile prima, che con le microtransazioni diventa una IP davvero forte e permette al brand di arrivare al 2019 con la molto attesa conversione per Nintendo Switch di 2nd Encore, per la quale torna al lavoro il gruppo storico. Poi il patatrac. Mike Z finisce nei casini per una storiaccia i cui contorni non sono ancora chiari (tipo la storiaccia dell’Evo). Sta di fatto che Lab Zero chiude, tutti i dipendenti si licenziano, Indivisible si ritrova senza i dlc pianificati, fine della storia. È un piccolo grande dramma, il potenziale di Lab Zero era enorme e lo studio ha saputo imporsi per stile e originalità ai giorni nostri, lavorando sempre controcorrente alle mode, con un occhio molto attento alla qualità. Game Over. Poi girovagando su YouTube mi imbatto nel trailer qui in alto, uscito a inizio di febbraio. Annie, anche lei disegnata da Alex con il suo stile stralunato e irresistibile, era uno dei personaggi che avrebbe dovuto integrare il roster di Skullgirls via dlc prima della sua “sospensione”. Di più, Annie era stata ripescata come personaggio extra per i dlc di Indivisible, prima che anche  Indivisible venisse cancellato dopo il guaio di Mike Z. Forse Annie porta un po’ sfiga, come però sono un po’ sfigate tutte le Skullgirls e quindi si trova già in perfetta compagnia! Il personaggio è già uscito su Skullgirls Mobile, grazie a una Autumn che ora si sobbarca di riprendere anche il titolo principale, Skullgirls 2nd Encore, ricominciando ad ampliare il gruppo dei combattenti fermo dal 2015. Si vociferava già di almeno un altro personaggio dopo Annie e lo story mode del gioco in questo senso è già ricchissimo di spunti. Io punto sul mega-cattivo Brain Drain, almeno per portare i “maschietti” a tre. Ad ogni modo non era ancora stata comunicata una data di uscita per Annie, anche se si parlava di un periodo imminente. 

Poi sono arrivate in questi ultimissimi giorni delle novità.  

Autumn Games ha annunciato a fine febbraio di avere in in programma una resurrezione in grande stile per le Skullgirls. Da inizio marzo via Steam arriverà in early access Annie, che sarà invece del tutto giocabile, su tutti i sistemi (tranne su ps3 e la scorsa old gen in genere) dall’inizio di maggio. Ma c’è di più! Da maggio partirà il “Season pass 1” di Skullgirls, che dovrebbe attestarsi (salvo conferme più specifiche) sui 30 euro, includendo nel pacchetto oltre ad Annie anche 3 nuovi personaggi (che saranno rilasciati fino al 2022), un Art-book digitale e la soundtrack del gioco. Se le cose andranno in porto, Autumn si è sbilanciata già, annunciando a Destructoid che entro la fine del 2021, se le vendite andranno bene, si potrebbe aggiungere un quinto personaggio, sempre compreso nel season Pass 1. E chi può dirlo? Magari ci sarà un Season Pass 2 in futuro. 

Notizia di qualche giorno fa, la resurrezione di Lab Zero come Future Club, salvo l’assenza nel gruppo di Mike Z, ora estraneo al progetto. In un modo o nell’altro le Skullgirls sono tornate, anche se il nucleo iniziale che ha dato il via a tutto è ora spezzato.

Inutile dirvi quanto, da fan del gioco, aspetto già con fibrillazione di raccontarvi delle Skullgirls che verranno... e magari portare sul blog anche qualche bel gameplay! 

Skullgirls si trova su pc, x-box, ps3, ps4, vita, switch, mobile e si prepara alla next gen sempre intatto e bellissimo come già è, con ancora più personaggi. Se ancora non lo avete provato e amate i picchiaduro vecchio stampo è il momento almeno di scaricare una demo e mettervi alla prova. Potreste trovare qualcosa di bello. 

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