giovedì 20 agosto 2020

Cats - la nostra recensione del controverso adattamento cinematografico del musical di Broadway

 

In una magica notte londinese, in un misterioso quartiere, dei misteriosi gatti si radunano per un ballo ancestrale quanto... ovviamente misterioso. Uno di loro sarà scelto dal “gatto anziano“ (Judi Dench) vincendo una esibizione stile X-factor, per ricevere una nuova vita. C’è tra loro una gattina dal pelo bianco come il latte, Victoria (Francesca Hayward), che si trova suo malgrado in quelle strade dopo essere stata gettata in un sacco da un’automobile in corsa. Conoscerà alcuni di questi misteriosi gatti, le loro storie e naturalmente il pezzo musicale e balletto collegato che porteranno a questa specie di X-Factor. Victoria parteciperà alla scelta del gatto anziano esercitando un particolare televoto e troverà forse il suo posto nel mondo. A rendere fosco il risultato del rito interverrà un malvagio gattaccio dal pelo scuro, Macavity, (Idris Elba). Insieme al suo gruppo di gattacci cattivi, guidati da Bombalurina (Taylor Swift), cercherà di sabotare lo spettacolo. Ma i felini avranno molte magiche frecce al loro arco. Ovviamente rese attraverso balletti magici. 


Cats parla di gatti, dà voce ai gatti. Gatti giocherelloni che vivono in strada, gatti cacciatori di topi a guardia delle case degli umani, gatti che sono la mascotte di una stazione ferroviaria, gatti che bazzicano il vicolo dove i ristoranti gourmet mettono gli “avanzi”. Gatti coccolosi come quelli delle foto che le ragazzine scaricano da internet per poi inondare whatsapp di tenerezza molesta. “Gattacci”, che vivono per fare dispetti e rompere cose. Gatti magici che diventano invisibili e fanno scomparire gli altri, volano e fanno roba da Cirque du Soleil. Gatti  che conoscono ogni rappresentazione del teatro in cui hanno casa. Gatti gangster, gatti imprendibili come Flash, gatti schiacciati e distrutti dalla vita come il “gatto rognoso”. Tutti gatti a prescindere nobili, con glorioso passato di divinità presso gli egizi, che in una notte si raccontano fornendoci testamento di cosa significhi davvero essere un gatto. Essere liberi, indipendenti, generosi, affettuosi, scaltri quanto irresistibili, a volte stronzi. Perché “un gatto non è un cane”, chiosa lo spettacolo.
Credo di aver visto il musical teatrale Cats con musiche di Andrew Lloyd Webber e produzione a cura Cameron Mackintosh , ispirato alle poesie di S.T.Elliot della raccolta Il libro dei gatti tuttofare, almeno quattro o cinque volte. Ho visto per la prima volta in VHS la rappresentazione teatrale di Broadway, ho visto la compagnia londinese di Cats a Milano agli Arcimboldi, ho visto una versione curata dalla Compagnia della Rancia al Teatro della Luna, ho visto un pario di rappresentazioni scolastiche in cui si adattavano delle parti di Cats. Un po’ me ne intendo. 


Cats è uno dei più noti spettacoli musicali di sempre e questa pellicola di Tom Hooper, da poco uscita in home video senza essere passata dalle sale causa Covid-19, a fronte di un “paio” di anteprime stampa di gennaio devastanti, porta Il musical in una forma nuova, più organica, grazie all’inserimento del personaggio della  gattina bianca Victoria. Una gattina poco ciarliera ma dalle magnifiche movenze di danza classica, interpretata non a caso dalla bellissima e bravissima Francesca Hayward, prima ballerina del Royal Ballet, che letteralmente riesce a “cucire narrativamente”, attraverso il suo punto di vista, le canzoni e balletti dei molti gatti che si susseguono fino al finale.  Succede un po’ come è successo con la riduzione cinematografica di Hair: anche in quel caso il musical alla base era “anarchica follia escapista ”che per tradursi al meglio al cinema ha dovuto “vestirsi” di un po’ di “trama“.  Al di là di Victoria e del suo costante “lavoro di collegamento narrativo”, del Cats originale c’è tutto, passi di danza compresi. Il cast è di pregio assoluto, annovera giganti come Judi Dench e Ian McKellen; cantanti del calibro di Taylor Swift, Jason Derulo, Jennifer Hudson. Sono delle magnifiche sorprese le performance di attori come Rebel Wilson e Idris Elba.  Bravissimo il mitico anchorman televisivo James Corden (già in Into the woods) di cui vi consiglio di guardate su YouTube degli spezzoni tratti dal suo Late Late Show, in cui improvvisa dei musical classici per strada, durante il tempo del semaforo rosso, sono geniali e spassosi. Molto bravo e che farà sicuramente strada l’attore inglese Laurie Davidson, interprete del gatto magico Mister Mistoffelees. Il regista Tom Hooper viene dal successo di un’altra trasposizione da un musical, I miserabili, prodotto come Cats per il teatro sempre da Cameron Mackintosh (che invece è estraneo alla versione cinematografica Dreamworks) con cui condivide la stessa estrema cura per il comparto sonoro, scelta degli attori e scenografie. 


Ma allora perché Cats è il musical più controverso degli ultimi anni? 
La follia totale e castrante di questo Cats si trova “a monte” delle musiche, scenografie e interpreti. Si trova allo stato progettuale se vogliamo, nella devastante scelta della raffigurazione “digitale” dei gatti.
I musical sono ricchi di ballerini che impersonano animali. 
Come trasformi a teatro degli uomini in gatto? Gli metti in genere addosso una calzamaglia pelosa, un paio di orecchie e coda finta. Per caratterizzarli di più scegli alcuni elementi di un costume/vestito “per umani”, così che con indosso “una blusa da marinaio” descrivi visivamente in “gatto marinaio”. Un paio di baffi tracciati con il fondotinta, leggero trucco sulla faccia e hai una “faccia da gatto”. In una recente trasposizione di Cats hanno cercato una linea visiva steam-punk. Oltre a dare ai ballerini la calzamaglia pelosa, i baffi finti  ecc. hanno dato a tutti degli occhialoni da saldatore (che in effetti richiamano gli occhioni dei gatti), cappelli a cilindro, vestiti in pelle, orologi a cipolla. Li hanno inseriti in una scenografia industriale vittoriana (sempre Londra rimane lo scenario, in fondo), tra tubi, vapori, ingranaggi, ciminiere. Molto fico, splendida idea di cosplay per il Lucca Comics. Il succo è che sappiamo che sono attori umano vestiti da gatti, ma ci va benissimo così, questa è la magia della danza e del teatro. Anche quando andiamo a vedere Il lago dei cigni troviamo in scena dei ballerini con un paio di piume in testa e una specie di pannolone piumoso che rappresenta la coda. Ma non c’è “solo questo”e non ha mai scandalizzato, ne’ ha disturbato i sogni a nessuno, questo trucco minimal. Nessuno ha mai detto che Il lago dei cigni non è “anatomicamente corretto” perché i ballerini con il pannolone piumoso non sembrano dei veri cigni. Assumiamo che parliamo di cigni come di gatti, mettiamo gli attori truccati dentro una scenografia in scala che “li contenga credibilmente” (nel caso dei cigni è un lago e nel caso di Cats è un ambiente urbano londinese “ingigantito”) per cercare di riprodurre scenicamente le proporzioni degli animali nel mondo reale. 
Poi il gesto, la mimica, sono importanti. 
A seconda di come gli attori si muoveranno, noi intuiremo ulteriormente il loro “essere gatti o cigni” e in questo sta il gioco, la bravura e magia del musical.
A scanso di dubbio, lo ribadisco, gli attori di questa versione cinematografica di Cats sono bravi, bravissimi. Sia dal punto di vista canoro che dei passi di danza, che sono quasi al cento per cento i medesimi del musical. 
Il guaio lo ha fatto una messa in scena in post-produzione. a base di motion capture troppo invadente, assecondata dall’idea visiva devastante quanto suicida di trasformare in “gatti più realistici” gli attori. 
Ci sono due “step” di questa trasformazione. 
Il primo riguarda il volto. Quando con il digitale si elabora il viso degli attori per renderli “umani più felini”, la post-produzione di Cats usa un trucco prostetico “tradizionale”, alla Rick Baker per intenderci, cui applica avanzati programmi di morphing facciale per muovere dinamicamente i peli, orecchie e baffi. È un effetto simile al trucco usato nel film Il Gatto con il cappello di Mike Meyers e “funziona”. I peli sul viso che reagiscono dinamicamente ai cambiamenti d’umore. Di fatto gli attori che hanno subito questo trattamento di morphing in modo solo “facciale”, in quanto i gatti che interpretano utilizzano di fatto “degli indumenti umani o quasi“ come caratterizzazione (abbiamo parlato sopra della blusa per il gatto marinaio) hanno una resa piacevole. Parlo di Mr. Mistoffelees o dei gatti interpretati da Ian McKellen, Judi Dench, Idris Elba, James Corden e Rebel Wilson. Il problema è che la maggior parte dei gatti sono “nudi e pelosi”, compresi molti di quelli sopra citati quando si “tolgono i vestiti”. 
Arriviamo allo step due, il morphing del corpo. E che Dio abbia pietà di questi addetti agli effetti speciali. Se penso che all’inizio del 2000 con L’uomo senza ombra di Verhoeven si è riprodotto un corpo umano digitale muovendo dinamicamente ogni osso e muscolo interno...qui siamo agli antipodi del realismo. In piena aerea di “compromesso folle”. Bastava “non farlo”, limitarsi al trucco facciale e poco altro, ma invece... 
Il primo compromesso irredimibile era il fatto che nel musical ballano degli esseri umani, così che non era eticamente possibile dotare i “gatti più realistici” di zampe, oppure tutte le coreografie classiche sarebbero state da buttare e non si sarebbe parlato più del musical di Cats al cinema. 
Salvi dal trucco le mani e i piedi, che rimangono a tutti gli effetti mani e piedi umani, insieme alla testa che rimane ergonomicamente “umana” anche se truccata, come si poteva rendere il corpo più “Gattoso”?  Se nel musical gli attori-gatti avevano in genere una coda di stoffa inanimata, nel film digitalmente viene applicata una coda in computer grafica. Dotata di ha un’anima propria. In certi casi sa eccitarsi, poi irrigidirsi, ogni tanto svolazza placida descrivendo degli ovali. Le code, al plurale per il fatto che ci sono spesso in scena molti gatti, distraggono l’occhio tra i loro mille mulinelli, scatti, moti ondulati, quando nel musical a teatro cadevano placide al massimo girando quando si girava l’attore.  Ma è in fondo il meno,quando la post-produzione di Cats  sceglie di riscrivere l’anatomia del torso degli attori per renderli più “Gattosi”.  Più longilinei, dalla vita più stretto dell’umano. Dalla fisicità più scolpita o strabordante a seconda del peso del personaggio, riscrivendo o annullando le costole con il digitale. 


So che state già tremando. Prendete uno scheletro, riducetegli o allungategli le ossa e gabbia toracica e poi, per pura perversione di realismo, conferire ai muscoli e pancia la consistenza di quelli dei gatti. Quella sensazione che sotto il pelo oltre allo scheletro non ci siamo organi, che sia tutto un “molliccio”. Parliamo di  rivestire uno scheletro umano di un costume digitale da gatto molle e peloso come slime , allo stato pratico. L’effetto ricercato inizialmente era così estremo che è stato bocciato agli screen-test. Immagino il pubblico che scappava urlando dalla sala dopo che qualche gatto-umano si strappava e allungava la pelle azzuffandosi con un altro gatto. L’effetto “ammorbidito” che sarebbe arrivato in sala e oggi abbiamo in home video è ancora semplicemente inquietante. Immaginate una ventina di ballerini con questi spaventosi corpi mutanti “in cerca di realismo impossibile” perennemente in scena, con l’aggiunta di code digitati che sembrano avere anima propria, con le loro manine, piedini e testoline a dimensione umana. Regole  che valgono anche per i topi e blatte, gli altri divertenti animaletti sulla scena. Ringraziate tutti i santi che alcuni attori come la sempre bella “nonostante tutto”Taylor Swift si muovano pochissimo e “poco da gatti”, spesso rispettando delle scenografie da video di MTV, perché credetemi, alla prima visione avrete gli incubi psichedelici, come ai tempi degli psicotropi elefanti rosa dell’originale Dumbo della Disney o dei diavoletti rosa (rosa, il colore del demonio) che si scomponevano e bruciavano in un “buffissimo” numero musicale di Labyrinth di Jim Henson. La scena da “disturbo visivo estremo”, quella da annotare nella galleria dell’orrore, è lo scenario domestico della gatta sovrappeso (ma con corpo “gelatinoso”) interpretata da Rebel Wilson. In una scenografia degna di Delicatessen di Jeunet, sfilano oltre ai soliti gatti anche questi attori geneticamente con il torso modificato in topi e blatte. E non c’è davvero nulla di buffo e simpatico in loro. 
Ma vogliamo rendere gli attori ulteriormente “gattosi”? Che ne dite di velocizzare alcuni loro movimenti per renderli scattanti come i gatti veri? È il film lo fa, scegliendo di velocizzare e rendere isterici alcune movenze e passi di danza di Derulo. Con detrimento della sua performance da ballerino esperto, alla ricerca di movenze ancora più “scattose” lo si rende una creatura luciferina, con scatti degli della Sadako di The ring
Questi sono i tentativi, diciamo un po’ impacciati, di rendere gli attori di Cats dei gatti più realistici in post produzione. Visti gli esiti spero per il futuro che gli artisti degli effetti speciali si rassegnino: i gatti non hanno le movenze degli esseri umani né lo stesso scheletro. Si può “intuire” che gli uomini diventino animali e questo fa parte della magia del balletto, che è la stessa “magia” per cui alcuni colpi nelle arti marziali che mimano gli animali (come la gru di Karate Kid), per cui certe costellazioni sembrano avere la forma di Cigni, Draghi o Catene di Andromeda. Parliamo di sintesi del gesto, una rappresentazione idealmente un animale o di una sua movenza che in due tratti rende di più che non nel riprodurlo fedelmente a livello anatomico e muscolare partendo da un super computer usato male. Il futuro ci scampi da un Lago dei cigni con ballerini resi digitalmente obesi, piumati e con gambe umane strizzate a stecchino come le zampette di un uccello. Sempre che non vogliano aggiungerci pure volti con mascelle spaventosamente allungate a becco. 



Come tutti gli incubi e gli spaventi improvvisi dei film dell’orrore, la disturbante potenza visiva digitale di Cats è comunque destinata a soccombere ad una seconda e poi terza visione. Si riescono a vedere le cose in maggiore prospettiva, valorizzando il talento degli scenografi nel dirigere i balletti/. La bellezza dei brani  non soffre la brutta resa visiva della computer grafica e per altro, cosa che molti appassionati di musical sono felici di ritrovare, i brani sono  tradotti nei sottotitoli. È bella l’innovazione apportata alla rappresentazione sul piano narrativo e Cats riluce di tutta la malinconia e mistero di un viaggio onirico che parte dal tramonto davanti alla Cattedrale di Londra, attraversa le luci artificiali dei vicoli e del porto nella notte, si chiude nei colori oro dell’alba, in un volo metafisico verso la  “ionosfera”. C’è magia in quest’opera e sicuramente chi conosce già la rappresentazione teatrale saprà essere più benevolo verso questa pellicola “disastrata“ dalla computer grafica. L’invito è quindi quello di andare a teatro a vedere Cats, quando sarà possibile, come a recuperare i dvd degli spettacoli teatrali. Leggete Elliot, magari ascoltate la colonna sonora del musical originale di questo stesso film. Una volta “pronti”, passate al film, facendo magari il gigantesco ma necessario sforzo mentale di guadare oltre la computer grafica, alla ricerca dell’umano che batte sotto il pixel più anatomicamente disturbante. Anche il mostro di Frankenstein sotto sotto ha un cuore. 
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