mercoledì 10 luglio 2019

Rapina a Stoccolma



È il film che vuole mettere in scena, in modo piuttosto libero, i fatti da cui si è parlato in psicologia della famosa "Sindrome di Stoccolma". Quella particolare affezione che una persona in ostaggio prova nei confronti di chi lo ha messo in costrizione, sulla base di particolari affinità emotive. Ne risulta un film su una rapina alla banca in Svezia dove il rapinatore ha il volto del simpatico Ethan Hawke e la cassiera della banca della stupenda Noomi Rapace. Hawke è più maldestro che molesto, più premuroso che insidioso. Canta vecchie canzoni, veste da cowboy, è insicuro e per nulla minaccioso. La Rapace è una amabilissima e bellissima madre di famiglia che si preoccupa che i figli a casa mentre è in ostaggio mangino il pesce rimasto in frigo. Dietro a degli occhialoni giganteschi che la fanno apparire buffa e a un vestitino da impiegata castigatissimo nasconde la potentissima componente sensuale per cui la Rapace è giustamente famosa (da Millennium a Seven Sisters). Da questa, in un gioco di sguardi che scruta anche il fisico asciutto e gli occhioni di Hawke, nasce forse quella particolare passione e complicità che studiamo nei libri. Il vero cattivo sembra essere il direttore della banca, incapace di tutelare gli ostaggi con il pugno di ferro della "tolleranza zero" nei confronti delle richieste dei criminali. Il gioco funziona, la carica sensuale tra i due protagonisti e i co-interpreti, come un Mark Strong in stato di grazia, conferiscono gusto al prodotto finale. Peccato che il piatto finale latiti di spezie e alla fine suoni come un prodotto ben confezionato ma con poco pathos. Non è Quel pomeriggio di un giorno da cani, purtroppo. Vorremmo essere travolti dalla componente emotiva, dalla complicità e voglia di intesa, psicologica ma  anche fisica, che dovrebbero far esplodere la testa e i corpi dei due protagonisti, spogliandoli degli abiti borghesucci della cassiera non più giovane e del rapinatore bambinone che vuole scappare con una macchina da film al tramonto come fosse un un western. Ma il film non ci vuole dare questo, Robert Budreau non è un regista così vulcanico da giocare con stile con un tema come questo come potrebbe farlo un Verhoeven, un De Palma, uno Scorsese, uno Scott, un Fincher o, perché no, una Patty Jenkins. Cosa avrebbe fatto Patty Jenkins con Noomi Rapace! Invece assistiamo a novanta minuti in compagnia di questi due attori bellissimi e sensualissimi che si scambiano un paio di sguardi di intesa senza dare davvero corpo a quel tormento interiore che la sindrome di Stoccolma dovrebbe far esplodere. Tranquillizzante e politicamente corretto, Rapina a Stoccolma risulta ottimo per un pomeriggio di rete quattro. 
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