È il
film che vuole mettere in scena, in modo piuttosto libero, i fatti da cui si è
parlato in psicologia della famosa "Sindrome di Stoccolma". Quella
particolare affezione che una persona in ostaggio prova nei confronti di chi lo
ha messo in costrizione, sulla base di particolari affinità emotive. Ne risulta
un film su una rapina alla banca in Svezia dove il rapinatore ha il volto del
simpatico Ethan Hawke e la cassiera della banca della stupenda Noomi Rapace.
Hawke è più maldestro che molesto, più premuroso che insidioso. Canta vecchie
canzoni, veste da cowboy, è insicuro e per nulla minaccioso. La Rapace è una
amabilissima e bellissima madre di famiglia che si preoccupa che i figli a casa
mentre è in ostaggio mangino il pesce rimasto in frigo. Dietro a degli
occhialoni giganteschi che la fanno apparire buffa e a un vestitino da
impiegata castigatissimo nasconde la potentissima componente sensuale per cui la
Rapace è giustamente famosa (da Millennium a Seven Sisters). Da questa, in un
gioco di sguardi che scruta anche il fisico asciutto e gli occhioni di Hawke,
nasce forse quella particolare passione e complicità che studiamo nei libri. Il
vero cattivo sembra essere il direttore della banca, incapace di tutelare gli
ostaggi con il pugno di ferro della "tolleranza zero" nei confronti
delle richieste dei criminali. Il gioco funziona, la carica sensuale tra i due
protagonisti e i co-interpreti, come un Mark Strong in stato di grazia,
conferiscono gusto al prodotto finale. Peccato che il piatto finale latiti di
spezie e alla fine suoni come un prodotto ben confezionato ma con poco pathos.
Non è Quel pomeriggio di un giorno da cani, purtroppo. Vorremmo essere travolti
dalla componente emotiva, dalla complicità e voglia di intesa, psicologica
ma anche fisica, che dovrebbero far esplodere la testa e i corpi dei due
protagonisti, spogliandoli degli abiti borghesucci della cassiera non più
giovane e del rapinatore bambinone che vuole scappare con una macchina da film
al tramonto come fosse un un western. Ma il film non ci vuole dare questo,
Robert Budreau non è un regista così vulcanico da giocare con stile con un tema
come questo come potrebbe farlo un Verhoeven, un De Palma, uno Scorsese, uno
Scott, un Fincher o, perché no, una Patty Jenkins. Cosa avrebbe fatto Patty
Jenkins con Noomi Rapace! Invece assistiamo a novanta minuti in compagnia di
questi due attori bellissimi e sensualissimi che si scambiano un paio di
sguardi di intesa senza dare davvero corpo a quel tormento interiore che la
sindrome di Stoccolma dovrebbe far esplodere. Tranquillizzante e politicamente
corretto, Rapina a Stoccolma risulta ottimo per un pomeriggio di rete quattro.
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