Mi
sembra doveroso introdurre questo post con uno dei più grandi classici della
canzone italiana. La firma, eminente, è di Elio e le Storie Tese.
Ma ora,
per tornare ad un clima più jappo è più consono alla recensione, direi di
sentire un bel pezzo dei Radwimps
Mitsuha
Miyamizu è una ragazza di Itomori, un paesino di provincia, collinare con al
centro un laghetto, ricco di tante tradizioni, tante persone simpatiche, un
bel paesaggio e... poco altro. Non c'è nessun posto dove divertirsi, nemmeno un
bar, non un supermercato, non uno svago. Solo chilometri di verde e una immensa
casa in collina dove vivere. Mai una gioia, se si considera pure la "mission"
familiare di destinare le donne a uno strano culto che prevede, in pubblico e
in abito da cerimonia, sbavare del riso da conservare in barattoli benedetti.
La nonna e la sorellina si stanno accorgendo che Mitsuha non ne può più, sta
uscendo proprio di testa! La mattina passa un sacco di tempo a toccarsi le
tette, a scuola è scostante è sempre tra le nuvole, vaneggia. E nel delirio
dice: "Vorrei non essere qui, vorrei essere un ragazzo che vive a
Tokyo!".
A Tokyo,
in un micro-appartamento in cemento, vive un ragazzo di nome Taki, che studia e
al contempo lavora come cameriere/cuoco in un ristorante italiano del centro
chiamato "Il giardino delle parole". Ha una cotta per la sua capa, è
sempre timido e puntuale, ultra taccagno. Ma ultimamente sembra essere cambiato
in modo misterioso. Spende un sacco di soldi in cibo, fa l'intraprendente con
la sua capa (cosa che per i personaggi dei manga /anime è stranissima), ha
imparato a cucire, si muove in modo effemminato, sembra non ricordarsi nemmeno
il nome dei suoi amici o la strada per tornare a casa.
Cosa sta
accadendo a Taki e Mitsuha? Qualcosa che ha a che fare con una cometa e con il
filo rosso del destino che, come diceva Kieslowski, lega in modo invisibile e
indissolubile la vita delle persone. Uno strano sogno che sembra la vita di
qualcun altro.
La
trascinante e frizzante musica dei Radwimps (il cui nome suona tipo
"super codardo" e incarna al meglio il mondo dei timidoni adolescenti
di molti manga a sfondo sentimentale ), le animazioni sfavillanti e i fondali
spacca-mascella marchio di fabbrica di Shinkai ci trascinano in una
storia piena di sentimenti e ironia, semplice ma non banale, che scorre via
leggera fino alla fine, riuscendo ogni tanto a farci commuovere, ridere e
strepitare. Come ne La voce delle stelle, come in 5 cm al secondo e ne In
giardino delle parole il protagonista assoluto è l'amore, inteso in un senso
non troppo distante da Wong Kar Wai. Un amore tra pendolari, un amore tra
scappati di casa, un amore spesso clandestino. Un amore quasi platonico, che
nasce dal riconoscersi empaticamente nei panni della persona amata nelle
piccole cose, ma che vive del garbo e della paura di dichiararsi, venire allo
scoperto infrangendo il pudore del sentimento dell'altro, come a temere che
tutta la magia dell'incontrarsi sia un abbaglio personale. Ad aiutare questo
senso di incertezza, in ogni film di Shinkai l'amore viene ostacolato da
qualcosa di drammaticamente inaffrontabile. Distanze (a volte siderali),
condizioni sociali, le circostanze della vita. Muri che si riescono a
infrangere, quasi sempre (perché Shinkai ama farci piangere), ma che
allo stesso tempo sostengono da soli la narrazione. Perché quando il regista si
trova effettivamente a dover far esprimere quel sentimento, senza vincoli, ai suoi
personaggi, tutto si fa incredibilmente magmatico. E questo, pur
destabilizzante a livello di trama, non è il limite ma l'esatto cifra
stilistica dell'autore, la sua sensibilità nel descrivere il caos interiore
degli affetti. Lui è davanti a lei, entrambi cercano di scappare ma decidono
che non si può fare, iniziano entrambi a piangere, urlare frasi sconnesse,
muoversi convulsamente uno contro l'altro a scatti come zombie. E mentre
accennano un abbraccio che appare più un placcaggio da football americano, la telecamera inizia a imbarazzarsi per loro pure lei, pudicamente si
allontana e va a fissare uccelli che volano in cielo, treni, aiuole (tutto con
uno stile grafico pazzesco), mentre in sottofondo parte un pezzo del Max
Pezzali giapponese di turno. È una cosa estremamente amabile, sincera, ma che
non va mai da nessuna parte! Shinkai se la cava alla grande a descrivere
l'amore presente ma "assente dalla scena", ma diventa un ragazzino
alla prima cotta quando cerca di far "coordinare i suoi personaggi verso
un bacio", compiendo manovre più complicate di uno sbarco lunare gestito
con la professionalità di una scimmia urlatrice. Verrebbe voglia di
rassicurarlo che "va tutto bene", mentre i suoi personaggi in piena
esplosione emotiva e ormonale vaneggiano come posseduti dal demonio, e io non
riesco a non ridere un po' davanti al casino scatenato dal Shinkai più
innamorato. Arrivo a sperare che i personaggi tornino distanti, per ridare un
senso e continuità alla trama. Ecco, questo Your Name funziona benissimo come
film sentimentale, ironico e pure per certi versi "magico", ma
quando Shinkai "ricade" nel delirio adolescenziale da ragazzetto
innamorato in un momento centrale della trama (peraltro in un momento cui un
personaggio inizia a urlare senza senso chiedendo il "your name" del
titolo invece di fare qualcosa di molto più logico e sensato in quel momento
narrativo) il pubblico, a mio avviso, non può che dividersi tra chi amerà e
rivedrà volentieri la pellicola e chi ci stamperà sopra un sonoro
"no!".
Questo è un po' l'unico grosso difetto della pellicola, un
problema, se vogliamo, "di stile", quasi di stampo mucciniano, che si
poteva gestire diversamente. Per il resto, tenendovi nel riservo più assoluto
della trama, anche per non rovinarvi la sorpresa Your Name. funziona molto
bene. Fa un'interessante satira sociale sui luoghi comuni tra città e campagna
e tra tradizione e innovazione. Trasmette l'amore di Shinkai nella descrizione
di lavori manuali come cucinare o tessere un vestito, tema già accennati di
recente ne Il giardino delle parole. Sa estasiare nell'ammirare una
natura rigogliosa, fatta di piccoli ruscelli, vento che culla le foglie e
pioggia tintinnante, rappresentata da una cga mai invasiva, quasi
invisibile. Ci attira con un chara design semplice ma molto espressivo. Si
potrebbe liquidare Your Name come il solito film del filone in cui due persone
si scambiano le vite, e sarebbe probabilmente così se non ci fosse dietro la
sensibilità di un maestro come Shinkai, in grado di donare tridimensionalità
anche alle cose più semplici. Al che contempo il meravigliosamente disordinato
modo in cui Shinkai tratta i sentimenti potrebbe sconcertare qualcuno, anche se
per me non lascia comunque indifferenti.
Sarà per
le musiche, per i disegni, per la storia o per Saturno in trigono con Urano,
Your Name in questi giorni in Giappone ha frantumato pure i record d'incassi
dello studio Ghibli, diventando l'anime più visto di tutti i tempi. Un
riconoscimento cui lo stesso Shinkai non era preparato al punto che ha chiesto
al pubblico di smettere di andare in sala. L'ombra di Miyazaki, con la quale si
è confrontato più che dignitosamente con il suo Viaggio verso Agartha (che
spero Dynit recuperi e ridoppi dopo l'abominio perpetrato da Kaze) sembra non
lasciarlo mai in pace e ora i fan del maestro iniziamo a filosofeggiare di come
siano decaduti i costumi odierni, se un "filmetto" come Your Name
batte tutti i record. Tuttavia il Ghibli stesso si sta complimentando con
Shinkai, perché più gente continuerà ad amare gli anime più anime potranno
essere prodotti.
Io ormai
Shinkai lo conosco da un po', fin da quel La voce delle stelle, di ormai troppi
anni fa, da lui realizzato quasi da solo, manco fosse il Mozart
dell'animazione. Con il tempo non sono mai riuscito a volergli male, e certo
non inizierò ora, perché sono pochi i registi che riescono a mettere a nudo i
loro sentimenti nelle loro opere e lui è uno di questi.
Dynit e
Nexo portano nelle sale l'opera con tutti i crismi anche se segnalo
nell'adattamento una scelta lessicale "aulica" quanto inutilmente
artificiosa, da scuola cannarsiana, che per gusto personale trovo francamente
evitabile nonché di ostacolo a una piena immedesimazione. Una
"perla" di questa impostazione la potete sentire già dal trailer con
la frase di incipit: "Quel giorno in cui sono cadute le stelle è stato
come una visione dentro a un sogno, nientemeno di questo. Uno spettacolo
magnifico". Se questa ridondanza (sicuramente ricercata per trasferire al
meglio il lessico giapponese) non vi spaventa (anche perché non ce n'è alla
fine troppa nella pellicola ), buona visione a tutti.
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